Domingo. Il triste tramonto di un grande cantante

di GIOVANNI VILLANI – Una serata considerata NO non solo tra gli orchestrali che ripropone il tema del potere nel mondo della Lirica italiana.

Ritornerà ancora all’Arena di Verona Placido Domingo? È l’interrogativo che si sono posti i tanti melomani e appassionati (e noi con loro) di lirica che ogni anno assiepano i gradini del più grande teatro all’aperto del mondo, all’indomani del Gala che la Fondazione Arena ha nuovamente dedicato al celebre tenore spagnolo, ma anche della successiva sua direzione orchestrale (la sera seguente) di Turandot.

Senza entrare troppo a fondo nei particolari tecnici, la prestazione canora del celebre tenore spagnolo è stata ai limiti della decenza, anche se in molti hanno finto che si sia trattato di un suo ennesimo successo in quel teatro che ne salutò il debutto nell’estate del 1969, con due strabilianti partecipazioni, in Turandot, al fianco della mitica Birgit Nilsson ed in Don Carlo con Monteserrat Caballé, che per diversi altri motivi rimane nella storia dell’opera internazionale.

Di anni ne sono passati tanti da allora, più di mezzo secolo, ma questo artista, ormai molto anziano, finge di non essersene accorto. Però in scena non ce la fa più, trema e non ricorda le parole, completa il finale del secondo atto di Aida saltando alcune note, sbaglia gli attacchi e li fa sbagliare agli altri e nelle battute finali della serata fa dire di non stare bene, così fa debuttare il suo doppio, pronto a sostituirlo.

Un cantante che bene o male dovrebbe presentarsi avendo almeno provato le parti, ma che invece mostra di non aver studiato preventivamente un bel nulla, tanto il pubblico lo applaude comunque, in virtù del suo nome e delle sue memorabili gesta di un tempo. Ma poi c’è il fatto perverso dell’Arena, dove tutti concorrono comunque a parargli le spalle, tanto il teatro è pieno, per cui le sue manchevolezze possono essere mitigate, anche se prezzo è di una mediocrità totale.

Lasciando da parte le voci sui suoi presunti abusi sessuali di cui la stampa internazionale si sta da tempo occupando ma che in questa sede non interessano, ci chiediamo come fa una gloriosa Fondazione Lirica – il prossimo anno festeggerà le sue cento stagioni – continuare a proporre (anche per il 2023) un Gala del celebre tenore. Siamo nel campo delle assurdità, per non dire del ridicolo: un autentico insulto alla Musica, che poi, ricordiamolo, vive e si sostiene con i soldi pubblici.

Ad aggravare ulteriormente la situazione, c‘è stata poi la direzione di Turandot: la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Un serata col capolavoro pucciniano, molto difficoltosa per tutte le maestranze areniane coinvolte che si sono viste abbandonate da Domingo in diversi punti dell’opera. Lo scollamento tra orchestra, palcoscenico e banda di retropalco è risultato evidente, e in più momenti, con le sezioni degli strumenti fuori sincrono, specie a partire dal finale di Alfano. Una direzione senza alcun rispetto per le agogiche di cui hanno sofferto a lungo pure il coro e i due protagonisti costretti a proporsi al limite delle proprie capacità vocali.

L’Orchestra areniana per protesta al termine non si è alzata in piedi nonostante l’invito del direttore. E neppure dieci ore dopo sono cominciate le proteste dei lavoratori, più direttamente coinvolti (coro ed orchestra), sostenuti con energia dai sindacati, della CGIL soprattutto.

Riportiamo per dovere di cronaca alcuni stralci raccolti fra i professori d’orchestra. Uno di loro ha scritto testualmente: “Ieri sera è stato un disastro… siamo stati umiliati… in 25 anni non mi è mai successo di fare tanta brutta figura”. Altri: “Non ho parole .c’è da piangere. Terzo atto: un vero macello”. “Abbiamo fatto tutto il possibile per aiutarlo… ma lui era inconsapevole di ciò che stava combinando”. Ancora qualcuno: “Spero, ma non mi illudo, che l’eco di questo disastro giunga alle orecchie giuste, che qualcuno prenda provvedimenti e si possa fare qualcosa per togliere il potere a chi permette che queste cose succedano. E’ stata una vergogna professionale delle più cocenti”.


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