di ALDO BELLI – Aldo Grandi: ” La sua vicenda personale ripercorre un secolo importante e ricco di eventi sotto tutti i punti di vista”.
In Italia il tempo scorre con una velocità che brucia ogni cosa. Mai come nell’ultimo quarto di secolo la superficialità della cronaca ha allentato il filo conduttore che lega l’Italia di oggi al passato, e per di più con una disinvoltura per cui i titoli di prima pagina, giornali e Tv, cadono a distanza di pochi giorni perdendosi nel dimenticatoio. L’ideologia del consumo ha invaso le stanze dell’informazione di massa, per cui anche gli avvenimenti seguono l’economia della merce, da vendere e consumare come un drive-in.
E’ un vero evento culturale, quindi, quando capita di trovarsi sotto gli occhi libri come quello, fresco di stampa, di Aldo Grandi che ricostruisce Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli (Chiarelettere). Cinquanta anni fa, il 14 marzo 1972, Feltrinelli moriva dilaniato dall’esplosivo sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate, nella fallita azione terroristica di lasciare al buio Milano.
“Ogni uomo, in fondo, è ciò che fa, e Feltrinelli nei suoi quarantasei anni din vita, ha fatto molto, ben più dei candelotti di dinamite che posero fine alla sua esistenza senza dubbio intensa ed esasperata” riassume l’autore. Una conclusione “devastante e deprimente”. Anche se “la sua morte non fu altro che l’inevitabile, e ci sentiamo di aggiungere, giusta fine di un uomo che era disposto a pagare qualunque prezzo e adottare qualunque strumento per abbattere l’avversario”. In questa sintesi del rivoluzionario solitario che fu Feltrinelli, in quella sua rivoluzione comunista consumata dentro la sfera psicologica di un vissuto privato, familiare, simile all’incubo che irrompe nell’illusione di liberarsi nel sogno impossibile, c’è però anche la tragedia di una generazione che scelse la via delle armi rovinandosi insanguinando l’Italia.
Secondo te cosa rappresenta Giangiacomo Feltrinelli a cinquanta anni di distanza, chiedo ad Aldo Grandi.
“Non rappresenta niente di particolare, se non una storia singolare ed emblematica del nostro recente passato. La sua vicenda personale, direi anche familiare, ripercorre un secolo importante e ricco di eventi sotto tutti i punti di vista. Ripercorrere la sua vita fino alla tragica morte altro non è se non seguire lo sviluppo del nostro Paese lungo un periodo che inizia sul finire dell’Ottocento per arrivare ai primi anni Settanta. C’è di tutto in questi anni, di buono e anche di cattivo, di bello e anche di brutto. Giangiacomo Feltrinelli è un protagonista del suo tempo, con le contraddizioni e le intuizioni di un uomo che non poteva essere uno qualunque. Lungi dal poter essere un esempio da seguire o da imitare come, magari, avrebbe desiderato, è stato un uomo che ha scelto una strada e lo ha fatto consapevole che, probabilmente, non sarebbe potuto tornare indietro. E così è stato. In lui e con lui sono vissute le illusioni e le speranze oltreché le convinzioni ideologiche di una buona fetta di generazione. Dissoltesi non senza aver prima causato lutti e dolori immani”.
In quale misura pensi che la borghesia italiana, quella illuminata e dei salotti intellettuali, abbia contribuito alla nascita e alla maturazione del movimento eversivo rivoluzionario in Italia?
“In realtà non ha contribuito in alcun modo se si intende, per contribuire, l’aver partecipato attivamente e consapevolmente alla rivoluzione in Occidente e in Italia. Certamente una fetta di gioventù proveniente da famiglie benestanti e titolate ha avvertito il fascino della rivoluzione, ma sempre attenta a non rischiare più di tanto. Con una sola eccezione, appunto, Giangiacomo Feltrinelli. Lui ha rischiato e perso tutto quello che aveva”.
Feltrinelli muore nel 1972, nel libro si tratteggiano le relazioni con personaggi chiave delle Brigate Rosse nate due anni prima, attenzionate dai servizi segreti. I corpi dello Stato, riassumiamo così, avrebbero potuto già cogliere in questo movimento che attraversava il centro-nord del Paese quanto le BR avrebbero di lì a breve scatenato in Italia?
“Non era facile riuscire a prevedere ciò che di lì a poco sarebbe successo anche se era abbastanza evidente quello che i gruppi della sinistra extraparlamentare scrivevano e facevano. Nel marzo 1972, tuttavia, si era ancora agli inizi e anche le Brigate Rosse si erano limitate ad una forma di lotta armata che agiva, soprattutto, sotto il profilo della rivendicazione dei diritti dei lavoratori e, quindi, in funzione antirepressiva verso il padronato. Minare un traliccio, del resto, era altra cosa dal compiere una strage com quella di via Fani o uccidere a bruciapelo un uomo. Poi, Feltrinelli anche se in rapporto con le Br, era, in particolare, in contatto con alcun in esponenti della struttura militare denominata Lavoro Illegale di Potere Operaio. Singoli esponenti che avevano voglia di agire, mentre Piperno e Negri, al contrario, temporeggiavano. Le Brigate Rosse si muovevano per conto proprio gelose della loro autonomia”.
La memoria è importante nella vita di un paese, ma si risolve in una celebrazione come le feste comandate se non è anche memoria critica. Il lavoro di Grandi unisce la snellezza della narrazione con la rigorosa ricostruzione attraverso documenti e testimonianze (molte inedite da lui raccolte): l’imparzialità dello storico acquista valore nelle riflessioni e nelle sue conclusioni, formando un contributo significativo alla storiografia su un periodo della storia d’Italia che per troppo motivi si è voluto seppellire.