La bigenitorialità: diritto o dovere? Una sentenza del Tribunale di Roma
In questo periodo di clausura, il primo penso di tutta la mia vita adulta in cui non sono obbligata al tran tran quotidiano , avevo deciso che avrei trovato il tempo per scrivere le tante cose che avrei da sempre voluto scrivere, non trovando mai, in situazioni normali, la dilatazione di tempo necessaria. Il proposito è andato sfumandosi di giorno in giorno essendo preda non dico di uno stato ansiogeno eccessivo, seppur presente, quanto dallo sgomento per il dolore e gli errori che l’umanità ha davanti a sé e con i quali deve fare i conti.
Uno strano senso sospeso
Uno strano tempo sospeso nel quale le considerazioni, i pensieri, le parole si susseguono, sebbene da remoto, ad una velocità incredibile e sembra che sia inutile aggiungere qualcosa, perché tutto e il contrario di tutto riempie il nostro mondo virtuale e il nostro spazio interno. Dunque ero in questo stato, diciamo di stasi elaborativa e di ascolto, scegliendo il silenzio, quando domenica 19 aprile, un articolo pubblicato su Repubblica mi ha provocato un terremoto interiore e ho avuto l’immediato impulso di far uscire delle considerazioni che penso doverose. L’ articolo riporta la decisione del Tribunale dei minorenni di Roma, interpellato da un padre separato, per vedersi riconosciuto il diritto di visita al figlio che la madre negava, a quanto si evince dall’articolo, per la situazione di contingente pericolo. L’articolo infatti inizia con un virgolettato “Il padre separato ha diritto di vedere il figlio nonostante le restrizioni dovute al corona virus” e in un altro virgolettato “L’inviolabile diritto del minore alla bigenitorialità” e continua senza virgolette, (penso un’ovvia deduzione del giornalista)-diritto che si pone sullo stesso piano del diritto alla salute-. Ovvia deduzione perché è la prima e legittima che arriva davanti ad una simile lettura. Più volte ho, in altri articoli e nel testo che ho pubblicato insieme all’amica psicoanalista Elena Liotta “Nel dominio del padre”, portato all’attenzione la realtà della prole in caso di separazione dove è avvenuto maltrattamento, facendo presente, in virtù dell’ormai più che trentennale esperienza, che là dove c’è disputa non dico sui beni mobili o immobili che siano,(questo può avvenire anche in caso di separazioni conflittuali ma non violente,) ma sul tempo di divisione delle figlie/i, siamo quasi sempre di fronte ad una coppia in presenza di separazione giudiziale.
Genitori, diritti e doveri
E sempre per esperienza non solo mia, si è andate via via verificando che in quasi tutte le separazioni giudiziali si annida una storia di maltrattamento. Continuando sappiamo, senza ombra di smentite, per dati reali rilevati dai maggiori organismi nazionali e internazionali, che la violenza domestica è agita dagli uomini sulle donne. Rispondo prima che l’ineliminabile osservazione sorga affermando che sì, accade anche che siano le donne ad agire maltrattamenti e violenza per rassicurarvi però del fatto, che la percentuale è statisticamente irrilevante, così come è irrilevante il numero delle donne che uccidono i compagni o gli ex compagni, in confronto alla mattanza quasi quotidiana dei femminicidi. Questa premessa non per spostare il focus sul maltrattamento domestico subito dalle donne, ma per far capire che proprio questo è direttamente collegato ai diritti sempre più disattesi della prole sia in regime di convivenza che di separazione.
Nelle situazioni di separazione giudiziale (praticamente la quasi totalità all’interno delle quali avvengono ricorsi di questo tipo) le bambine e i bambini diventano l’unico strumento che resta all’ex compagno per continuare ad avere un controllo sulla vita dell’ex partner e per mettere in atto azioni (quasi sempre attraverso la prole) mirate a provocarne sofferenza impedendole la possibilità di tornare ad un sereno iter esistenziale. Tutto questo dovrebbe essere ormai se non di pubblico dominio, almeno assimilato dalle istituzioni grazie anche al lavoro continuo dei Centri antiviolenza che hanno contribuito e contribuiscono a fare cultura in questo settore diffondendo dati, sensibilizzando, formando e interagendo con le istituzioni preposte: scuole, forze dell’ordine, ordini professionali e ogni altra realtà coinvolta. Sembra però di essere ancora molto lontane/i dal prendere atto di cosa davvero accade in queste situazioni e le conseguenze che siamo costrette/i a vedere sono, purtroppo, quelle della vittimizzazione secondaria nei confronti delle donne già vittime di violenza e soprattutto nei confronti delle figlie/i che, quasi certamente vittime di violenza assistita, vengono considerate/i una proprietà degli adulti in nome di una bigenitorialità che sembra debba andare avanti a tutto.
La mistificazione, in nome del diritto del minore
La cosa più tremenda poi è il fatto che tutto ciò venga mistificato in nome del diritto del minore, non avendo la consapevolezza e/o il coraggio per affermare che il diritto che viene garantito non è quello della prole ma dei genitori e, come abbiamo visto, quasi sempre, quello del padre che pretende un “suo diritto” anche di fronte a situazioni assurde . Non penso certo che i padri non siano fondamentali nella vita dei figli/e e lungi da me il pensare che non debbano essere presenti nella loro crescita, come non penso che ci siano madri(le eccezioni sono sempre possibili ma non incidenti sulla totalità) che, se non con più che avvalorate motivazioni in protezione dei loro bambini/e, desiderino estromettere il padre dalla loro esistenza. In trent’anni di professione, la maggior parte dei quali tra l’altro proprio con donne che subiscono violenza e che dovrebbero essere le più arrabbiate, non ne ho incontrata una.
Allora, ritornando al tema del diritto dei minori (diritto non dovere) alla bigenitorialità, potremmo porci delle domande: che padre può essere quello che ricorre ad un tribunale per vedersi riconosciuto il diritto di avere il figlio/a per il periodo stabilito valutando che il periodo che stiamo vivendo è quello che sta sconvolgimento l’intero pianeta? Un periodo nel quale al meglio che vada le bambine e i bambini devono superare una prova forse ancora più dura di quella degli adulti vivendo sia privazioni alle quali non sono abituate/e, sia l’inevitabile angoscia che le/gli adulte di riferimento , anche ponendo in essere le migliori strategie educative e di vicinanza, non possono trasmettergli certo la serenità che vorrebbero? Ma, soprattutto, un periodo di reale e incontestabile pericolo per la stessa vita?
Dall’articolo si evince, e il giornalista sembra averlo letto come me, che tutto questo è subordinato al diritto del bambino alla bigenitorialità. Diritto del bambino? Siamo sicure/i? Siamo sicure che la madre non avesse valutato che il rischio per la salute di suo figlio fosse reale? (magari conoscendo le abitudini del padre o magari perché ubicato in luogo con più contagio o per qualsiasi altra legittima ragione)? Siamo sicure/i che il bambino/a volesse andare dal padre o magari che, più bisognoso di stabilità o contenimento materno perché stressato/a dal regime di privazione, non avesse espresso il desiderio di non spostarsi? Già… ma vengono ascoltate/i i bambini?
Questo è un diritto contemplato davvero o solo enunciato poiché si presume che non possano esprimere disagi od opposizioni perché dilaga la convinzione che siano per forza condizionate/i da madri rivendicative che esercitano su di loro un magico potere plagiante ? Vengono ascoltate davvero le motivazioni delle madri che in alcune situazioni si rifiutano di consegnarli? Siamo davvero sicure/i che possa essere un buon padre quello che pretende un figlio/a e che non è capace di trovare un accordo, di capire, di mediare specialmente in un momento come questo?
Nei tanti percorsi di separazione anche in quelle più devastanti, (perché la fine di una relazione affettiva è sempre molto dolorosa e quasi sempre conflittuale) dove però non c’era stata violenza(ricordo che conflitto e violenza sono due cose molto diverse), i genitori hanno sempre trovato il modo di accordarsi per amore delle/i figli e sono riuscite/i , pur dandosi delle regole per poter riorganizzare la loro vita( anche nei momenti di maggior rabbia) , a dare spazio ai bisogni-richieste della prole con elasticità, fidandosi uno dell’altra .
Nelle separazioni con violenza questo non accade mai e vedo in continuazione padri rendere la vita impossibile alle ex compagne questionando su tutto e addirittura pretendendo figli anche in presenza di febbre o pretendendo parità di tempo di suddivisione esistenziale, anche costringendoli/e quasi quotidianamente a percorrere distanze riguardevoli vivendo in comuni diversi, , prendendo un eventuale saltuario diniego delle madri, anche in situazioni estreme, come un attacco al loro diritto paterno ma, soprattutto, alla loro decisionalità e potere.
Questo non credo possa chiamarsi amore ma potere-possesso
Sicuramente, in un articolo non può essere esplicitato né approfondito quel tutto che speriamo sia stato ben valutato, per arrivare a quella che è stata la decisione assunta dal Tribunale dei Minori, ragione per la quale sospendo il giudizio, supponendo sia l’estrapolazione dei vari pezzi a non rendere il senso di un intero processo di valutazione.
Può essere che ci troviamo davanti ad uno dei rari ed eccezionali casi di reale tentativo di gestione abusante della prole agito da una madre; tutto è possibile… Sicuramente però è doverosa una riflessione, visto che situazioni di questo genere sono quelle tipiche enunciate e riscontrate nei contesti di violenza intrafamiliare che coinvolgono proprio, insieme alle madri, i bambini/e che diventano l’unica modalità di ricatto da parte del maltrattante e che continuano a non essere visti in quanto persone da rispettare, ascoltare e proteggere, ma vengono ridotti ad oggetti di rivendicazione e a loro volta continuano a subire, insieme alle madri stesse, una violenza istituzionale secondaria.
Riporto, per finire, le prime righe dell’articolo che, al di là di tutte le considerazioni precedenti, meritano una grande attenzione e invito ogni padre e madre a leggerle e a fare una profonda riflessione “Il padre separato ha diritto di vedere il figlio nonostante le restrizioni dovute al coronavirus”. Sul contenzioso tra genitori separati durante la pandemia per la prima volta si è espresso un tribunale per i minorenni, quello di Roma, che ha deciso che il padre debba incontrare il minore per “l’inviolabile diritto del minore alla bigenitorialità”. Diritto che si pone sullo stesso piano del diritto alla salute.” -Sembra legittimo il chiederci, se salute e diritto alla bigenitorialità sono equiparati e uno non può essere subordinato all’altro, entrando questi in eventuale conflitto, magari in situazioni di estremo pericolo sanitario, a quale conclusione assisteremmo .
L’associazione porta a tempi lontani quando in molte culture, tra cui l’antica Roma, il padre aveva diritto decisionale di vita e morte sui figli/e e lo esercitava fin dalla nascita alzando o abbassando il dito pollice, e a tempi più recenti risalenti al nuovo diritto di famiglia quando appunto, a quanto ci risulta, dovrebbe essere stata abolita la patria potestà che, forse per troppa sensibilità all’argomento, mi sembra abbia lasciato tracce ancora visibili.
(foto: succo – licenza pixabay https://pixabay.com/it/photos/martello-libri-legge-tribunale-719066/ )

Daniela Lucatti è nata a Pisa nel 1953. Psicologa, Psicoterapeuta specializzata in Sessuologia Clinica. Opera presso il Centro Antiviolenza e la Casa della Donna di Pisa, si è occupata di età evolutiva, intercultura, sessualità, violenza di genere, sia per istituzioni pubbliche che associazioni, è referente toscana di Thém Romanò (Associazione Autonoma di Rom e Sinti, fondata dal prof. Santino Spinelli). Scrittrice, con pubblicazioni di poesia, prosa e saggistica.