di DANIELA LUCATTI – Il giudice Roia l’ha detto chiaramente: “la bigenitorialità deve essere sospesa nei casi di violenza intrafamiliare”.
In questo anno abbiamo visto un’impennata di figlicidi da parte di padri, se così possono davvero essere chiamati perché io li chiamerei semplicemente spermatozoi padroni. Uomini-spermatozoi convinti appunto che l’essere padre consista ancora in una fuoriuscita spermatica e che in virtù di quell’atto (tra l’altro per loro solo foriero di piacere) abbiano diritto di vita e di morte sulle creature che da quell’atto sono, loro malgrado, entrate nel mondo dei viventi.
La storia è sempre la stessa: padri che si sentono tali solo quando sono nel pieno possesso delle compagne-mogli madri e che vedono-sentono i figli e le figlie solo in virtù del loro rapporto con esse e non come esseri da amare, tutelare, crescere semplicemente perché sono individue/i verso le quali dovrebbero nutrire sentimenti e profondere cure con senso di responsabilità. Ma per questi uomini, del resto paradossalmente facilmente (volendo) riconoscibili, tutto questo non esiste. Il trattamento che riversano sulla (loro?) sfortunata prole, dipende esclusivamente dal grado di subordinazione ai loro voleri delle loro madri.
Figlie e figli ostaggi del potere che questi presunti padri hanno sulle compagne e “amati?” solo fino a quando le madri sottostanno alle loro condizioni . E sempre (è l’ora che si smetta di non vedere e di non credere alle donne e ai minori ) dietro ogni figlicidio maschile, c’è una situazione di violenza e quasi sempre, come anche in quest’ultimo caso, denunciata. E non è centrale mettere più di tanto l’accento sul fatto che questo ultimo uomo aveva già aggredito un collega perché, invece, molti altri non avevano aggredito proprio nessuno ed erano ritenuti brave persone.
Riporto per cronaca alcune frasi di un figlicidio avvenuto proprio a Pisa nel 2008 quando il padre uccise i due figli a martellate dandogli poi fuoco. Come da regola fissa, non aveva accettato la separazione e come riporta il giornalista Bocci il 28 settembre 2008, aveva dichiarato di aver detto alla ex “ti farò soffrire” e nello stesso articolo riporta che “ per tutti gli amici, conoscenti e vicini era un brav’uomo, tranquillo, un bravo padre.” E di quel tenore sono gli articoli usciti al tempo su questo caso, come di quasi tutti gli altri. Eh sì perché sembra che ancora non si sia capito che questa mattanza di donne e figlie/i non è agita da uomini violenti in generale ma da uomini violenti quasi sempre solo nei confronti delle compagne che osano pensare di poter decidere della loro vita e di separarsi. Quasi sempre proprio perché subiscono violenza, altre volte perché non sono più felici o innamorate e, a torto o ragione, decidono di prendere altre strade.
Ed è da qui che dobbiamo iniziare a cambiare rotta se vogliamo porre fine a questo fenomeno non certo eccezionale ma strutturale : dalla non accettazione della separazione e dalla comparsa della guerra ricattatoria per la “divisione della prole” intrapresa per far tornare le ex sui loro passi, per avere il controllo sulla loro vita e per vendicarsi proprio sulla cosa più cara che le donne hanno e, accecati dalla rabbia, che siano anche figli loro diventa ininfluente. Quando avviene questo la certezza c’è ed è una sola: a questi padri non importa niente dei figli, sono solo oggetti, solo strumenti dei quali servirsi. E’ il momento in cui, sempre se volessimo e non ci nascondessimo dietro l’ipocrisia del “non possiamo”, intervenire sarebbe invece non solo possibile ma obbligatorio, per scongiurare morti ingiuste e premature.
Se un padre PRETENDE le proprie figlie/i che esprimono diffidenza, paura, rifiuto, come accade sempre in questi casi, se non vogliono stare con lui se non desiderano farlo, se si attaccano piangendo al corpo delle madri, quello che dovrebbe essere fatto sarebbe capire davvero perché e non obbligarli ad andare in nome di quella che viene chiamata bigenitorialità ma che è, in realtà, solo la garanzia del diritto-potere-possesso paterno.
E’ l’ora di farla finita di incolpare sempre e comunque le madri di essere plagianti, malevole, strumentali, sottoposte LORO stesse, magari anche in presenza di un codice rosso o denuncia di maltrattamenti, ad osservazione e valutazione genitoriale di fronte al rifiuto delle figlie/i di recarsi da questi padri.
E’ l’ora di farla finita di proporre mediazioni, di trovare nelle relazioni dei servizi il termine conflitto genitoriale là dove è evidente la violenza subita perché questo modo di procedere è colpevole quasi quanto la mano armata che uccide .E’ inutile spalancare gli occhi ogni volta ed essere sconvolti per l’accaduto, ma subito dopo dimentichi e pronti a procedere sempre nello stesso modo.
Di fronte a quest’ultimo figlicidio la ministra Cartabia ha dichiarato di volere andare in fondo, di voler vedere cosa non ha funzionato ma solo perché, stavolta, il caso si presenta eclatante essendo il padre figlicida già colpevole di altre violenze non intrafamiliari.
Di fronte a queste ultime, infatti, c’è ancora invece immancabilmente sottovalutazione e perdita di tempo prezioso e non c’è mai il coraggio di assumere decisioni “lesive del diritto paterno” che stranamente, anche in presenza di legislazione, ha la priorità rispetto a quello dei minori.
Il giudice Roia si è sempre espresso chiaramente: “la bigenitorialità deve essere sospesa nei casi di violenza intrafamiliare. ”Un uomo geloso, stalker, minaccioso, che non accetta l’autodeterminazione personale della partner, che agisce maltrattamenti, NON PUO’ essere un buon padre.
Il passo obbligatorio e risolutivo non dico di tutti i figlicidi ma sicuramente del buon 80% sarebbe semplice: nei casi di violenza intrafamiliare dare immediatamente l’affido esclusivo alla madre (tra l’altro unica misura per far cessare anche le violenze su di lei risparmiandole la comunicazione con il partner) e “costringere” il padre a percorsi reali e temporalmente consistenti (non fittizzi e/o di poche sedute”) sul senso della loro paternità e solo nel momento in cui veramente sono ritenuti pronti e consapevoli, permettere loro di riprendere contatto con i figli/e. Figli/e alle quali nessuna donna ha interesse di togliere il padre non solo perché ogni madre sa che il padre (ma solo se è davvero tale) è una figura di affettiva di riferimento fondamentale, ma anche perché la condivisione della prole dà a loro stesse la possibilità di avere uno spazio e un tempo di libertà personali e la certezza di avere sempre qualcuno su cui contare nei momenti più difficili della crescita delle figlie/i. Un padre è un diritto non un dovere.
(foto: licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/639152)

Daniela Lucatti è nata a Pisa nel 1953. Psicologa, Psicoterapeuta specializzata in Sessuologia Clinica. Opera presso il Centro Antiviolenza e la Casa della Donna di Pisa, si è occupata di età evolutiva, intercultura, sessualità, violenza di genere, sia per istituzioni pubbliche che associazioni, è referente toscana di Thém Romanò (Associazione Autonoma di Rom e Sinti, fondata dal prof. Santino Spinelli). Scrittrice, con pubblicazioni di poesia, prosa e saggistica.