Da un’Olimpiade all’altra

di TOMMASO GARDELLA – La creazione di nuove vie della seta hanno permesso alla Cina di conquistare una crescente influenza geopolitica.

È impossibile separare queste Olimpiadi dal contesto globale nel quale avranno vita. Il covid ormai è entrato nella nostra quotidianità, le geopolitica mondiale è in un continuo mutamento disorganizzato da quando nel 2008, anno delle Olimpiadi estive di Pechino, la crisi dei mutui in America ha azzoppato il grande continente a stelle e strisce e i comportamenti del Partico Comunista Cinese hanno talmente sconvolto il mondo da causare, per alcuni Paesi, una reazione di disturbo alle Olimpiadi invernali boicottandole a livello istituzionale. Insieme ai recenti battibecchi tra Russia ed Europa e America che stanno contornando un tesissimo scontro per l’entrata dell’Ucraina nella NATO, il clima nel quale assisteremo ai Giochi massimi dello sport invernale non è dei migliori.

Da un Olimpiade all’altra sembra tutto un altro mondo, e lo è.

Nel 2008 nessuno avrebbe mai abbozzato l’idea di un boicottaggio nonostante il comportamento del Pcc non fosse tanto diverso da quello attuale, visto che la soppressione dei diritti umani e delle minoranze religiose era cosa già ben nota all’ora, ma il povero peso geopolitico cinese, snobbato dal resto del mondo, non aveva ancora creato quell’interesse necessario per indagare su ciò che la Cina fosse.

Il dualismo russo americano coprì la scena mondiale a tal punto che in pochi accorsero che in Asia il ritorno cinese si stesse manifestando sotto tutti i punti di vista, politici e non, nonostante i rapporti commerciali fossero già ben stretti, legando il capitalismo occidentale alla grande fabbrica cinese che da lì ad oggi avrebbe non solo conquistato il mondo ma anche indebolito e incastrato l’occidente in un rapporto che dire complicato è un eufemismo. Molti odiano e respingono la Cina ma nessuno sembra in grado di staccarsi veramente da essa e dalla capacità produttiva intrinseca al modus operandi che contraddistingue la dittatura capitalista imposta da Xi Jinping. Le sue parole, pronunciate da nuovo presidente nel 2012, sono oggi più vere che mai “il mondo non può fare a meno della Cina e la Cina non progredire senza il mondo”.

Sembra quasi una condanna oggi, eppure era esattamente ciò che auspicavano soprattutto gli americani. Le due economie sembravano talmente armoniose l’una con l’altra da far pensare che la Cina sarebbe potuta diventare l’alleato perfetto per contrastare l’ascesa espansionistica della Russia, oggi invece grande alleato di cinese, nell’ heartland e che la ricchezza che ne sarebbe derivata avrebbe aperto il pugno di ferro della dittatura, rendendo i cinesi più “aperti e democratici”. L’arrivo di dell’attuale presidente, promulgatore del Grande sogno cinese, ha disintegrato questa visione in favore di una supremazia nella quale non c’è spazio per nessun altro se non per alleanze politiche volte a rinforzare il peso specifico della Cina nel mondo. Detto fatto, perché dopo l’indebolimento geopolitico dell’America post crisi finanziare, caricato dall’arrivo di Trump e della sua politica isolazionista, e della Russia che ancora non riesce ad uscire da una situazione sociale controversa soprattutto nella regione dell’estremo est, dove comunità cinesi del tutto slegate a livello giuridico e istituzionale stanno insediando l’influenza cinese con risorse, tecnologia e stile di vita, hanno spianato la strada alla politica estera cinese.

La creazione di nuove vie della seta, in grado di raggiungere tutto il mondo (dall’Europa, all’Africa, fino all’America latina), hanno permesso alla Cina di conquistare un’influenza geopolitica non indifferente che difficilmente perderà nel breve periodo.

Se da una parte ci sono le debolezze di un’occidente disunito e incapace di rispondere in maniera dinamica ai mutamenti mondiali, dall’altra tali traguardi sono stati possibili grazie all’inarrestabile politica dittatoriale cinese che non accenna ad arrestarsi.

Il consenso popolare raggiunto tramite intimidazioni, controllo dei media ed eliminazione di persone scomode (terroristi come vogliono farli passare) non risparmia nessuno. Giornalisti e politici vengono fatti sparire, persone di spicco vengono azzittite e persino se sei uno sportivo conosciuto a livello globale non puoi (e non devi) stare tranquillo. L’episodio di Peng Shuai ne è l’esempio: la tennista numero 1 al mondo nel doppio, venne sequestrata per settimane dopo aver scritto denunciato un abuso da Zhang Gaoli, componente del Partito. La WTA sospese ogni torneo tennistico in Cina e a nulla servì la pressione mondiale per chiedere la sua liberazione, avvenuta poco dopo ma con dubbi risultati.

Questo, insieme ai crimini contro l’umanità commessi dal Pcc, specie contro la minoranza musulmana degli uguri nella regione dello Xinjiang, l’instaurazione di un regime di sorveglianza tecnologica, al quale anche atleti e staff olimpici di tutte le nazione verranno sottoposti (da qui il consiglio della federazione americana di non portare dispositivi propri ma di optare per quelli usa e getta), sono stati i moventi perfetti per far serpeggiare l’idea di un boicottaggio diplomatico trasformatosi in realtà nelle scorse settimane. America, Inghilterra, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Belgio, Lituania e Taiwan vi hanno aderito e insieme a loro ci sono 243 firme di associazioni a protezione dei diritti umani che puntano il dito anche contro i promoter dell’evento come Coca-Cola, AirBnb, Toyota e altri, colpevoli di aver coperto e minimizzato l’impatto delle azioni di Xi Jinping.

Al contrario il Cio, tramite il presidente Thomas Bach, ha espresso solidarietà agli organizzatori, chiedendo ai partecipanti delle Olimpiadi di non rilasciare dichiarazioni contro la Cina e di non parlare di diritti umani durante la manifestazione per la preoccupazione di trasformare l’evento in una strumentalizzazione politica (dichiarazioni alle quali si è allineato anche Malagò qualche giorno fa), alimentando di fatto il fenomeno di sportwashing (pensare che lo sport non abbia nulla a che fare con le questioni di diritti umani).

Del resto, però, è comprensibile la posizione del Comitato Olimpico Internazionale, che sostanzialmente ha ringraziato la Cina per l’impegno di aver organizzato un evento che al giorno d’oggi è visto più come un rischio economico e sanitario che come un’opportunità.

La buona notizia, però, è che da oggi si inizierà a parlare di medaglie e vedendo lo stato di grazie del nostro movimento, non possiamo che essere fiduciosi.