di ESTER MARINAI – Ricostruendo le vite dei suoi familiari vissuti nella Germania nazista per rappacificarsi col senso di colpa.
Una graphic novel coinvolgente e toccante che ripercorre il tentativo dell’autrice di risalire alle proprie origini, ricostruendo le vite dei suoi familiari vissuti nella Germania nazista a partire da oggetti e documenti, e rappacificarsi col passato del proprio paese di origine e il senso di colpa che la tormenta.
“Heimat” è una parola esclusivamente tedesca, priva di un traducente diretto in altre lingue eppure tanto carica di significato. Un termine usato in un’area geografica ristretta, ma che in sé racchiude una sensazione universale: quel senso di intimità che si prova solo di fronte a un paesaggio o qualsiasi altro luogo che ci è familiare. Spesso questi sono i luoghi della nostra infanzia, quella piccola porzione di mondo su cui per prima abbiamo posato il nostro sguardo di bambini e in cui abbiamo iniziato a fare i primi passi per poi muoverci in una realtà esponenzialmente più vasta e complessa.
Sebbene per definizione si possa parlare di “Heimat” pure in caso di luoghi immaginari, associarla al proprio luogo di nascita è cosa spontanea, si direbbe un automatismo, ciò che di più naturale vi è su questa terra. Non può non assumere una connotazione positiva, insomma, perché la sensazione trasmessa di per sé lo è. Ma fino a che punto darlo per scontato?
La graphic novel dell’autrice tedesca Nora Krug trova nel concetto stesso di “Heimat” il proprio fulcro e la propria problematica, tanto da farne del termine il titolo stesso di questo romanzo illustrato (2018).
Per la traduzione in inglese è stato scelto come titolo “Belonging”, ovvero “appartenenza”, il sentirsi parte di qualcosa. In questo caso, di un Paese, di una comunità, di un popolo, di una cultura. Il problema, sorprendentemente, sta proprio in questo.
Nora Krug (1977 – ), tedesca di nascita, si è trasferita negli Stati Uniti quando ancora era molto giovane, e lì si è costruita una nuova vita. Questo allontanamento dalla madrepatria l’ha al tempo stesso indotta a interrogarsi sulla sua vera identità e sul rapporto che finora ha avuto con essa. Si tratta di un rapporto di amore e odio nei confronti della Germania e del suo essere “tedesca”: da un lato, sentire nostalgia di casa non è affatto anormale; dall’altro, c’è qualcosa che le impedisce di amare incondizionatamente le proprie origini. La dolcezza dei ricordi della sua infanzia viene così schiacciata dall’enorme peso che è costretta a portare sulle spalle, un fardello che la opprime e la perseguita ovunque.
La metaforica crocifissione di Cristo a cui l’autrice fa riferimento ne è rappresentativa: Gesù è morto per i peccati dell’umanità, dunque degli uomini che lo hanno preceduto, e li ha espiati con la propria dolorosa morte sulla croce. Infatti, in tedesco, quello che noi definiamo “peccato originale” viene chiamato “peccato ereditato”.
L’autrice è nata tre decenni dopo la funesta Seconda Guerra Mondiale, quindi non può averla vissuta in prima persona. Tuttavia, proprio come Nostro Signore, sente di essere condannata a dover pagare per i peccati di una generazione passata. Pagare per l’omertà, i silenzi, la passività e la remissività di molti di fronte alle atrocità del nazismo. Qual è pertanto la punizione da sostenere? Sopportare il fardello della vergogna e di un fortissimo senso di colpa collettivo, che la opprimono e la perseguitano ovunque vada. Difatti, la sua vita è stata fortemente condizionata da questo senso di colpa soffocante, divenuto la sua croce. Basti pensare alla vergogna che provava ogni volta che da ragazza andava all’estero nello svelare la propria provenienza geografica oppure alla smania di dover nascondere a tutti i costi il proprio accento tedesco quando doveva parlare in inglese.
La colpa non accenna ad allentare la presa su di lei, ma l’incontro con una sopravvissuta a un campo di concentramento fa finalmente scattare dentro di lei la molla. Capisce di star perdendo sempre più di vista la propria identità, di aver dimenticato la sua Heimat e improvvisamente sente il forte bisogno di risalire alle origini. Sente di voler conoscere le proprie radici per capire meglio la sua famiglia, il presente e se stessa. Ecco che inizia a scavare a fondo nella storia dei suoi familiari e scoprire così il ruolo che la sua famiglia ha ricoperto sotto il regime nazista e il loro possibile coinvolgimento nel partito nazista.
Grazie ai documenti rinvenuti negli archivi, alle foto e a vari reperti di famiglia, Krug riesce a ricostruire principalmente le storie del fratello del padre caduto in guerra e del nonno materno.
La narrazione principale è affiancata da deliziose illustrazioni dell’autrice stessa e alle volte viene interrotta da due “rubriche”: una è la sezione dedicata agli oggetti trovati online oppure ai mercati delle pulci, che contribuiscono a dare un quadro completo della vita quotidiana durante l’ultimo conflitto mondiale; l’altra si intitola “Cose tedesche”, in cui rievoca con una vena nostalgica gli oggetti che si potevano trovare solo in Germania e che hanno caratterizzato la sua infanzia.
Le informazioni che Krug ha raccolto forniscono delle risposte ad alcune sue domande, vanno ad aggiungere dettagli alle storie che le erano state raccontate da piccola e in alcuni casi le smentiscono. Quanto al resto, l’autrice non otterrà risposte a tutti i suoi dubbi, perplessità e domande. D’altronde, scoprire tutta la verità è un progetto alquanto ambizioso, se non impossibile, e Krug ne è consapevole.
Ciononostante, le sue scoperte le risultano sufficienti per analizzare il concetto stesso di colpa. Si rende perfettamente conto di quanto fosse difficile per la popolazione prendere decisioni sotto un regime totalitario e repressivo come quello nazista. D’altro canto, ammette che sono state proprio queste decisioni a portare a raccapriccianti conseguenze e a far sì che si consumassero le più svariate efferatezze sotto i loro occhi. Per lei dunque avranno pur sempre una parte di responsabilità in quanto accaduto, però cerca di fare uno sforzo per comprendere le loro ragioni che li hanno spinti alla passività.
La graphic novel si apre con l’immagine del cerotto Hansaplast, «così affidabile che si stacca solo quando la ferita è completamente guarita», simbolo del desiderio dell’autrice di vedere le proprie ferite finalmente rimarginate.
Simmetricamente, si conclude con la colla UHU, denominata “l’attaccatutto” perché con sole poche gocce di questa erano stati attaccati due cilindri d’acciaio, evento per cui finì nel Guinness dei primati. Nella pagina dedicata ad essa (l’ultima del romanzo illustrato), Krug conclude la sua opera con un’affermazione lapidaria, portatrice di un’amara consapevolezza: «Anche se la Uhu è la colla più forte che esista, non riesce a nascondere le crepe».

Ester Marinai è nata a Pontedera nel 2000, Studentessa del corso triennale in Scienze della Mediazione Linguistica presso l’Istituto di Alti Studi SSML Carlo Bo di Firenze, con inglese e francese come lingue di laurea. E’ attiva nell’Associazione culturale “Ippolito Rosellini”, impegnata nella valorizzazione del patrimonio artistico e culturale locale.