L’arte è presente nella storia umana da tempi antichissimi.
Basta pensare alle famose raffigurazioni rupestri, osservabili ancora oggi, in cui i nostri progenitori primitivi rappresentarono animali e scene di vita quotidiana.
Di certo quegli antenati, così lontani dalla nostra complessità mentale, non si ponevano l’obiettivo di diventare famosi e apprezzati artisti! Sembra che le prime raffigurazioni fossero ritenute perfino propiziatorie e, nel Neolitico, avessero già scopi ornamentali.
La passione per l’arte ha attraversato le epoche, giungendo fino ai nostri giorni. La scienza ha cercato di comprenderne le ragioni, studiandola da due punti di vista: gli effetti della contemplazione di opere e quelli della pratica di un’attività creativa.
La percezione dell’arte
Il neurobiologo Semir Zeki, docente dell’University College di Londra, ha riscontrato attraverso ricerche sperimentali che quando le persone ammirano un’opera di loro gradimento, manifestano l’attivazione di un’area cerebrale dedicata alle emozioni e al piacere, la corteccia orbitofrontale.
La bellezza artistica si trasforma, quindi, in un vero piacere fisico.
Secondo altri ricercatori, inoltre, nelle reazioni all’arte entrerebbero in gioco i “neuroni specchio”, scoperti da un gruppo di scienziati italiani dell’Università di Parma guidati dal prof. Giacomo Rizzolatti. Queste cellule si attivano quando osserviamo un altro individuo compiere un’azione e cerchiamo di impararla. Nel caso delle opere, la loro attivazione ci farebbe “immedesimare” nelle scene rappresentate, aumentando il grado di coinvolgimento.
Dalla contemplazione alla pratica: il ruolo del “flusso”

Cosa possiamo dire, invece, per quanto riguarda la pratica? Essere artisti, anche solo dilettanti, giova particolarmente alla psiche?
L’atto creativo stimolerebbe le stesse aree cerebrali del piacere della contemplazione, come suggeriscono i risultati di una ricerca della Drexel University di Philadelphia.
Tuttavia, per beneficiare davvero della pratica artistica nel tempo, occorrerebbe qualcosa di più di un semplice piacere estetico: una forte passione, che porta a vedere nella creazione una sfida stimolante.
Lo psicologo americano Mihály Csíkszentmihályi, uno dei maggiori studiosi della sfera motivazionale, negli anni ’70 elaborò il concetto di “flusso” proprio studiando alcuni artisti. Si tratta di un coinvolgimento totale, che porta a focalizzarsi su un compito dimenticando l’ego, le preoccupazioni, perfino lo scorrere del tempo. Uno stato che caratterizza l’artista esperto prossimo al completamento di un’opera, convinto di poter vincere la sua personale sfida.
Una condizione vincolante per vivere il flusso è, secondo Csíkszentmihályi, la motivazione intrinseca: svolgere cioè un’attività per il piacere che suscita in sé, non solo per una gratificazione esterna (come il denaro o gli elogi degli altri).
Insomma, se l’ammirazione delle opere è un vero piacere fisico, la pratica artistica giova alla mente soprattutto quando è nutrita da una genuina passione.
Avete provato a cimentarvi nell’arte con scarsi risultati? Non vi preoccupate, il flusso è stato osservato anche in altri settori, dalla scrittura all’arrampicata! Potete quindi ricercare gli stessi effetti di coinvolgimento in un hobby a voi più congeniale.
Ugo Cirilli è nato a Pietrasanta nel 1985, laureato in Psicologia Cognitiva Applicata all’Università di Bologna ha poi conseguito un master in Mental training, ha frequentato corsi di marketing e di gestione delle risorse umane, tecnico della progettazione e promozione turistica (Fondazione Campus, Lucca). Ha scritto su siti internet di cultura e attualità, tra questi scrivo.me portale del Gruppo Mondadori). Come scrittore ha esordito con il romanzo “Un accordo maggiore in sottofondo” (edizioni Toscana Today, 2019).