di BEATRICE BARDELLI – Quelle scarpe rosse rappresentano, al contempo, il desiderio di libertà, di emancipazione, ma anche la morte.
“The red shoes”, “Scarpette rosse”, è un film del 1948 dimenticato dai più ma che il British Film Institute ha voluto inserire al nono posto della lista dei migliori cento film britannici del xx secolo. Mi sono ricordata di questo film, improvvisamente, vedendo in questi giorni un paio di scarpe rosse esposte in una vetrina di una gastronomia pisana. Un tuffo al cuore ed un flash nella mente, perché, se quel luogo appare a prima vista “strano”, è, al contrario, la riprova che quel simbolo odierno della denuncia contro la violenza sulle donne è diventato “digeribile” per tutti. Proprio come il pane. E come il pane quel simbolo è ormai riconosciuto da tutti. Anche in questo 8 marzo 2021 dove il giallo dei mazzetti di mimose, storico simbolo della Festa della Donna, è stato burocraticamente sostituito da altri colori di un arcobaleno virtuale che non trasmettono calore e gioia ma solo tristezza, infelicità e disperazione in questi giorni di un rinnovato lockdown parziale che, guarda caso, inizia proprio l’8 marzo.
Nel film del 1948, le scarpette rosse rappresentano la gioia e la passione della danza, la libertà armoniosa del corpo nell’espressione artistica di una giovane ballerina, ma anche la sua tragica morte finale perché quelle scarpette sono magiche, come si legge nella fiaba omonima di Hans Christian Andersen da cui è tratto il film. In quelle “scarpette rosse”, diventate oggi il simbolo per eccellenza di quella violenza estrema che annienta le donne anche fisicamente come il femminicidio, si cela un altro messaggio, subliminale. Quelle scarpe rosse rappresentano allo stesso tempo la vita, il desiderio di libertà, di emancipazione e di autodeterminazione, ma anche la morte.
Morte delle donne come punizione estrema per avere voluto essere se stesse, semplicemente “libere” di esistere, di vivere, di agire, di respirare con i propri polmoni e di pensare con la propria testa. Dei femminicidi registrati nel 2020, l’89% sono stati commessi in ambito familiare, di questi circa il 70% sono stati commessi all’interno della coppia. E’ giusto parlare l’8 marzo, Festa internazionale dei diritti delle donne, come se fosse il 25 novembre, “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite? Sì. E’ giusto, è corretto. E’ doveroso. Perché anche la Festa della Donna non ebbe subito una data precisa in tutto il mondo in quanto, soltanto durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nell’agosto 1910, a Copenhagen, fu deciso di celebrarla ogni anno, ma fu istituita per la prima volta in data 8 marzo soltanto nel 1917, in Russia. Per questo le donne sostengono che, non solo nelle ricorrenze ufficiali ma tutti i giorni, si dovrebbe dedicare del tempo a riflettere su questi temi e su questi dati. Soprattutto oggi, in questa fase storica stigmatizzata dal Covid-19 dove sono ancora le donne le prime vittime di una gestione burocratica della pandemia che le ha recluse in casa, prigioniere senza scampo di una vita trascorsa h24 tra le mura domestiche, ad accudire ai figli che non vanno a scuola, a volte anche a genitori non autosufficienti, a condividere tempo e problemi con partner che non vanno al lavoro perché l’hanno perso o perché sono in smart working come molte di loro.
In queste case trasformate per obbligo, non certo per scelta, in luoghi di prigionia coatta dove le tensioni dei coabitanti aumentano giorno per giorno insieme alle preoccupazioni per un futuro che appare nebuloso ed a volte, addirittura, inesistente, insieme alla infelicità profonda ed alla paura di vivere una vita senza via di uscita, come gli ergastolani, “senza fine mai”, la frustrazione, la rabbia, la disperazione non contenute né gestite razionalmente possono esplodere in atti di violenza. Verbale, morale ed anche fisica. E sono ancora le donne le prime vittime.
Un fenomeno sociale che i due governi del lockdown, Conte e Draghi, non hanno assolutamente preso in considerazione nonostante i dati forniti a livello nazionale dalle varie Case delle donne dislocate su tutto il territorio nazionale siano estremamente preoccupanti. In una società civile questo fenomeno sarebbe stato affrontato fin da subito, ad esempio fornendo informazioni utili (soprattutto i numeri di telefono di aiuto immediato come il 1522) per le donne a rischio violenza attraverso i media che, invece, ci martellano ad ogni ora con i dati di contagiati e morti per Covid aumentando la paura, la tensione e la disperazione. Oppure, sostenendo con finanziamenti adeguati le varie Case delle donne per offrire più servizi di consulenza in risposta alle chiamate delle “vittime” ma anche più posti di accoglienza nelle – ancora troppo poche – Case rifugio operative. Oppure, utilizzando i propri canali tv come Rai Scuola (canale 146) per offrire seminari di analisi ed approfondimento sul tema così come stanno facendo egregiamente da anni per la Storia ed altre materie di studio. Anche la violenza sulle donne, sul come prevenirla, sul come gestirla e sul come frenarla, dovrebbe diventare materia obbligatoria di studio, a scuola e fuori dalla scuola. Perché la reazione inconsulta della violenza fisica di un uomo contro una donna ha radici profonde e viene da lontano, nella vita dei violenti che spesso si trasformano anche in assassini.
L’associazione Nuovo maschile di Pisa più volte ha sottolineato come la violenza maschile non sia appannaggio di pochi uomini ma sia espressione di un sistema patriarcale diffuso, intrinsecamente violento e sessista, che è presente in tutti i ceti sociali. Per questo è importante diffondere la notizia che, l’8 marzo 2021, anche vari gruppi di uomini sosterranno le rivendicazioni delle donne mettendo in atto iniziative tutte al maschile di sensibilizzazione sul problema della violenza contro le donne in varie città d’Italia: a Biella come a Torino, Milano, Genova, Savona, Roma, Potenza.
Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.