di BEATRICE BARDELLI – Intervista al dott. Aldo Allegrini di Lucca, i dati sul campo che dimostrano la diagnosi e la cura dei contagiati.
Questa non è una storia qualsiasi, anche se ben raccontata. Questo è un film. Un film fatto di parole da cui scaturiscono immagini. Ogni paragrafo è una scena. Ogni scena va letta e va immaginata. Protagonista Aldo Allegrini, un medico di famiglia sconosciuto ai media, ma non a chi lo ha potuto conoscere personalmente e professionalmente. Un medico-ricercatore di altissima qualità, un medico che ha fatto della solidarietà con altri medici a lui affini la “leva” per sollevare il mondo. Secondo Allegrini, un piccolo oggetto elettronico, un ecografo portatile, può diagnosticare con largo anticipo la presenza in una persona del contagio da Covid-19 attraverso un’ecografia toracica. Qui ci racconta, con la sua esperienza pluridecennale di “terapeuta”, che i suoi (e non solo) pazienti Covid-19 sono guariti grazie ad un algoritmo di farmaci messo a punto dallo stesso dottor Allegrini sulla base di esperienze verificate e studi all’avanguardia. Senza traumi da isolamento né ospedalizzazioni.
Chi è Aldo Allegrini
Lucchese, professionalmente medico di famiglia, sostanzialmente un medico-ricercatore da oltre 30 anni. Uno di quei medici che ha deciso di dedicare la propria vita allo studio oltre che alla pratica della medicina, nel senso più alto del termine. Figlio d’Arte (Medica), Allegrini, laureatosi in Medicina all’Università di Pisa con una specializzazione in Ematologia, ha avuto la fortuna di imparare subito, fresco di laurea, direttamente dal padre (medico di medicina generale e pneumologo in ospedale, al Sanatorio di Carignano-Lucca), a “mettere le mani sul paziente”, a “fare un esame obiettivo” e, soprattutto, ad “impostare le terapie”. Dal padre ha ereditato, infatti, l’abitudine deontologica a dosare secondo il paziente “perché i farmaci sono concepiti per persone di 70 kg”. Essendosi dedicato alla ricerca all’Università, Allegrini avrebbe voluto rimanere a lavorare in ambito ospedaliero ma non c’erano posti disponibili per cui, gioco forza, ha dovuto scegliere diversamente. E’ stato prima direttore di un Laboratorio privato di analisi cliniche, poi, nel momento in cui venivano creati i Dipartimenti di emergenza/urgenza, intorno al 1995, si è dedicato alla medicina d’urgenza acquisendo una lunga esperienza di 15 anni al Pronto Soccorso ed alla Guardia Medica di Montecatini ed al Pronto Soccorso di Barga. Ma già dal 1996 aveva ottenuto la convenzione come medico di famiglia. “Un pacifico medico di famiglia – sottolinea Allegrini.
Marzo 2020
Scoppiata la pandemia da Coronavirus, in pieno Stato d’emergenza, il 9 marzo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, blocca l’Italia imponendo il primo lockdown. La vita di tutti viene stravolta e anche quella professionale del dottor Allegrini. “Nel mio ambulatorio fuori le mura, nel quartiere di San Donato, non veniva più nessuno – ricorda – , mancavano i device, mancava tutto”. Intanto si ripetono in tv gli appelli della Protezione Civile che cercano medici volontari da inviare nelle “zone rosse” d’Italia come task force Covid-19. Allegrini non ci pensa due volte. A fine marzo invia il modulo di adesione, dopo due giorni la prima telefonata: “La chiameremo”. In seguito verrà a sapere che a quell’appello hanno risposto in 7.000 ma che solo 500 medici sono stati selezionati. Tra questi anche lui. L’11 aprile, la seconda telefonata: “Si tenga pronto, parte subito”.
La vita è un’avventura
E’ il 14 aprile quando parte per Roma, in treno. Destinazione l’Hotel Universo, a due passi dalla Stazione Termini. Sono 60: medici provenienti dal Centro e Sud Italia e dalle Isole, solo due sono medici di famiglia, uno è Allegrini. Primo giorno, mascherina e tutti tamponati, due risultano positivi, per loro finisce l’avventura. Ma non per Allegrini. “Arriva Borrelli, il Capo della Protezione Civile, che ci dice cosa dobbiamo fare. Dovremo portare il nostro aiuto nelle Rsa (Residenze sanitarie assistite, n.d.r.) dove c’è l’emergenza – racconta Allegrini – . Ci comunica quali sono i gruppi di medici che andranno nelle varie regioni d’Italia per tre settimane. A me tocca il gruppo della Lombardia, destinazione Pavia”. Un mini-gruppo formato da 3 toscani: Allegrini, il dottor Carlo Bergamini, chirurgo all’Ospedale di Careggi (Firenze) ed il dottor Massimo Scopelliti, cardiologo all’Ospedale del Valdarno. Il giorno dopo, all’aeroporto militare di Pratica di Mare, in partenza per Bologna, arriva anche il ministro Boccia (Affari regionali e Autonomie, n.d.r.) a salutarli.
Pavia: caput mundi
Ovvero, come una piccola task force può rivoluzionare il mondo, della scienza, della medicina e delle relazioni umane. A Pavia c’era già il dottor Frank Lloyd Dini, cardiologo di Pisa, inviato dalla Protezione Civile 15 giorni prima. E’ lui a rivelare ai colleghi toscani che sta lavorando su un progetto per fare diagnosi precoci di Covid-19 con l’ecografo. “Guarda caso – racconta Allegrini – proprio di questa novità, l’uso dell’ecografia toracica per la diagnosi precoce del virus, ne avevamo parlato a Roma”. E, guarda ancora il caso, il dottor Bergamini aveva portato con sé il suo mini ecografo portatile. E siccome ambedue conoscevamo il dottor Gino Soldati, che lavora al Pronto Soccorso di Castelnuovo Garfagnana e che è considerato il “padre” dell’ecografia toracica in Italia, gli abbiamo subito telefonato per chiedergli cosa ne pensava dell’ecografia toracica nei pazienti Covid. Volevamo avere informazioni sulla possibilità di fare diagnosi precoci con l’ecografia. Non ci ha detto molto ma ci ha messo la pulce nell’orecchio: ‘Hanno un quadro molto particolare… ‘. La scoperta era nell’aria”.
Il brainstorming
“Quando siamo arrivati a Pavia non sapevamo cosa potevamo o dovevamo fare. Avevamo l’’impressione di essere stati mandati allo sbaraglio, nemmeno le Agenzie territoriali ci fornivano indicazioni precise – racconta Allegrini –. Poi arriva una lettera: nella Rsa ‘la Risaia’ su 10 tamponi effettuati agli ospiti, 9 sono positivi. Così veniamo spediti lì per studiare il problema. I primi due giorni li abbiamo passati ad osservare l’organizzazione, la struttura e le terapie”.
La sera, in quell’ostello vicino al Policlinico San Matteo di Pavia dove erano alloggiati, inizia il brain storming dei quattro medici toscani inviati dalla Protezione civile. E’ il dottor Dini, cardiologo al Cnr di Pisa, a fare la proposta: “i tamponi sono rari e la loro refertazione è troppo lenta, perché non dedicarci alla ricerca e andare nelle Rsa a fare le ecografie toraciche?”.
A Pavia, una percentuale altissima degli ospiti delle Rsa era positiva al Covid, età media 88 anni con varie patologie, molti anziani morivano. La proposta del dottor Dini di esplorare l’efficacia dell’ecografia polmonare per la diagnosi precoce li entusiasma. L’idea, in realtà, era stata del responsabile del Pronto Soccorso del Policlinico San Matteo di Pavia: attraverso lo screening toracico degli ospiti si poteva perfezionare il sistema di diagnosi del Covid e la gestione interna delle stesse Rsa, rallentando l’avanzata del contagio. Ma mancavano gli ecografi. E soprattutto gli ecografisti. C’erano sì le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) ma erano composte da medici giovani ed inesperti, medici da formare sul territorio, non nell’ospedale. L’incontro del direttore del Pronto Soccorso con la direttrice generale dell’ATS (Agenzia di Tutela della Salute) di Pavia, dottoressa Mara Azzi, è determinante per trasformare quell’idea in una concreta risorsa per il territorio dove le criticità sono altissime, soprattutto nelle Residenze. E’ il primario di chirurgia del San Matteo, il professor Andrea Pietrabissa, a muoversi per far arrivare due miniecografi portatili per iniziare al più presto uno screening sui pazienti delle Rsa del territorio. Si tratta di una sperimentazione unica nel suo genere che vale la pena fare. Ma c’è bisogno subito di medici esperti.
A scuola di ecografia
“L’équipe del Pronto Soccorso del San Matteo di Pavia ci ha fatto un corso di formazione di tre ore prima di mandarci nelle Rsa – racconta Allegrini – . Noi avevamo già il “nostro” ecografo portatile, Bergamini era già un ecografista esperto, ed insieme, già nel pomeriggio, su richiesta dell’ATS, siamo andati nella Rsa di Gambolò (Vigevano): più di 80 pazienti, quasi tutti affetti da Covid. Abbiamo imparato la tecnica sul campo. Li abbiamo ecografati e abbiamo fatto il confronto con il risultato dei tamponi e con la sintomatologia dei pazienti. Il giorno dopo, in un’altra Rsa, abbiamo ecografato altri 50 pazienti. Dopo 150 ecografie ero in grado di farle anch’io. Poi, sono arrivati due “Cerbero” donati dai Lions di Vigevano, due mini-ecografi nuovi e più potenti. Ci siamo divisi in due squadre, abbiamo preso le USCA e le abbiamo portate con noi al letto dei pazienti, per insegnargli ad utilizzare l’ecografia polmonare per diagnosticare il virus”.
Le Strie A e B
“Abbiamo imparato che il Covid si fa vedere perché lascia delle strie B, artefatti assenti o presenti sporadicamente nel polmone sano – spiega Allegrini – . Quando si fa un quadro toracico con l’ecografia che utilizza gli ultrasuoni, l’unica cosa del polmone che possiamo vedere è la pleura. Nel paziente sano vediamo sotto la pleura una sequenza di strisce orizzontali, bianche su fondo nero, sono le strie A, fisiologiche. Al contrario, la pleura del paziente Covid si presenta non perfettamente liscia, spesso frastagliata, ci sono delle zone di interruzione da cui si dipartono strie particolari, strisce verticali, molto strette e luminose, che appaiono e scompaiono come dei flash. Sono le strie B, patologiche. Si ritrovano anche nelle insufficienze renali, nella silicosi, nell’asbestosi ed in tutte le condizioni di “polmone umido”, ma nella malattia da Coronavirus hanno un aspetto particolare: sono più strette e più luminose. Quando le strie B sono più di 3 per campo polmonare, siamo di fronte ad un quadro suggestivo. Se si esclude che il paziente non abbia un’insufficienza cardiaca, non sia affetto da asbestosi o da silicosi, allora il quadro è suggestivo di polmonite interstiziale da Covid”.
Ecografo e tamponi
“Le Rsa lombarde sono diverse da quelle toscane – racconta il dottor Allegrini – perché mentre le Rsa toscane sono a gestione infermieristica, quelle lombarde sono a gestione medica. Vista la situazione delle Rsa pavesi dove c’erano diverse problematiche, abbiamo avuto la necessità di fare l’ecografia polmonare a tutti i pazienti che erano sintomatici e non avevano fatto il tampone, ai pazienti con sintomi ma con tampone negativo e a quelli asintomatici con tampone positivo”.
Per tre settimane, su indicazione dell’ATS di Pavia, la mini task force toscana (Bergamini, Dini, Allegrini e Scopelliti, a coppie di due) è entrata in circa 20 Rsa con due piccoli ecografi portatili decisa a capire quanto un quadro toracico con strie B ed il tampone positivo fossero sovrapponibili e quale tra i due strumenti avesse la migliore sensibilità e specificità per fare la diagnosi Covid. Il risultato è stato sorprendente. Dei circa 300 ospiti visitati in 21 giorni, molti di quelli con tampone negativo presentavano un’ecografia tipica da Coronavirus.
“Abbiamo verificato, infatti, che il sistema dei tamponi, allora, non era del tutto affidabile per diagnosticare il Covid-19 quando il risultato era negativo – spiega Allegrini –. Se il risultato è positivo non ci sono molti dubbi ma, allora, abbiamo sperimentato un margine di errore del 25-30 per cento quando il risultato del tampone era negativo. Tuttora si continua ad usare come unica diagnosi il tampone ma ritengo che sia necessaria l’integrazione con l’ecografia toracica che non sostituisce il tampone ma è più sensibile perché rileva anomalie anche quando il tampone risulta negativo. Ma per fare una diagnosi precoce l’ecografo è senz’altro molto più efficace perché in soli 5-10 minuti si perviene ad una risposta”.
Si sono verificati, infatti, diversi casi di persone che presentavano sintomi sfumati oppure evidenti sintomi dell’infezione da Coronavirus ma che ai test-tampone, ripetuti più volte, risultavano invece sempre negativi. Per questo molti analisti hanno iniziato ad esaminare in una diversa prospettiva il valore di questo esame, finora ritenuto l’unico sicuro dal punto di vista diagnostico di infezione in atto.
Dalla Toscana al mondo
L’esperienza acquisita sul campo delle RSA di Pavia dai 4 medici toscani (Allegrini, Bergamini, Dini e Scopelliti) ha prodotto un lavoro scientifico redatto a più mani insieme al Policlinico San Matteo di Pavia, alle Università di Pavia e di Pisa ed all’ATS di Pavia sulla migliore utilità dell’ecografo portatile per la diagnosi precoce dei danni al polmone in anziani con sospetto Covid-19, rispetto all’utilizzo del tampone. Lo studio, fatto su una popolazione di 150 residenti in 12 RSA della provincia di Pavia, con una età media di 88 anni (l’85% donne) ha rivelato, ad esempio, che la positività all’ecografo portatile era del 73% dei residenti con sintomi mentre era del 53% in quelli senza sintomi. In conclusione, l’utilizzo dell’ecografo portatile è stato considerato molto utile per diagnosticare danni al polmone tra i residenti delle RSA con o senza sintomi compatibili con la polmonite da Covid-19.
L’articolo “Bedside wireless lung ultrasound for the evaluation of COVID-19 lung injury in senior nursing home residents”, inviato nel giugno dello scorso anno ed accettato per la pubblicazione il 10 luglio, è stato pubblicato il 2 settembre del 2020 sulla rivista in lingua inglese “Monaldi Archives for Chest Disease“. Si tratta di una rivista scientifica internazionale degli “Istituti Clinici Scientifici Maugeri” di Pavia, dedicati al progresso della conoscenza in tutti i campi della medicina cardiopolmonare e della riabilitazione.
Ritorno in Toscana
Dalla Lombardia, tornano cambiati i nostri quattro medici toscani che si sono guadagnati l’attenzione internazionale per il loro lavoro sul campo nelle RSA di Pavia. Tutti tornano “innamorati” dello strumento che li ha accompagnati nell’avventura pavese: l’ecografo portatile. Tornato a Firenze, il dottor Bergamini acquista subito un “Cerbero”, più moderno e potente, e il dottor Allegrini gli compra a buon prezzo il “vecchio”. Il dottor Dini ed il dottor Scopelliti continuano il loro lavoro di cardiologi con i loro ecografi ben più performanti e d’ora in poi, oltre al cuore, valuteranno anche i polmoni. Ognuno di loro è tornato nella propria città, al proprio posto di lavoro, ma la complicità di aver vissuto un momento storico della loro vita ha cementato un’amicizia ed una solidarietà che li legherà per sempre.
Una terapia efficace
A Pavia il dottor Allegrini aveva conosciuto la direttrice sanitaria della RSA di Gambolò che faceva il medico anche al Pronto Soccorso di Vigevano. Da lei era venuto a conoscenza del protocollo farmacologico che era stato messo a punto con risultati positivi per curare i pazienti malati di Covid. ”Più che di un protocollo si trattava di un ‘algoritmo’, un cocktail di farmaci a dosaggi alti composto da cortisone, idrossiclorochina, eparina a basso peso molecolare e da due antibiotici, una cefalosporina iniettiva e un macrolide – spiega il dottor Allegrini. Tornato a Lucca dai suoi pazienti, il dottor Allegrini si è detto: “l’ecografo per la diagnosi c’è, perché non fare questa terapia anche qui a Lucca?”. Così ha cominciato a trattare i pazienti suoi (ed anche alcuni dei suoi colleghi) modificando la terapia ed il dosaggio in funzione di ogni singola persona. Un lavoro di “sartoria clinica”, la definisce il dottor Allegrini. Le modifiche più importanti sono state, per alcuni pazienti, la sostituzione dell’eparina a basso peso molecolare con la Sulodexide ad alto dosaggio e l’introduzione, dal mese di agosto, della lattoferrina.
La scoperta della lattoferrina
Il 9 luglio del 2020 era stato pubblicato sul prestigioso International Journal of Molecular Sciences uno studio italiano dal titolo: “Lactoferrin as protective natural barrier of respiratory and intestinal mucosa against Coronavirus infection and inflammation” (Lattoferrina come barriera protettiva naturale del sistema respiratorio e della mucosa intestinale contro l’infezione e l’infiammazione da Coronavirus). Lo studio era il risultato di una strettissima collaborazione teorico-pratica nata tra i ricercatori delle Università di Tor Vergata e La Sapienza di Roma a seguito di una straordinaria intuizione della dottoressa Elena Campione (ricercatrice del Dipartimento di Dermatologia dell’Università di Tor Vergata), prima firma dello studio di cui sopra, che aveva fatto scattare l’interesse dei due Atenei per un approfondimento sia in laboratorio che in una verifica clinica in vivo. Così, presso il reparto Covid-19 di Tor Vergata, era iniziato il trattamento con Lattoferrina dei pazienti affetti da Coronavirus, in uno stadio iniziale, ed anche dei pazienti Covid positivi ma asintomatici.
Dopo soli 10 giorni dall’inizio della terapia i ricercatori avevano osservato la scomparsa di questi sintomi e dopo altri 10-12 giorni avevano anche ottenuto la negativizzazione dei tamponi. Intervistata al TgR Lazio, il 13 luglio, la dottoressa Campione aveva spiegato che la Lattoferrina, agendo come una rete a maglie strette che riesce a bloccare la porta d’ingresso del virus, bloccava le fasi precoci dell’infezione da Coronavirus per cui poteva essere usata anche nell’ambito della prevenzione ed addirittura, secondo i colleghi statunitensi dell’Università del Michigan, avrebbe potuto essere utilizzata anche nella fase successiva, quando la cellula è già infetta. La notizia non sfuggì certo al dottor Allegrini, attento ricercatore di documentazione scientifica aggiornata sui vari siti online: “Rimasi colpito dalla scoperta dei medici di Tor Vergata che erano riusciti a guarire i pazienti di Covid con la lattoferrina ed anche dalla sicurezza di questa molecola naturale – spiega il dottor Allegrini – . Mi sono documentato, ho sentito gli informatori scientifici del farmaco in commercio ed ho iniziato ad aggiungere lattoferrina nel mio “algoritmo” di farmaci. Ho iniziato con 200 milligrammi al giorno, poi ho aumentato a 400, poi a 600, poi ad 800 per 10 giorni. Attualmente ho aumentato il dosaggio anche a 1000 milligrammi al dì, dipende dal paziente. A pazienti ‘complicati’ ho dato anche metilprednisolone a 125/150 milligrammi al giorno”.
Guariscono tutti
“Dallo scorso settembre ad ora, ho visitato oltre 250 pazienti miei ed anche di altri colleghi. Circa 200, dai 20 ai 94 anni, li ho trovati con polmoniti interstiziali Covid correlate; la maggior parte di questi ha effettuato anche un tampone di conferma che è risultato positivo. Grazie all’ecografia toracica, tutti quelli che avevano il virus, tranne due casi, gliel’ho scoperto. C’erano casi sintomatici e asintomatici, di questi alcuni con tampone positivo o negativo. Ho visto anche pazienti asintomatici che presentavano un quadro suggestivo di Sars-Covid-19. Li ho trattati con la mia terapia farmacologica e sono tutti guariti. Anche nei pazienti asintomatici scomparivano tutti i quadri ecografici che erano presenti all’inizio – racconta il dottor Allegrini che ha redatto meticolosamente per ogni paziente la sua propria cartella clinica con i dosaggi studiati e mirati per ogni singola persona. Tutto è stato registrato. I pazienti curati con quello che il dottor Allegrini ama definire un ‘algoritmo’ non sono stati mai ospedalizzati, né sono mai stati ricoverati in terapia intensiva. E, soprattutto, nessuno di loro è morto. Al contrario, tutti sono stati curati a casa propria dove sono completamente guariti entro, massimo, 60 giorni dall’inizio della terapia.
Sintomi e tempi di cura
“L’importante è prevenire – insiste a dire il dottor Allegrini – . La tempistica è importante per riconoscere questa malattia. Se si esegue una diagnosi precoce si può impostare una terapia sartoriale per ogni singolo paziente ed ottenere ottimi risultati con i presidi terapeutici attuali sulla base del quadro clinico e del quadro strumentale”.
Ma quali sono i sintomi che devono mettere in guardia una persona?
“I sintomi possono essere i più diversi – spiega il dottor Allegrini – . Un po’ di tosse, una febbricola o anche febbre alta, dispnea, affanno, stanchezza, diarrea, mal di testa, dermatite, mancanza di olfatto e gusto, ho persino trovato una persona contagiata dal virus che aveva soltanto un ginocchio gonfio…”.
E quali sono i tempi della terapia, o meglio, in quanto tempo un paziente trovato affetto da Covid-19 può considerarsi completamente guarito?
“Il tempo di terapia può andare da 15 giorni ad un mese, dipende dalla risposta del paziente ma certamente non meno di una settimana, 15 giorni – spiega il dottor Allegrini –. Durante il trattamento non ha senso fare l’ecografia, nemmeno dopo 15 giorni perché il quadro ecografico si evolve solo dopo il 21° giorno. Infatti, solo allora, in tutti i pazienti – continua Allegrini – ho notato la riduzione delle strie B, ovvero la restitutio ad integrum, ovvero la scomparsa definitiva di tutti i fenomeni morbosi ed il ritorno al polmone sano. Ma dipende sempre dalla risposta del paziente, in alcuni le strie B sono sparite al 30° giorno, in altri al 40° o addirittura al 60° giorno. Dopo aver fatto la prima ecografia, dopo il 21° giorno, se non c’è la riduzione delle strie B, la ripeto dopo altri 15 giorni. Comunque, ho notato che il paziente, già al 15° giorno, sta bene, sta molto meglio e non ha più sintomi nella maggior parte dei casi. La cosa curiosa è che gli asintomatici guariscono addirittura prima, dai 15 ai 21 giorni”.
Eppur (qualcosa) si muove
Il primo tentativo di coinvolgere la Regione Toscana per far conoscere alle varie Asl territoriali l’utilizzo dell’ecografo portatile al fine di diagnosticare precocemente la presenza del Covid-19 andò fallito. Fu proprio il dottor Bergamini di Firenze, co-scopritore dell’efficacia preventiva dell’uso dell’ecografo portatile a Pavia, insieme al dottor Allegrini ed al dottor Dini, ad andare a parlare con l’allora presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che era stato anche assessore alla Sanità dal 2000 al 2010. La risposta fu lapidaria. “Non gli interessava – racconta Allegrini che, nella sua città, è diventato una vera e propria icona. “Dottore, ho avuto una sola fortuna, di avere incontrato lei” è una frase ricorrente tra i suoi pazienti.
Lucca e Firenze all’avanguardia
Non meraviglia, quindi, che, a seguito di una conversazione avuta con il dottor Allegrini, il Lions Club di Lucca abbia preso l’iniziativa di donare 3 ecografi portatili all’Asl Nord Ovest per farli utilizzare dai medici delle USCA che vanno a visitare i pazienti a casa. “E potenziare così la sanità territoriale”, ha detto alla stampa il dottor Luigi Rossi, direttore del Distretto Piana di Lucca.
Un esempio seguito a ruota dal Lions Club della Garfagnana che ha deliberato un’analoga donazione per le USCA della Valle (Bagni di Lucca, Piazza al Serchio e Pieve Fosciana). Il tutto preceduto da un corso di alta formazione al personale coinvolto tenuto da due medici che hanno dato la propria disponibilità, il dottor Alberto Mariani ed il dottor Gino Soldati. Proprio lui, il “padre” dell’ecografia toracica in Italia, il medico a cui, nell’aprile 2020, da Roma, si erano rivolti il dottor Allegrini ed il dottor Bergamini per avere informazioni più precise sull’utilizzo dell’ecografo portatile per la diagnosi precoce del Covid-19. Ma anche nel capoluogo toscano qualcosa si è mosso. Il dottor Bergamini è stato, infatti, chiamato dall’assessore alla Sanità del Comune di Firenze, Andrea Vannucci, per potenziare le attività delle USCA durante il trattamento domiciliare dei pazienti affetti da Covi-19 addestrandole ad eseguire ecografie toraciche con l’ecografo portatile. E sono già 52 gli ecografi portatili acquistati dall’Azienda USL Toscana Centro per un investimento di 300.000 euro.
Osservazione finale
“Sull’ecografia portatile siamo, comunque, in ritardo. Bisognerebbe dotare tutte le USCA di questi strumenti; un ecografo portatile costa tra i 3.000/3.500 ed i 4.000 euro, una spesa più che sostenibile per un’azienda sanitaria – sostiene il dottor Allegrini –. Ma la cosa più importante in assoluto è saperli usare, per questo occorre investire sulla formazione dei medici che sappiano adoperare lo strumento sui pazienti e monitorarli. Ma su tutti i pazienti, non solo in casi selezionati. Tuttavia, per una formazione completa ed efficace, sarebbe necessario che un tutor andasse con loro e facesse insieme a loro almeno 20-30 ecografie per dare loro un minimo di esperienza sul campo – precisa Allegrini. Se un’Azienda volesse, quindi, farebbe subito quanto suggerito dal dottor Allegrini.
Ma occorre una solida motivazione. Occorre la convinzione e la piena fiducia nello strumento e nei suoi straordinari risultati per diagnosticare precocemente la presenza del virus nei polmoni come ha dimostrato, fino ad oggi, questo “pacifico medico di famiglia” che è riuscito a salvare decine di vite umane. “Scientia potestas est” ha scritto Bacone, “La scienza è potere”, ovvero “Sapere è potere”. Ora che sono stati divulgati pubblicamente i dati positivi della combinazione ecografia toracica precoce/terapia farmacologica mirata sarà difficile fare come Ponzio Pilato: “lavarsene le mani”.
Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.