Corsi e ricorsi

di MORENO BUCCI – Rileggendo le memorie di Alessandra Czeczott “Le lune divise”, della sua famiglia giunta a Forte dei Marmi ad inizio 900.


Alessandra Czeczott era la moglie di Enrico Vettori, e con lui aveva formato una delle più belle famiglie che io abbia conosciuto.
Alessandra era discendente di un’aristocratica famiglia polacca residente in Russia che, all’inizio del novecento acquistò un’abitazione al Forte dei Marmi, “buen retiro” in un posto frequentato da importanti famiglie e artisti. Alessandra, utilizzando largamente carte ed epistolari d’epoca, ne raccontò la storia nel suo libro “Le lune divise”, nel 2012, edito da “Franche Tirature”. Non voglio però recensire il libro, che ho letto con trasporto a suo tempo.

Oggi mi ha dato lo spunto per una citazione che dal tempo di Lenin ad oggi induce a qualche riflessione sul mondo contemporaneo, dove si palesa sempre più una tendenza verso una situazione di “servitù della gleba” nella condizione del lavoro salariato. La traggo dal capitolo “I racconti della Mami (1916 – 1924).

“Calmata la prima fase della Rivoluzione (di Lenin – NdA) ci fu un periodo in cui dovemmo iniziare a vivere quella nuova dimensione… Non eravamo precisamente odiati, perché per fortuna c’era lo zio Anton che era molto stimato da tutti, e poi perché l’intera famiglia era vista bene. Il padre della nonna Gabriella era medico e lui i suoi contadini (che allora erano veramente servi legati al suolo) li curava. Mentre invece lo zio Tolpycho era cattivo con i suoi contadini.
E’ morto qui a Forte dei Marmi, profugo e disperato”.