Giorgio Giannini, Avvocato (Milano)

Covid e Lavoro: si può licenziare oppure no?

di GIORGIO GIANNINI – il Governo, lo scorso 14 agosto, in “zona Cesarini” rispetto alla scadenza del blocco ha approvato nuove regole

Stretto tra chi spingeva per la rimozione integrale del blocco dei licenziamenti introdotto lo scorso 17 marzo e chi ne chiedeva la proroga fino a fine anno, il Governo, lo scorso 14 agosto, in “zona Cesarini” rispetto alla scadenza del blocco (17 agosto), ha pubblicato il Decreto n. 104, ribattezzato “Decreto Agosto” o “Decreto Rilancio 2”, che all’art. 14 prevede una nuova regolamentazione dei licenziamenti. E’ una regolamentazione frutto di un compromesso politico tra le due posizioni di cui si diceva e che, in quanto tale, sconta più di una criticità. Partiamo dai punti fermi. In taluni casi è oggi possibile per le aziende licenziare. In particolare possono intimare licenziamenti individuali o avviare procedure di licenziamento collettivo quelle aziende che hanno deciso di cessare integralmente e definitivamente l’attività aziendale con scioglimento e messa in liquidazione volontaria della società; le aziende in fallimento senza esercizio provvisorio dell’attività d’impresa; le aziende che sottoscrivono un accordo collettivo con le organizzazioni sindacali che preveda la cessazione dei rapporti di lavoro a fronte del riconoscimento di una somma a titolo di incentivo all’esodo (i licenziamenti saranno possibili solo per quei lavoratori che aderiranno all’accordo) ed infine le aziende che operano nell’ambito di un appalto quando vi è l’impegno dell’azienda subentrante nell’appalto al riassorbimento dei lavoratori in esubero. Come si vede, sono ipotesi perlopiù marginali (cessazioni integrali dell’attività o fallimenti senza esercizio provvisorio) o ipotesi in cui il costo “sociale” dell’esubero è già riassorbito (o dal riconoscimento di un incentivo all’esodo o dall’assunzione alle dipendenze del nuovo appaltatore). Fin qui tutto abbastanza chiaro.

Senonché il Governo ha anche previsto che resta preclusa la facoltà di licenziare a quelle aziende che non hanno “interamente” fruito dei trattamenti di integrazione salariale introdotti dallo stesso Decreto Agosto per far fronte all’emergenza Covid (art. 1) oppure dell’esonero contributivo per un numero di ore pari al doppio delle ore di cassa fruite nei mesi di maggio/giugno. Quindi, esemplificando, l’azienda Alfa che non ha fruito della cassa integrazione per Covid nei mesi di maggio/giugno 2020 ma ne ha fatto pieno uso nei mesi di marzo e aprile non potrà licenziare ma dovrà richiedere di accedere alla cassa integrazione che può durare un massimo di 18 settimane (quindi fino alla seconda metà di dicembre 2020 immaginando la concessione della cassa dalla metà di agosto). E solo alla fine del periodo di fruizione della cassa potrà licenziare (si consideri che le seconde 9 settimane di cassa sono “a pagamento” con aliquote che aumentano al ridursi del calo di fatturato dell’azienda richiedente). L’azienda Beta che invece ha fruito della cassa integrazione per Covid nei mesi di maggio/giugno 2020 non potrà licenziare ma potrà, alternativamente, richiedere la cassa integrazione per la durata ancora disponibile con il limite delle 18 settimane oppure richiedere di essere esonerata dal versamento dei contributi previdenziali. E qui sorge il problema. Infatti l’azienda Beta, che, ipotizziamo, ha fruito di una settimana di cassa integrazione nei mesi di maggio/giugno 2020, anziché richiedere la cassa per le restanti settimane, può chiedere di essere esonerata dal versamento dei contributi previdenziali per un numero di ore pari a due settimane (il doppio delle ore di cassa fruite nel bimestre maggio/giugno 2020). Finito il periodo di due settimane, l’azienda Beta potrà intimare licenziamenti quindi, immaginando che Beta cominci a fruire dell’esonero contributivo da fine agosto, già da metà settembre potrebbe intimare i recessi. Viceversa Alfa dovrà attendere fino a fine anno prima di avviare una ristrutturazione che comporti degli esuberi, pur avendo mostrato le stesse difficoltà di Beta dalla quale si distingue solo per non aver fruito di cassa integrazione nei mesi di maggio/giugno. L’iniquità delle due posizioni è evidente.

Sintetizzando, il nuovo blocco “mobile” dei licenziamenti non convince per la complessità del meccanismo (peraltro modificabile in sede di conversione del decreto in legge) e per la disparità dei trattamenti che ne derivano. Più in generale non convince l’idea che si possa risolvere il problema degli esuberi all’interno delle organizzazioni produttive, ormai strutturale, perpetrando l’intervento della cassa integrazione piuttosto che incentivando e supportando il processo di transizione dei lavoratori in esubero da un’organizzazione all’altra. In questo senso vanno gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dal Decreto Agosto mentre resta ancora al palo quella riforma delle c.d. “politiche attive”  che deve necessariamente accompagnare il pagamento delle numerosissime forme di indennità e bonus introdotte nel periodo emergenziale. L’auspicio è che già in sede di conversione del decreto il Parlamento provveda.