Così si lavorava a Bois du Cazier

Enrico del Guasta, pisano classe 1920, minatore

“Braccia contro carbone”, la guerra, la Resistenza, il Dopoguerra e l’emigrazione, una memoria simbolica per il Primo Maggio dei lavoratori

Cosa mai poteva sognare un ragazzo della bella campagna pisana di un tempo, uno come tanti, figlio di contadini, nel suo villaggio di Pettori dal quale nella primavera si respira quel profumo acuto, misto di odore di crete, d’erbe e d’acque d’Arno? Un profumo così inebriante da dare la sensazione che si tratti dell’effluvio di una magica pozione. Certo lui si aspettava la vita tranquilla dei genitori e dei suoi nonni; il preciso avvicendarsi delle stagioni e poi il lavoro, e poi ancora l’amore, la famiglia. Purtroppo la Storia non la fanno gli umili i quali sì, sono tanti, sono la maggioranza, ma hanno la forza dei granelli di sabbia quando li stringi nel pugno e li puoi gettare dove vuoi. Ecco che questo giovane, Enrico del Guasta, classe 1920, la guerra se lo portò lontano dalla sua casa e dalla Toscana.

Il Comandante Franz

Enrico si ritrovò caporale a Fossombrone, nelle Marche e qui si innamorò; la sua fidanzatina Ivonne era di una famiglia speciale: i Truffi, così convinti antifascisti da aver subito il confino, per qualche anno, nell’isola di Ventotene. All’indomani dell’8 settembre 1943, con la proclamazione dell’Armistizio e il conseguente sbandamento dell’intero Regio Esercito, Enrico Del Guasta prese la via che tanti di soldati italiani intrapresero… non certo la via della fuga, ma la via della lotta per la Patria; la Patria vera, non certo quella finta della Repubblica di Salò. La formazione partigiana che lo accolse era impegnata in azioni ardimentose e, che fossero veri combattenti, lo certifica la morte per fucilazione del comandante Leone Balducci e di altri due compagni catturati durante uno scontro con i nazisti avvenuto il 10 agosto 1944. In quel momento Enrico si fece carico della più grande responsabilità, divenendo il “Comandante Franz”.

Enrico Del Guasta opera del pittore Stefano Ghezzani
Enrico Del Guasta (opera del pittore Stefano Ghezzani)

“Braccia contro carbone”

Finalmente arrivò la pace; dissipate le nubi e le folgori di una tempesta durata troppi anni, rimase di fronte ai suoi occhi l’immagine di una nazione semidistrutta dalle devastazioni materiali e morali, un’Italia di miserie e di miserabili. Anche in questo momento della sua vita Enrico non venne meno agli ideali che lo animavano e alla sua propensione a farsi parte attiva con iniziative coraggiose; si dette un altro impegno, quello di dare una mano al rinnovamento dell’Italia e fu, così, tra i fondatori della sezione del Partito Comunista a Fossombrone.

Intanto nascevano i suoi figli; il primo, nato nel 1944, ebbe il nome di Libero, poi vennero Gianfranco, Graziella e l’ultimo nel 1949, Umberto. Una grande famiglia, tante bocche da sfamare e il lavoro che non si trovava, anche perché le scelte di Libertà si pagano, e non solo nelle dittature ma anche in tempo di democrazia. L’Italia matrigna, che sognava il progresso industriale, ebbe occasione di liberarsi di tanti cittadini “scomodi” e di tanti miserabili, gettandoli nelle fauci del Capitalismo internazionale: “braccia contro carbone”, lo scellerato patto tra Belgio e Italia non era altro che la vendita dei propri figli, cinquantamila uomini, per un pugno di carbone.

In migliaia partirono per le miniere e fra loro anche Enrico che si stabilì a Marcinelle. In quella terra straniera, lui e i suoi familiari erano alloggiati in baracche di lamiera, precedentemente occupate dai prigionieri tedeschi; alla porta di alcuni locali pubblici delle vicine città un cartello: “vietato l’ingresso ai cani e agli Italiani”, quei poveri italiani chiamati  “gueules noires”, “musi neri” o “macaronis” e lì, vicino al villaggio di baracche, la gola buia e famelica della miniera di Bois du Cazier, con i suoi diverticoli pieni di polvere penetrante che uccide i polmoni, giorno dopo giorno. Quanti sacrifici si fanno per la famiglia quando ormai questa è diventata l’unica patria che si ha, ma in quelle plaghe fredde e piovose del Belgio c’era un’altra grande famiglia della quale occuparsi, la famiglia dei compagni lavoratori; Enrico, ancora una volta, si dette all’impegno civile e fu tra i fondatori della sezione A.C.L.I. di Marcinelle. Lavorò duramente fino alla fatidica giornata dell’8 di agosto dell’anno 1956: quella mattina dai pozzi della miniera si alzarono altissime colonne di fumo e i cancelli si serrarono per arginare la straziante folla delle donne in preda alla disperazione, in attesa di notizie dei propri cari e fu la morte: duecentosessantadue bare; centotrentasei erano di minatori italiani, tra di loro Enrico che quella mattina era sceso in miniera per sostituire un collega ammalato.

I minatori di Marcinelle

Dopo il clamore dei giornali, i soliti discorsi ufficiali, le cerimonie e le inchieste, sembrava che l’olocausto di Marcinelle fosse destinato all’oblio e che rimanesse, quale unico monumento al sacrificio di tante vite, soltanto l’infinito dolore dei familiari e dei compagni; un dolore che li avrebbe accompagnati per tutta la vita per poi sparire con loro. Da quel dolore però, è nata una volontà di non dimenticare, così la miniera è divenuta un sacrario destinato a ricordare con quanta bestialità la logica del profitto si possa nutrire, senza tanti scrupoli, anche di carne umana,  e come sia necessario per il Consorzio umano imporre ai propri membri il rispetto della dignità dell’Uomo e la difesa dei Diritti dei lavoratori. L’U.N.E.S.C.O., Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, per dare forza a questa importante missione, ha voluto eleggere la miniera di Bois du Cazier a sito Patrimonio dell’Umanità.

 Così si lavorava a Bois du Cazier
Così si lavorava a Bois du Cazier

Per quanto riguarda Enrico Del Guasta, la costanza del figlio Umberto nel ricordarlo ha permesso, a tanti come me, di conoscere la tragedia di Marcinelle e di riviverla e di desiderare di contribuire a tenerne vivo il ricordo; un anno fa, in qualità di portabandiera della Associazione Toscana dei Volontari per la Libertà, ero presente a Marcinelle, alla cerimonia di scoprimento della lapide celebrativa di Enrico del Guasta voluta dall’A.N.P.I.  e presto parteciperò, sempre con il figlio Umberto, allo scoprimento di una lapide della Regione Toscana che celebra i tre toscani morti nella tragedia.

A Bois du Cazier

A Bois du Cazier ho potuto incontrare i vecchi minatori che ancora oggi, ogni giorno, indossano la tuta, il casco e impugnano la lanterna per illuminare la mente dei visitatori del museo della miniera e per cavare il carbone del dolore, affinché sia energia di rinnovamento; nei raduni e nelle iniziative organizzate a Vicopisano da Umberto ho potuto conoscere i figli degli altri minatori, anche di quelli morti molto tempo dopo la tragedia, vittime di una strage silenziosa, quella operata dalla silicosi; ho conosciuto i compaesani e i sindaci: interi paesi non vogliono dimenticare i loro morti e i giovani organizzano spettacoli attraverso i quali ci raccontano la tragedia della miniera; grazie ad Umberto e agli abitanti di Manopello, Lettomanopello, Turrivalignani e alla disponibilità della locale Amministrazione,  Vicopisano ha dedicato un piccolo parco alla memoria della tragedia di Marcinelle e, sul verde del prato, riposa un suggestiva memoria, scolpita in candido marmo.

Museo della Miniera targa UNESCO Patrimonio dell'Umanità
Museo della Miniera targa UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Così, ricordando Enrico Del Guasta, si rende onore a tutti quegli autentici piccoli grandi eroi, eroi come ne vediamo ancora oggi, persone umili che fanno grande l’Italia e che sono pronte a morire perché credono in quella religione che si chiama Lavoro e posseggono le Virtù che fanno grande un essere umano: coscienza, amore, umiltà, bontà, senso di responsabilità, onestà e dedizione al bene del prossimo.

 Cerimonia a Bois du Cazier
Cerimonia a Bois du Cazier

(foto: fonte Autore)