Nel 2030 le auto full elettric dovrebbero raggiungere una quota di mercato pari al 25%, il coronavirus, potrebbe rappresentare una spinta
Come stava andando l’elettrico pre-coronavirus e come andrà dopo?
Nonostante il problema ambientale sia ormai sotto gli occhi di tutti, l’elettrificazione dell’auto sta viaggiando su una strada piena di buche e impedendole di aumentare la velocità e di sfrecciare a pieno regime verso la produzione di massa, continuando ad essere visti più come beni di consumo un po’ snob, come uno status symbol, piuttosto che come idea di progresso che incarnavano le prime auto a motore. E questo è un problema.
Quello che sappiamo è che la strada è quella. Non possiamo continuare con il petrolio, non da un punto di vista quantitativo certo, il petrolio continuerà a condurci per almeno altri 50 anni, ma da un punto di vista di benessere, di sostenibilità ed etico soprattutto. Prima non sapevamo di inquinare l’aria, adesso sì e agendo con consapevolezza non ci sono tante scuse.
Quello che non si capisce, allora, è perché ci stiamo mettendo tanto, visto che la propulsione elettrica esiste dalla fine dal XIX ed era anche più in voga prima che il motore a scoppio diventasse più economico e ‘migliore’. Al di là dei problemi che le auto elettriche hanno in se, come l’autonomia, le batterie, la velocità, il peso e la difficoltà nel poterle usare nei viaggi lunghi, quelli veri stanno nel sistema che le circonda, che le produce e le mette in vendita.
Il primo problema, che è anche quello più constatabile e che maggiormente influenza la domanda di mercato, è rappresentato dalle stazioni di ricarica. Troppo poche e quelle presenti, spesso non funzionanti, sono anche poco potenti, allungando i tempi di ricarica fino alle 2 ore e facendo così desistere la volontà anche di intraprendere lunghi viaggi in macchina. A ciò, si allega poi il fatto che quelle funzionanti molte volte siano occupate ad oltranza, anche dopo la completa ricarica del mezzo.
C’è poi il problema delle batterie e dell’inquinamento (totale), due punti in comune e poco chiari quando si parla di auto elettriche. Il primo nocciolo della questione si stringe sul prezzo delle batterie: per farvi un esempio pratico, prendiamo in considerazione l’elettrica di casa Renault, la Zoe, un’auto destinata all’uso cittadino, quotidiano. La casa francese mette in vendita le batterie, che sono a parte, a 8.000 euro, non certo due spiccioli, senza dimenticare il fatto che non durano in eterno e ogni 8-10 anni, in base all’azienda produttrice, vanno cambiate, portando il problema prezzo alla ribalta. In media, tra un’elettrica e una macchina a benzina, della stessa casa e della stessa fascia di mercato, ballano circa 12.000 euro e a parte il fatto di inquinare meno, per adesso, non danno molti vantaggi in più a chi la possiede.
Entrando nella questione inquinamento, c’è poi il problema della produzione e dello smaltimento delle batterie, tanto grande quanto la questione ambientale che ancora dobbiamo affrontare appieno.
Partendo dalla loro composizione, l’estrazione di litio e cobalto, due dei principali componenti delle batterie, non è così social e green come un auto elettrica vorrebbe e soprattutto dovrebbe rappresentare. Generalmente questi si trovano in Africa, precisamente nella Repubblica Democratica del Congo (dalla cui terra si preleva il 65% della produzione mondiale), e per la loro estrazione le aziende si rivolgono a braccianti locali, sfruttandoli, calpestandone i diritti umani e pagandoli una miseria. Per non parlare poi dello sfruttamento minorile e della totale mancanza di riguardi per le modalità in cui i lavori vengono svolti, certamente non un tocca sana per la Terra.
A parte il fatto che se da domani tutte le auto del mondo fossero riconvertite in elettriche le riserve di litio e cobalto basterebbero per soli 50 anni (e qui capiamo che serve già un alternativa), non esistono macchinari per l’estrazione che non inquinino e non rechino danni ambientali, alla fauna, agli habitat degli animali che popolano le zone circostanti, e alle popolazioni locali, la maggior parte delle volte cacciate dalle zone limitrofe. Tornando alle imprese produttrici di batterie (quasi tutte in Cina, Corea del Sud e Giappone), la questione inquinamento sfocia anche nell’ipocrisia, perché se per inquinare meno di una sigaretta (al volante) nella fase di produzione si inquina quanto le auto a combustione (dal trasporto dei materiali, al loro assemblaggio, fino al loro ‘smaltimento’), la strada per diventare total green, obiettivo centrale, è ancora lunga.
L’ultimo problema per le auto elettriche è rappresentato dalle alternative, quali ibrido, GPL e metano, che rappresentano validi compromessi nel breve-medio periodo, con ottimi rapporti qualità-prezzo, poca manutenzione e costi sensibilmente ridotti, escludendo l’investimento iniziale per l’inserimento del motore ad hoc.
Nel post-coronavirus il mercato dell’auto sarà molto più piccolo e penserete, visti i problemi sopra citati, che l’elettrico avrà pochi spazi di manovra e con il rischio di finire fuori mercato. La storia però ci insegna che per uscire dalle grandi crisi non si deve guardare al passato, ma guardare e fare passi in avanti. I numeri ci sono già, a marzo in Francia, Germania e Regno Unito il mercato dell’elettrico ha avuto una grande crescita rappresentata da picchi anche di a tre cifre. Per aumentare questi numeri, i governi, tramite strategie politiche, possono aiutarci (noi e le aziende produttrici) ad abbracciare a pieno la nuova tecnologia, supportandoci negli acquisti e migliorando tutto quello che contorna la mobilità sostenibile e che troppo spesso finisce per svantaggiarla. Per noi piloti alcune politiche sono già state attuate, dall’esenzione del pagamento dei parcheggi, all’entrata gratis nella ZTL, passando per le varie rottamazioni agevolate, fino ai vari bonus per l’acquisto di vetture elettriche.
Per le aziende, oltre alla nota carbon tax, vengono in mente sussidi, agevolazioni fiscali, sconti ed esenzioni di alcune tasse, prestiti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali e tecnologie atte a migliorare le innovazioni odierne e che permetteranno il calo dei prezzi. In Inghilterra, ad esempio, la ZAPGo Ltd sta sviluppando una batteria a ioni di carbonio, che a differenza di quelle di litio e cobalto è solida, non infiammabile, più resistente, promette più km di autonomia e di vita, oltre alla riduzione dei costi.
Nel 2030 le auto full elettric dovrebbero raggiungere una quota di mercato pari al 25%. Il coronavirus, che tanto male ha fatto, potrebbe rappresentare quella spinta necessaria per raggiungerla. All’interno dei piccoli numeri che rappresenteranno il mercato dell’auto, aumenterà il peso specifico dell’elettrico e ciò perché non riguarderà solo l’auto ma anche quei mercati, come quello della comunicazione, che da tempo ormai si sono intrecciati con quello della mobilità.
Le grandi opere non saranno solo ponti, strade o infrastrutture, ma saranno iniziative nel segno della sostenibilità. Gli investimenti in questo senso stanno già aumentando e continueranno proprio per farci uscire da questa crisi nella quale il coronavirus ci ha cacciati. Il mondo dell’auto, soprattutto dopo la prova che il virus si sposti con il particolato atmosferico, non può non darsi una mossa, scacciare tutti problemi e le incoerenze del caso, e diventare ambientalmente sostenibile.
(foto: joenomias – licenza pixabay https://pixabay.com/it/photos/auto-auto-elettrica-auto-ibrida-3117778/ )

Tommaso Gardella è nato a Milano nel 1997, studia Storia all’Università di Firenze