di GIOVANNI R.FASCETTI – Ho conosciuto Nadir di persona, una volta a Pisa c’erano tantissimi cammelli, poi venne la guerra e furono mangiati.
La visita al cammello dromedario Nadir era la gioia dei bambini pisani in gita domenicale a San Rossore; era al centro dell’attenzione di un pubblico festante e colorato che si rifletteva nei suoi grandi occhi tristi, lagrimosi; forse, almeno per un giorno alla settimana, Nadir non si sentiva solo.
Una domenica quel recinto si presentò vuoto, Nadir non c’era più; su un quotidiano nazionale uscì un articolo di una tristezza infinita “Morire d’amore”, nel quale si descriveva al lettore l’angosciosa solitudine di un diverso, chiuso in un recinto; privo dell’affetto di un suo simile e forse profondamente angosciato dall’idea di essere l’unico della sua specie sotto il cielo del mondo.
Di fatto Nadir poteva considerare se stesso come l’ultimo rappresentante di una presenza peculiare del territorio pisano, di una illustre tradizione pisana…

Erano tantissimi, poi venne la guerra…
Ho conosciuto Nadir di persona, la sua immagine rimane nei miei ricordi d’infanzia e conoscevo la sua vera storia dai racconti di mio padre: “Una volta a Pisa c’erano tantissimi cammelli; poi venne la guerra e furono mangiati”. Mangiati da chi? Non c’erano dubbi, rispondeva mio padre: “lo spiegava un vecchio articolo di giornale che racconta di quando reparti di ‘mongoli’, avevano occupato la Tenuta Reale di San Rossore; uomini famelici e selvaggi, avevano abbattuto a raffiche di mitra i poveri cammelli e se li erano mangiati tutti cuocendo le carni su grandi falò, improvvisati nelle radure tra le macchie odorose dei pini“.
L’immagine di questi “orchi” cattivi funzionava a perfezione perché rievocava la memoria atavica delle antiche orde dei tartari sanguinari, provenienti dalle più lontane lande desolate dell’Asia; in realtà si trattava di cosacchi ucraini fedeli a Hitler e inquadrati in quell’esercito nazista che certo, in quel momento storico, stava mostrando tutta la sua ferocia massacrando cristiani inermi nelle valli toscane.
Più tardi, nel corso delle mie ricerche sui cammelli intervistai un vecchio cacciatore che mi raccontò della gran fame che attanagliava le famiglie dei pisani al momento del passaggio del fronte; non si trovava più nulla da mangiare e prima che i tedeschi occupassero la Tenuta, lui ed altri cacciatori, da San Piero a Grado, passavano l’Arno e si procuravano cibo abbattendo i cammelli. Spero non mi si accusi di revisionismo, ma sono stato sempre convinto della veridicità di questo racconto; per altro a Pisa da secoli le classi meno abbienti erano abituate a consumare carne di cammello e, fino agli anni Trenta del Novecento, la ditta di insaccati Agonigi tagliava la carne di suino con quella di cammello.
La razza del “cammello toscano”

Nadir però non era un superstite di questa storia, mi raccontava mio padre, ma di un’altra, meno conosciuta: quella del tentativo di far rinascere in Pisa la razza che nell’800 fu definita da una studioso “la razza del cammello toscano”. Erano stati mio padre e mio nonno a concepire l’idea di un ritorno dei cammelli. Mio nonno, pittore e cacciatore che nei suoi quadri ci ha tramandato la bellezza delle pinete e delle marine che fan corona a Pisa, amava infinitamente la Tenuta Reale di San Rossore, la frequentava abitualmente tanto che il re Vittorio Emanuele III, ammirato per i quadri che realizzava, gli donò dei gemelli d’oro a forma di Nodo Savoia unitamente ad una lettera di complimenti; mio padre era pittore, scultore, storico dell’arte, innamorato di Pisa e della sua storia; entrambi dunque lanciarono sui giornali la proposta di riportare i cammelli in Pisa.
L’azienda di promozione turistica di Pisa, in collaborazione con la direzione della Tenuta Presidenziale di San Rossore concretizzarono la proposta e i cammelli, due dromedari, fecero il loro trionfale ingresso in Pisa; dalla stazione ferroviaria attraversarono tutta la città e, percorrendo la via Santa Maria, raggiunsero la piazza del Duomo per poi proseguire per San Rossore. Erano un maschio ed un femmina, che risultò in stato interessante.
A quel tempo governava saldamente la pia Democrazia Cristiana e, forse anche pensando alla storia dell’arca di Noè, si era candidamente pensato che sarebbe bastata una coppia, marito e moglie, per ripopolare la Tenuta. Si ignorava che un cammello stallone monta ogni giorno fino a quattordici cammelle ed è raro che qualcuna di queste rimanga pregna. Per veder rifiorire la “razza toscana” si sarebbe dovuto pensare a selezionare un baldo maschio, particolarmente in tiro, e fornirlo di un assortito harem di seducenti cammelle.

Il nostro Nadir nacque pisano ma non ebbe fratelli e sorelle, così se ne morì in solitudine. Fine delle storia? No! La storia non poteva, non doveva finire qui!
Nadir morì ma la storia non fini lì
Nel 1989 scesi in campo con l’idea di far rivivere una tradizione che i documenti facevano risalire al governo dei Medici, alla prima metà del 1600. Già presidente del Gruppo Culturale “Ippolito Rosellini”, detti vita, insieme a mia madre al Club UNESCO di Pisa, e ci trovammo proiettati nella dimensione degli scambi internazionali; avendo conosciuto il Presidente della Federazione Tunisina Rachid Ben Slama, concepii il progetto di un gemellaggio tra Pisa e Tunisi. Il governo tunisino si disse subito disponibile a donarci un certo numero di cammelli simbolo del legame culturale tra Pisa e l’Africa; a quel punto, si trattava di chiedere il via libera al progetto alla Presidenza della Repubblica e preparare il terreno a Pisa cercando il consenso dell’Ente Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, dell’Azienda di Promozione Turistica di Pisa, del Comune, della Provincia, della Società Alfea.

A livello locale, stando ai primi contatti informali, sembrava che il progetto riscuotesse il consenso generale, anche quello del Comitato Scientifico dell’Ente Parco che sembrava verbalmente ben disposto. Aspettavamo il verdetto della Presidenza della Repubblica sennonché, a distruggere tutto, avvenivano due fatti concomitanti.
Francesco Cossiga annunciava di voler cedere la Tenuta Presidenziale; nell’occasione i soliti maligni ignoranti e irrispettosi dissero che il Presidente se ne voleva disfare perché c’erano mucche, cavalli ma non c’erano pecore; purtroppo il Presidente non aveva esternato a chi la Tenuta sarebbe stata affidata.
L’altra cosa che avvenne in quei giorni fatidici fu estremamente spiacevole: un giornalista che aveva trovato una delle missive con le quali chiedevamo ai vari Enti un parere e una adesione alla nostra proposta, mi telefonò per chiedermi tutti i particolari del progetto facendomi presente che, se non lo avessi accontentato, avrebbe pubblicato un articolo lanciando lui la proposta del ritorno dei cammelli in San Rossore.
Così i giornali dettero notizia dell’imminente ritorno dei cammelli in San Rossore senza che nessuna Autorità avesse dato il via libera al nostro progetto. Il Ministero dell’Ambiente che si candidava alla gestione della Tenuta reagì prontamente, e S.E. il Ministro Giorgio Ruffolo, mi inviò una lettera nella quale dichiarava di essere favorevole al ritorno dei cammelli in San Rossore. Per converso, di conseguenza, l’Ente Parco Regionale, per rivendicare con forza la sua candidatura alla gestione della Tenuta, scatenò una potente campagna mediatica per sancire il suo divieto assoluto al rientro dei cammelli in San Rossore.

No al ritorno dei cammelli!
Ricordo ancora quella mattina nella quale, fuori dalle edicole della città di Pisa, spiccavano le civette dei giornali con scritto a caratteri cubitali “NO AL RIENTRO DEI CAMMELLI IN SAN ROSSORE”. Il Comitato scientifico aveva emesso un verdetto degno di una corte marziale, condannando la introduzioni di animali estranei all’ecosistema locale e stigmatizzando il concetto di “mostra di animali” insito nel progetto del Gruppo Culturale “Ippolito Rosellini”; nelle ore successive il proclama venne rilanciato dal notiziario Rai regionale e dalle televisioni locali Da Tunisi ci informarono che, stando così le cose, del gemellaggio tra Pisa e Tunisi non si poteva più parlare.
Fu allora che, per realizzare la mia tremenda vendetta scrissi un libro “I cammelli di Pisa”, pubblicato dalla Giardini Editore, nel quale si raccontavano quattro secoli di presenza dei cammelli dromedari sul territorio pisano. Avevo ricostruito la storia dei cammelli con fonti d’archivio, soprattutto documenti inediti che avevo ritrovato presso l’Archivio di Stato di Firenze.

Il Comitato scientifico con poco scienza e tanta politica
L’assunto di questo libro era che i cammelli dromedari avevano per secoli fatto parte del territorio pisano, con tracce della loro presenza risalenti al medioevo, per poi diventare un elemento peculiare del paesaggio urbano e rurale di Pisa tra il 1700 e il 1800; la mandria aveva infatti raggiunto numeri notevoli.
Alla fine del Settecento si contavano nella Tenuta di San Rossore ben centonovantasei esemplari; c’erano le infrastrutture per il loro allevamento come le stalle per le cammelle; c’era personale addetto alla loro cura, uomini che avevano un’esperienza notevole per gestire tutti gli aspetti della vita dei cammelli dalla riproduzione, al parto, all’alimentazione, alla cura delle patologie, alla trattazione dei cammelli maschi che quando vanno in calore, oltre a tirar fuori una vescica salivosa, la glandula del meibonio e ad emettere suoni gutturali terribili si affrontano in singolar tenzone per cui le loro teste vanno chiuse in ceste, sorte di morioni di vimini; una conoscenza che dagli schiavi islamici, primi guardiani della mandria, era passata ai bifolchi pisani per poi essere trasmessa di generazione in generazione.
Nell’Ottocento, presso lo Studio pisano, era nata una scuola scientifica sui camelidi che ancora oggi vive nella Facoltà di Veterinaria e che rappresenta un’eccellenza nel mondo. I cammelli erano entrati nella vita quotidiana dei pisani con modi di dire come “Ti mando a soffià il naso ai cammelli!” e nell’economia locale: trasportavano carichi pesanti attraverso la città e sopratutto nella Tenuta di San Rossore che era priva di strade e ha un suolo a tratti sabbioso a tratti fangoso.

Per questa capacità di camminare su qualsiasi tipo di terreno vennero proposti al Granduca come mezzo di trasporto in tutta la Maremma; autore della proposta fu il grande imprenditore francese Luigi Porte, colui al quale si deve il lancio dell’attività estrattiva a Caporciano, presso Montecatini Val di Cecina, la miniera del rame che divenne la maggiore di tutta l’Europa; Porte aveva impiegato i cammelli nel trasporto del minerale dalla miniera di Montieri al mare disegnando una pista cammellabile lunga una quindicina di chilometri.
L’Accademia dei Georgofili
Nella sua “Memoria del Cammello Toscano” letta nel 1815 all’Accademia dei Georgofili, Porte esaltava anche gli altri aspetti produttivi di questo animale: a Pisa i cammelli, venivano tosati e il loro pelo filato e tessuto, la loro pelle conciata per scarpe e selle, le loro carni erano entrate nella tradizione culinaria del popolo pisano.
A questa valenza economica si aggiunse, a partire dalla seconda metà del ‘700, la dimensione artistica: i pittori, gli incisori, i poeti li vedevano, si ispiravano e hanno creato una quantità di immagini dove a Pisa, ai suoi monumenti, alle sue vedute agresti sono associati gli animali gibbuti, talvolta mescolati a cavalli e mucche.
Immaginate la sorpresa dei “milordi”, così venivano chiamati a Pisa i primi turisti del Grand Tour, che arrivavano in Toscana innamorati del medioevo italiano e visitando i monumenti della piazza del Duomo di Pisa, vedevano improvvisamente sfilare davanti ai loro occhi stupefatti le lunghe carovane dei cammelli.
Le guide turistiche pisane
Le prime guide turistiche pisane si inventarono subito la storia che questi cammelli i pisani li avevano portati di ritorno dalle Crociate, come preda bellica. Quindi, ecco lì, di fronte a loro, i fossili marmorei di un’età aurea di gloria e potenza ormai trascorsa, avvolti nel silenzio, e improvvisamente ecco la scena animarsi per un segno ancora vivo, caldo, mobile e rumoroso (per il gorgoglìo che usciva dalle lor gole), di quel mitico passato.
I Milordi correvano subito alle botteghe dei souvenir e gadget per comprare immagini dei cammelli da mostrare al loro rientro in patria e nella mia collezione di documenti sui cammelli pisani oltre alle incisioni del Fambrini e del Grassi, conservo anche una pregevole scatola in alabastro, forse prodotta nella bottega Van Lint, con l’immagine della piazza del duomo e gli immancabili cammelli.
Le guide pisane si erano inventate anche la storia di un mercante pisano caduto schiavo dei barbereschi e messo a macinare il grano insieme ai cammelli, una volta liberato e tornato a Pisa si era costruito sul Lungarno il palazzo con la scritta “alla giornata” appendendo la catena della sua schiavitù sopra la porta di ingresso (la catena in realtà aveva un tempo sostenuta una lanterna e “alla giornata!” significa “alla battaglia”. Comunque questa storia impressionò Gabriele D’Annunzio che la traspose nella sua meravigliosa lirica “I Camelli”.

La fama dei cammelli di Pisa era enorme tanto che Massimiliano d’Asburgo nel suo diario di viaggi scrive: “appena arrivato a Pisa sono corso a vedere i cammelli!” e pure il filosofo Nietzsche ne rimase così impressionato da generare il “Dialogo tra il viandante e la sua ombra” dove parla del suo incontro con i cammelli di Pisa.
Soprattutto a me interessava sottolineare nel libro il significato di questa magnifica presenza, ovvero che tra Pisa e l’Islam non c’erano stati soltanto conflitti bensì una plurisecolare tradizione di pacifici scambi culturali e commerciali, un verità storica che questi animali potevano ben rappresentare.
Ancora scorrono le acque dell’Arno
Le acque dell’Arno continuarono a scorrere per anni, io continuai a raccontare questa storia con il rimpianto di aver visto infrangersi un sogno.
Capitò infine una congiuntura fortunata: il Prof. Dario Cianci dell’Università di Pisa si procurò un gruppo di cammelli per un periodo di studio. L’Ente Parco mi chiamò per vedere se fosse stato possibile “catturarli” al momento della fine del progetto e mi incaricò di scrivere una seconda monografia sui cammelli, alla quale detti il titolo “I cammelli di Pisa, Magnifica presenza” pubblicato nel 2014 per i tipi dell’ETS. Il nostro sogno sfumò di nuovo.
Intanto l’acqua dell’Arno continuava scorrere e ci portò il “rottamatore” Matteo Renzi: ciò che la politica aveva distrutto, ora la politica veniva a costruire e Lui, che era stato Scout, benediceva da Presidente del Consiglio il grandioso raduno degli Scout Agesci in San Rossore, forse organizzato con la speranza – mancata – di veder arrivare a Pisa papa Francesco, se non altro arrivò nell’occasione un gruppo di cammelli come simbolo di pace e come dono alla Tenuta…
Così fu, ed ora l’acqua dell’Arno scorre portando sullo specchio della sua superficie il riflesso dei pini e dei cammelli di San Rossore.
(foto in copertina: Andrea Fascetti, “Cammelli in San Rossore”, olio su tela – proprietà Rita Fascetti)

Giovanni Ranieri Fascetti, pisano, classe 1965, è uno storico dell’Urbanistica, archeologo, esperto di Gestione e Marketing del Patrimonio, Cittadino Onorario di Vicopisano e Premio Pegaso d’Oro della Regione Toscana, docente di materie umanistiche presso l’I.T.S. “Pacinotti-Galilei” di Pisa. E’ Presidente del Gruppo “Ippolito Rosellini”, direttore della Rocca del Brunelleschi a Vicopisano e Custode del Tempio di Minerva a Montefoscoli.