di ALDO BELLI – “L’importanza di fare con ciò che si ha, con ciò che la natura ci offre, con ciò di cui si dispone”. C’è molto da imparare.
Leggere l’ultimo libro di Alain Ducasse (Una vita di gusto e passioni, edizione Solferino) è come averlo seduto di fronte al tavolo di un ristorante in un momento di pausa dal lavoro. Merita leggerlo per molti motivi, ma uno soprattutto: via via che sfogli le pagine ti rendi conto di cosa significa essere un grande chef internazionale e francese: perché “sono nato in una fattoria nel sudovest della Francia, tra i fiumi Adour e Gave de Pau, mi ricordo l’orto, il bosco tutto intorno, la nostra vita modesta, il cibo anch’esso semplicissimo, immagine di ciò che ci offriva la terra. Da quell’infanzia provengono due caratteristiche forti che si ritrovano nei luoghi che amo e nella mia cucina. Da un lato, l’importanza di fare con ciò che si ha, con ciò che la natura ci offre, con ciò di cui si dispone. Dall’altro il legno di quercia è presente in tutti i miei ristoranti, in omaggio a quel nonno che lavorava il legno e al nostro cognome, Ducasse, colui che vive ai piedi della quercia.
Alain Ducasse ci racconta una carriera iniziata all’età di sedici anni con un apprendistato al Pavillon Landais di Soustons, poi passa all’Ecole Hôtelière de Talence in Gironde, dove però con grande dispiacere dei suoi professori lascia prima di conseguire il diploma. Ancora oggi che il suo nome riecheggia a Parigi come a Tokio o a New York, Ducasse continua a ripetere il grande segreto dal quale non si è mai staccato, quello di ascoltare: “Ho iniziato a cucinare nella mia testa esplorando i mercati delle Landes, in Francia come nel resto del mondo i mercati sono stati anche la mia scuola, ho fatto i mercati ogni giorno per anni, ho ascoltato le donne e gli uomini che ci lavoravano”.
“Nelle nostre cucine noi siamo prima di tutto interpreti della natura” dice Ducasse. E di questa natura egli considera parte insostituibile i suoi produttori con i quali, uno per uno, egli intrattiene una storia particolare, perché “per ogni prodotto c’è l’ambiente, il luogo in cui si trova, chi lo coltiva o alleva, chi lo prepara. Sono strati combinati in un certo modo, ed è essenziale perché tutto abbia il tono giusto”.
Ducasse è il maestro della Naturalité, del terroir che non gli impedisce di ascoltare le lingue lontane come la cucina giapponese o l’America (ascoltare, imparare, ricercare, sono tre verbi chiave del grande chef francese), per me essere influenzati – dice – significa “essere capaci di incontrare ciò che non si conosce, essere in ascolto, non copiare ma integrare quello che ci viene offerto per arricchirsi ancora, per cambiare. Di tutte le lezioni che mi hanno impartito il Giappone, i Paesi che esploro e le cucine che assaggio per la prima volta, questa è la più importante”.
Non aveva ancora trent’anni quando conobbe il principe Ranieri di Monaco – e di strada Ducasse ne aveva già fatta. Michel Pastor e Jacques Seydoux de Clausonne (importanti personaggi dell’entourage monegasco) avevano fatto il suo nome per realizzare un ristorante gourmet all’Hôtel de Paris di Monte-Carlo, “Le Louis XV”. Propose un menù costruito interamente intorno alle verdure. Siamo nel 1987. Ottenne la prestigiosa 3° stella Michelin. Avrebbe finito per diventare il primo chef a guidare tre ristoranti tutti premiati con 3 stelle dalla guida.
“Fin dai miei primi piatti ho messo in evidenza l’importanza delle verdure, dei cereali, dell’orto, della terra. Ho dovuto tenere duro. Quei menù non erano fra i più popolari: le verdure non erano di moda, si servivano soltanto a decorare un piatto di carne o di pesce”.
Imparare equivale a insegnare per Ducasse. Binomio di condivisione. A una mezz’ora da Parigi c’è la scuola Hectar, una fattoria sperimentale con la vocazione di formare i contadini, di far vedere ai giovani come possono vivere e produrre meglio sindacalizzando le loro attività”. Ciò che Ducasse ripeterà anche agli allievi dell’Ecole Ducasse di Meudon affinché “capiscano l’importanza di questo punto fermo, della terra, della stagionalità delle materie prime, della filiera corta, dell’incontro con i produttori quando vengono in visita alla fattoria”.
La scuola di Meudon, in un luogo volutamente vicinissimo alla foresta, nasce in piena pandemia, con “l’azzardo di accogliere in un luogo molto grande quattrocento allievi di ogni nazionalità, proporre corsi rivolti ai giovani diplomati che seguono una formazione per tre anni, o a uomini e donne appassionati che stanno affrontando una riconversione professionale, persone curiose alla ricerca di un sapere, di valori, di gesti”.
Nel 2011, insieme a Joel Robuchon e Paul Bocuse crea il College Culinaire de France, “volevamo colmare il divario fra i grandi chef e gli altri ristoratori e creare una vera comunità di artigiani, cuochi, allevatori, pescatori, viticoltori, una comunità che avesse un senso… Oggi questo collettivo riunisce più di duemila ‘ristoranti di qualità’ e oltre mille ‘produttori artigianali di qualità’“.
E la storia prosegue con Le Chocolat, Le Cafe, La Glace, Le Biscuit, ideati da Alain Ducasse, e quella che sarebbe diventata “la mia ossessione, il mio prossimo sogno, la mia prossima battaglia”: La Maison du Peuple di Clichy.
