Alessandro Curioni, crimine informatico, il “giallo”

di ALDO BELLI – Con uno dei maggiori esperti italiani di crimini informatici abbiamo parlato della nuova guerra e dei suoi romanzi gialli.

Alessandro Curioni è uno dei massimi esperti italiani di cybersecurity, la lotta al crimine informatico. Insegna alla Cattolica a Milano. Il suo secondo romanzo giallo è appena uscito, “Certe morti non fanno rumore” (Chiarelettere, settembre 2022) segue Il giorno del Biancoconiglio” (2021).

Un romanzo perché scritto con lo stile narrativo, nella forma espressiva e nella trama, per dirla con Cesare Pavese: “perché ci piove dentro”; e giallo in quanto la trama assume il carattere del noir dove il lettore diventa partecipe di un delitto e della ricerca del suo autore, sulla scena delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale.

La scelta narrativa, ovvero l’incontro tra scienza e letteratura, ricorda una tradizione letteraria, penso a “Cuore di cane” di Bulgakov, o a “L’isola del dottor Moreau” di Wells; ma anche Giorgio Scerbanenco, il giallo che succhia dalla cronaca reale la messa in scena della fantasia con l’abilità di sfumare il confine tra la verità e la finzione.

Finalmente un altro vero giallo italiano. Alleluia!

* * *

Scrivere gialli in Italia è diventato come il Tiro al bersaglio nei Luna Park, un’attrazione fatale che non risparmiava nessuno nel sogno di imbracciare un fucile per mostrare a se stessi e agli amici la propria abilità. Imbracciare un fucile, in fondo, non è molto diverso dall’impugnare una biro o fare scorrere le dita sulla tastiera di un computer, anche se solo qualche barattolo cadeva sullo scaffale del baraccone e la maggior parte se ne infischiava del tappo lanciato dal colpo d’aria. Adesso che i Luna Park sono scomparsi, restano i gialli.

Il genere “giallo” è stato sempre considerato una narrativa di serie B (neppure letteratura), diremmo oggi “nazional-popolare” (lo steso Edgar Allan Poe veniva considerato scrittore piuttosto che autore di libri noir). Intere generazioni sono cresciute insieme a Sam Spade (il poliziesco hardboiled di Dashiell Hammett), a Philip Marlowe (Raymond Chandler) a Charlie Chan (l’investigatore con gli occhi a mandorla di Earl Derr Biggers), la loro fortuna al di là dell’Oceano la segnò il cinema americano attraverso la Francia, dal poliziesco al legal drama di Perry Mason (Erle Stanley Gardner). P.D. James, James Ellroy. Il destino “nazional-popolare” non risparmiò neppure tre giganti come Arthur Conan Doyle (Sherlock Holmes), Agatha Christy (che già allora aveva riconosciuto la parità di genere con Hercule Poirot e Miss Marple), e George Simenon (che per altro lui stesso preferiva i suoi romanzi gialli lontani dal commissario Maigret, che avrebbero avuto il meritato successo solo dopo la morte).

Il “giallo” come narrativa di serie B, almeno in Italia, non si è mai emancipato neppure con John Le Carré o Ian Fleming, per arrivare a Joe R. Lansdale (e ne tralascio molti): besteller sì, ma da supermercato. Con Louis Sepulveda o Manuel Vasquez Montalban è andata un po’ diversamente, si portavano appresso una tinta di sinistra sulla pelle sempre cara al pubblico degli intellettuali.

La verità, purtroppo, è che l’egemonia della cultura è sempre stata da una parte, e la critica letteraria organica a quella cultura, i libri dovevano essere utili alla società, altrimenti erano solo feuilleton. E tali i gialli sono rimasti indipendentemente dallo stile letterario e della trama che ne faceva invece dei veri libri, Non è un caso che sul finire del Novecento, proprio in Italia dove il declino culturale si è rivelato più marcato e invadente, il “giallo” sia diventato il cibo prelibato da dare in pasto al popolo dei lettori nel mercato editoriale: meccanismo infernale nel quale il fare cassetta ha generato il trionfo della vanitas vanitatum et omnia vanitas: pubblicare un “giallo” in Italia non si nega proprio a nessuno in Italia; ci sono più commissari di polizia e investigatori di carta che in tutto l’organico di Polizia e Carabinieri messi insieme (importante che ricordino Liala). Per questo motivo, continuo a distinguere i “romanzi gialli”.

Leggere un romanzo giallo italiano è diventata una rarità. Quando capita, per un appassionato di letteratura, è un Alleluia! (ai lettori occorre ormai il passaparola o il fiuto del cane da tartufi, i libri sono considerati meno di un preservativo nell’informazione italiana dove le recensioni sulla carta stampata sembrano un lusso che l’Italia non può permettersi).

* * *

Ci siamo dati appuntamento a Lucca, in Piazza San Michele. Il sole batte sulla maestosa facciata della chiesa, e dall’alto dei quattro ordini di logge l’arcangelo Michele osserva in silenzio l’orda vociante uscita dai fumetti che invade, civilmente, la piazza e le strade. E’ il giorno dei Lucca Comics. Io sono rimasto a Tex Willer e dopo aver completato sulla Playstation tutti gli schemi di Tomb Raider (fin dall’esordio con le tigri a pixel squadrati) l’ho abbandonata quando hanno deciso che per giocare non erano più sufficienti le mani e gli occhi, per essere più realisti del re confondendo il divertimento in un lavoro da stress. Mi sento vicino al silenzio dell’arcangelo Michele.

Professor Curioni, “Certe morti non fanno rumore” segue il suo esordio nella narrativa con “Il giorno del Bianconiglio”. Si può dire un “ingegnere scientifico” prestato alla letteratura?

Il difetto di fondo della tecnologia è considerarla una materia che appartiene all’ingegneria e all’informatica, mentre riguarda invece anche la filosofia, il diritto, l’economia, la cultura, le scienze delle comunicazioni: in molti casi potrebbero fare molto di più di un ingegnere. Si dimentica, purtroppo, che la tecnologia è soprattutto un problema di cultura prima ancora che di linguaggio elettronico. Un tipico caso in cui non è sufficiente individuare una soluzione, occorre anche gestirla affinché si risolva una crescita positiva delle persone e della società, insomma manca la consapevolezza. In fondo, quando si parla di Internet come un sistema di “Trasmissione a pacchetto” è l’equivalente di un’enciclopedia a fascicoli: con la differenza che questi dopo averli acquistati poi tocca a te metterli insieme e ordinarli e rilegarli, mentre il Web lo fa da solo. Detto così è più facile spiegare ciò che esiste ma rimane impalpabile.

Però a differenza dell’enciclopedia che si deve comprare, nella rete non costa niente. Il Web quindi è migliore perché non ha prezzo.

Questo è l’altro punto debole del sistema. La rete è nata senza alcun costo per i cittadini (meglio chiamarli anche così e non solo navigatori) se non quello del consumo telefonico, per altro accessibile a tutti. Esistono naturalmente servizi a pagamento, ma la regola è rimasta questa. Si tratta di capire se quell’enciclopedia che non dobbiamo più pagare all’edicola sia valsa la pena di diventare tutti noi prodotti commestibili. Considerando le origini della rete, una proprietà pubblica dismessa, non poteva che nascere gratis, poi però strada facendo si sono resi conto che anche realizzare “pacchetti” informatici e svilupparli all’infinito aveva un costo, e in qualche modo andava coperto. Il profitto economico, allora, sono diventate le informazioni sui nostri comportamenti, i gusti, le affinità, le preferenze individuali di acquisto dei beni e servizi, tutto ciò che per il mercato rappresenta una risorsa indispensabile a modificare le proprie strategie di vendita dei prodotti e arrivare più efficacemente ai consumatori. Google e Facebook vedono cosa ti interessa, quando ti sposti vieni localizzato in tempo reale, e sul cellulare arriva il messaggio di quello che potresti comprare. In pratica, più che Internet (cioè la struttura del sistema) è Google che decide per te. Da questo, purtroppo, ormai non si torna più indietro.

E questo vale anche per la pirateria industriale?

Ovviamente. Tra i dati sensibili ci sono dati più sensibili di altri ai fini del loro sfruttamento economico: quelli dei brevetti, delle ricerche industriali, delle pianificazioni produttive e commerciali programmate internamente alle aziende. E qui entriamo in un altro campo: quello dello spionaggio industriale come l’avremmo chiamato in passato, e del Dark Web. Lei non ha idea dell’ampiezza e della profondità delle darknet, naturalmente illegale e decisamente un pericolo quotidiano al quale possiamo diventare tutti vittime quotidianamente.

Secondo lei, i governi sono impotenti o sottovalutano questo pericolo?

Partiamo da un presupposto: Google è una potenza mondiale. E’ sufficiente ricordare che i ministri delle Finanze del G7 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Italia e Giappone) – hanno raggiunto un accordo solo nel 2021 per istituire una tassa minima ai colossi dell’e-commerce”.

“Il G7 legalizza il diritto alla frode” scriveva il 16 giugno 2021 su Le Monde Thomas Piketty.

(professor nel Dipartimento di Economia del Massachusetts institute of technology, poi ricercatore del Centre national de la recherche scientifique e dal 2000 direttore della École des hautes études en sciences sociales, docente di economia presso la École d’économie di Parigi).

Una tassa del 15%, per tutte le aziende con margini di profitto superiori al 10 per cento, per le aziende più redditizie il 20% dei profitti che superano il 10%. Come vede, niente di paragonabile con la tassazione interna dei singoli paesi. In genere si scrive e si parla solo di Amazon, ma il mercato on line è molto più ampio e variegato incluso i giganti commerciali della farmaceutica.

Google in pratica è in grado di rovesciare un governo.

Teoricamente risponderei di sì, nei fatti lo escludo non avendo nessun interesse politico. Non dimentichiamo che ad oggi il Web significa esclusivamente Stati Uniti d’America: lì è nato e americane sono Google, Facebook, Microsoft, Apple, Whatsapp, Istagram. Negli Stati Uniti esistono ancora regole da rispettare, nonostante tutto.

Però gli Stati Uniti non dormono sonni tranquilli.

Ad oggi sono cinque anni avanti rispetto alla Cina, ma la Cina sta progredendo sistematicamente. Il problema che si pongono negli Stati Uniti è cosa potrebbe accadere tra cinque anni, e come mantenere questa loro supremazia. Non credo che sarà semplice.

In Italia, invece? Lei ha detto che il vero problema della bulimia tecnologica non è soltanto quello di abbuffarsi di prodotti, ma il fatto che si accompagna alla “stitichezza” di molte organizzazioni.

In Italia scontiamo in generale un ritardo tecnologico, il difficile rapporto con la cultura scientifica è un tratto storico, a livello di massa è prevalso piuttosto il folclore nell’uso del Web, dei cellulari, dei tablet, piuttosto che la consapevolezza di una rivoluzione verso la conoscenza e la crescita di socializzazione, oggi l’aspetto più preoccupante in questo campo è che si continua a commettere errori senza avvantaggiarsi degli errori compiuti da chi è arrivato prima come negli Stati Uniti. Il che rende ancora più lenta la corsa.

Le faccio un esempio: già un anno fa segnalavo l’anomalia della corsa verso il cloud “nazionale” della nostra Pubblica Amministrazione, una gara quasi miliardaria, si stavano preparando i grandi player del settore con alleanze strategiche, TIM con Google, Fincantieri con Amazon, Fastweb con Oracle, Leonardo rafforzando la propria partnership con Microsoft. E domandavo: perché TIM e Fincantieri o Leonardo non hanno scelto di allearsi tra loro? La riposta è che l’Italia non ha una tecnologia “proprietaria”, le relative competenze e il controllo dell’infrastruttura. Dobbiamo rassegnarci al gap tecnologico, ormai incolmabile, che separa il nostro paese (ma anche tutta Europa) rispetto alle Big Tech. La diretta conseguenza è che il “cloud nazionale” sarà inevitabilmente “internazionale” e non italiano. Sono contrario all’autarchia, ma sono ugualmente refrattario alla “sottomissione”, in qualsiasi forma si presenti.

Questo riguarda anche la guerra informatica?

La dobbiamo considerare un aggiornamento della Guerra Fredda. Gli attacchi infornatici subiti in Italia sono un fenomeno che altri paesi avevano già vissuto cinque anni fa. E’ evidente che anche in questo campo si sconta il ritardo della cultura tecnologica del paese. Si tratta, quindi di una novità relativa, direi comunque il segno di una tardiva comprensione dei nuovi terreni sui quali già da tempo si è aperta la guerra tra Est e Ovest del mondo. I conflitti cyber possono avere diverse forme: ad esempio convenzionali, come il blackout della rete elettrica di Kiev attribuito agli hacker russi, oppure sabotaggi come quando nel 2009 i servizi segreti statunitensi e israeliani sabotarono il programma nucleare iraniano attraverso un malware diventato noto con il nome di Stuxnet. E’ ovvio che l’Italia debba adeguarsi a questa “nuova guerra” senza pensare di potersi avvalere esclusivamente di un ombrello protettivo atlantico come durante la prima “Guerra fredda”.

Il punto è che ancora non si considera centrale nel nostro paese il problema dei cervelli, che non mi pare risolva neppure il “Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024”. In tutti i settori innovativi la ricerca è il pilastro su cui si fonda qualsiasi passaggio successivo e la possibilità di farla sul serio dipende soprattutto dal “chi”.

E quindi lei ha deciso di scrivere romanzi gialli con trame che si sviluppano intorno alla rivoluzione artificiale e all’uso distorto della tecnologia.

Scrivere un romanzo giallo è prima di tutto un divertimento per chi lo scrive. Sempre sperando che poi alla fine uno riesca a dire (meglio sarebbe: a dare) quello che voleva scrivere: io vivo non solo in mezzo ai computer, ai pirati informatici e alla guerra silenziosa, ma anche agli studenti. Sono convinto che la letteratura rimanga un canale di comunicazione, vorrei dire di condivisione, formidabile, perché non può mai prescindere dalla relazione tra chi parla e chi legge. E nel romanzo a parlare non è solo chi ha scritto, ma soprattutto coloro (i personaggi) che prendono vita durante la narrazione, ponendosi sullo stesso piano del lettore non vivendo su Marte, come nel caso dei mei libri. E qui ritorniamo al problema culturale. Che rappresenta sempre un problema di comunicazione e di condivisione, con ogni strumento, senza pensare che l’uno sia in alternativa all’altro: bensì complementare.

ACQUISTA

Alessandro Curioni "Il giorno del bianconiglio"

ACQUISTA

(foto: particolare – licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/742594)