Questa settimana chiudiamo le uscite del mese di Aprile della nostra rubrica con uno dei lungometraggi più affascinanti e commoventi che siano usciti negli ultimi dieci anni, diretto dal trentenne debuttante Benh Zeitlin e scritto dallo stesso insieme a Lucy Alibar, autrice dell’opera teatrale da cui è tratto.
“Re della terra selvaggia”, girato interamente in 16 millimetri con un piccolo budget, ha spopolato in numerosi festival internazionali, primi fra tutti il Festival di Cannes e il Sundance Film Festival. Candidato a 4 Premi Oscar nel 2013, la vicenda vede come protagonista la piccola Hushpuppy, che vive insieme al padre, severo ma affettuoso, in una comunità ubicata nel sud della Louisiana, territorio drammaticamente noto per i continui devastanti cicloni.
La dolcezza e il coinvolgimento della trama si instaura soprattutto nel particolare rapporto che lega la bambina con il proprio padre. Quest’ultimo, infatti, cerca di educare Hushpuppy ad affrontare la durezza della vita, piena di insidie, e di farle capire che, quando lui non ci sarà più, lei dovrà cavarsela da sola in un mondo che sta diventando sempre più pericoloso. La società, infatti, diventa sempre più spietata e la Terra sempre più flagellata dai disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici e dallo scioglimento dei ghiacci. L’uragano che troviamo nel film, infatti, porta con sé significati di vario tipo: non soltanto il peggioramento delle condizioni climatiche ed ecologiche del nostro pianeta, ma anche la devastante forza con cui la vita impatta sul futuro di tutte le persone, specialmente dei bambini.
Un rapporto speciale quello tra padre e figlia che in questo film si arricchisce di un contributo registico e artistico davvero carico di emozione e magia, specialmente quando poi nel cuore della bambina si fa luce il desiderio di voler andare a cercare la madre, mentre nel frattempo il padre vorrebbe che lei diventasse la regina di quelle terre così martoriate dalle inondazioni da aver bisogno di uno spirito guida che aiuti gli abitanti a vivere in maniera dignitosa in una zona degli Stati Uniti molto difficile.
A prescindere da ciò che questa bambina andrà incontro, è giusto far esaltare uno dei rapporti più belli che la vita possa regalare a un uomo, ossia il legame speciale tra un padre e una figlia. Sono consapevole che nel mondo non tutti i rapporti di questo tipo sono idilliaci, specialmente di questi tempi, ma il mio augurio è che il bene possa trionfare sempre.
Voglio chiudere un articolo interrogandomi su una questione che ritengo delicata e molte volte sottovalutata, ossia quella dell’ostinata testardaggine a voler tradurre i titoli in italiano. In inglese questo film s’intitola “Beasts of the Southern Wild”. Perché è stato tradotto in “Re della terra selvaggia”? O meglio, cosa c’entra il “Re”? Perché l’italiano deve sempre pensare in maniera maschilista? Non poteva essere “Regina della terra selvaggia”, se proprio se ne sentiva la necessità? Come scrisse Alessandro Manzoni su Napoleone Bonaparte: “Ai posteri l’ardua sentenza…”.
Lorenzo Simonini è nato a Viareggio nel 1988. Iscritto al corso di laurea in Cinema e Produzione Multimediale alla Sapienza di Roma, si laurea a pieni voti nel 2014 all’Università di Pisa con una tesi di ricerca sul cineasta amatoriale Costantino Ceccarelli (sul quale pubblica un saggio nel 2015). Ha scritto e diretto cortometraggi e videoclip.