È bene informare tutti i lettori della rubrica che quando citiamo il nome di Paul Thomas Anderson, che di mestiere non fa solo il regista, ma anche sceneggiatore, direttore della fotografia e produttore, tutta Hollywood si gira. Questo perché egli è riuscito, con tutti i suoi lungometraggi (e in futuro sicuramente ne parleremo) a spostare l’ambiente autoriale cinematografico statunitense verso nuove prospettive.
Il film di questa settimana, l’ultima sua creazione, fissa come riferimento la vita di un uomo dalla straordinaria popolarità dell’ambiente in cui vive, la Londra degli anni ’50, e lavora, il mondo della moda, che è praticamente proporzionale alla sua frustrazione che si tramuta in solitudine. Una mente indubbiamente geniale che, tuttavia, manifesta un’assenza di umanità, o meglio di sentimento, catapultandolo in un egocentrismo pragmatico che lo fa chiudere in una profonda infelicità. Il nostro protagonista, interpretato da un mostro sacro della recitazione come Daniel Day-Lewis, si imbatte in un personaggio femminile che è, tuttavia, più forte di lui, in quanto, provenendo anche da un ambiente totalmente differente, non ha basato la sua esistenza soltanto sulla razionalità, ma si ritrova, spesso, a fare i conti con la propria emozionalità. Fa di tutto per scuotere la quotidianità dell’uomo che ama, al fine di fargli tirar fuori quel lato che sembra sedimentato sotto un grosso strato di apparenza. Per farlo, però, è costretta a utilizzare dei metodi non corretti, o meglio a essere più spietata di quell’apparente scintillio in cui lui si rifugia e che rivolge, qualche volta, contro di lei, nel momento in cui non accetta una virgola fuori posto della sua routine. Grazie a questo, però, trova il suo punto debole e lui, aprendo gli occhi sulla sua asocialità, accetta le nocive condizioni poste da lei.
Un serpente che morde un altro serpente. La ferocia psicologica che viene crepata da altrettanta ferocia. Un amore velenoso che, alla fine, non è altro che lo specchio della nostra attuale società, dominata dal desiderio di voler essere sempre sulla cresta dell’onda, anche fosse soltanto all’apparenza, senza minimamente badare a quell’aspetto fondamentale di cui si compone una parte del corpo dell’umanità, ossia la bellezza, perché per quanto si possa lavorare, come fa il nostro protagonista, sull’aspetto esteriore ed estetico, se il nostro cuore non è in grado di vedere l’essenza di bellezza siamo condannati a una vita profondamente vuota.
Lorenzo Simonini è nato a Viareggio nel 1988. Iscritto al corso di laurea in Cinema e Produzione Multimediale alla Sapienza di Roma, si laurea a pieni voti nel 2014 all’Università di Pisa con una tesi di ricerca sul cineasta amatoriale Costantino Ceccarelli (sul quale pubblica un saggio nel 2015). Ha scritto e diretto cortometraggi e videoclip.