Nuovo appuntamento con “Cinema Tips” la rubrica per coloro che cercano uno spunto, un suggerimento o una riflessione per scovare o ritrovare qualche film da vedere o da rivedere magari con occhi differenti. E proprio questa settimana ritengo che per molti lettori sia quest’ultimo caso, trattandosi di un film estremamente noto e diverse volte passato in televisione. Sto parlando dell’intramontabile “The Truman Show”.
Lungometraggio uscito nel 1998 e diretto da Peter Weir, che per il ruolo vinse a scapito di altri registi ben noti come Tim Burton, Steven Spielberg e, prima di loro, la rinuncia da parte di Brian De Palma, è tratto da una bozza scritta da Andrew Niccol, che ha curato la sceneggiatura. Peter Weir fu sicuro di scegliere per il ruolo del protagonista Jim Carrey, attore fino a quel momento conosciuto per i suoi ruoli all’interno di pellicole comiche e demenziali, il quale decide qui di cimentarsi e di debuttare in un ruolo drammatico. Da aggiungere che in Italia per questo film Jim Carrey è stato magistralmente doppiato da Roberto Pedicini.
Il lungometraggio è una spietata riflessione sul consumistico e illusorio mondo della televisione, capace, come scritto dal filosofo Jean Baudrillard, di uccidere la realtà. L’ossessione di cercare una vita migliore all’interno di una scatola che è finita nelle case di tutti noi come “un gigante timido” (Marshall McLuhan) e che ha finito per influenzare notevolmente le nostre abitudini e il nostro modo di interagire a livello sociale. Certo, il film risale a più di 20 anni fa e oggigiorno la situazione massmediatica è notevolmente cambiata con l’avvento di Internet e dei Social Media, ma il concetto, di fatto, rimane lo stesso. Fare in modo che la vita, sin dalla nascita, di un uomo venga messa costantemente in diretta mondiale senza alcuna interruzione pubblicitaria o di altro tipo si basa sul fatto che la televisione è, appunto, l’unico strumento in grado di soddisfare il nostro desiderio di fuggire da una realtà crudele e piena di menzogne, quando poi è il set televisivo la vera bugia in cui un uomo scopre tremendamente di esserne prigioniero. C’è, dunque, anche la riflessione di come la tv era diventata, a quei tempi, la prigione di molte illusioni delle società occidentali e consumistiche. La tv spazzatura, con i suoi reality show tesi soltanto ad incantare gli spettatori senza alcun rimando culturale o sociale e senza alcun interesse a dar loro una possibilità di riflettere, utile soltanto a chi controlla i palinsesti, come un burattinaio, per incassare soldi e sponsorizzazioni. Insomma, si potrebbe dire che questo lungometraggio è un’inquietante riflessione su quel mondo incantato e artefatto che è la televisione, strumento divenuto capace di isolarci completamente a livello sociale per farci consumare potenzialmente tutta la nostra esistenza di fronte a lui e che riesce a intromettersi nelle nostre quotidianità plasmando le nostre relazioni, dagli argomenti (di fatto, parliamo sempre di qualcosa che accade in tv) al modo di porsi con gli altri membri della nostra società.
L’intera riflessione, comunque, si colloca rispetto al periodo in cui è uscito, ma oggigiorno è possibile riflettere su certi argomenti anche prendendo in considerazione i Social Media? Chiudo l’articolo con questa domanda su cui vi invito a riflettere silenziosamente.
Lorenzo Simonini è nato a Viareggio nel 1988. Iscritto al corso di laurea in Cinema e Produzione Multimediale alla Sapienza di Roma, si laurea a pieni voti nel 2014 all’Università di Pisa con una tesi di ricerca sul cineasta amatoriale Costantino Ceccarelli (sul quale pubblica un saggio nel 2015). Ha scritto e diretto cortometraggi e videoclip.