di TOMMASO GARDELLA – Si chiama Torio ed è stato scoperto nel 1829 dal sacerdote e mineralogista norvegese Morten Thrane Esmark.
Ultimamente si è tornati a parlare di nucleare, un tema molto delicato che potrebbe però offrire un gran contributo alla lotta all’inquinamento e al riscaldamento globale, i problemi di pericolosità, instabilità, complessità e scorie radioattive tempestano come al solito chiunque provi a riproporre il suo utilizzo, eppure questa volta potrebbe essere diverso.
Se vi dicessi che potremmo sfruttare un altro elemento con il quale rimpicciolire questi due problemi e aggiungessi che qualcuno ha anche pensato di poter utilizzarlo al posto della benzina, cosa mi direste? Ve lo dico io, come direbbe un mio amico del calcetto: “posa il fiasco Tommi!”. E aveva ragione, visto che ero convinto che la sorella fosse la sua ragazza.
Comunque, questo intrigante carburante sarebbe in grado di muovere le nostre auto per più di 100 anni prima di doverne fare rifornimento. È abbondante sulla terra (si stima lo 0,001% nella crosta terrestre), non inquina, la sua estrazione non sarebbe troppo complicata e soprattutto (per noi fanatici) è incredibilmente potente. Insomma, una scoperta a prova di bomba. Beh…non proprio. Innanzi tutto è radioattivo.
Si chiama Torio ed è un elemento che troviamo nella tavola periodica, giusto poco prima dell’uranio, e il suo numero atomico 90 lo iscrive tra gli attinidi. È stato scoperto nel 1829 dal sacerdote e mineralogista norvegese Morten Thrane Esmark e in seguito identificato dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius (considerato, insieme a Robert Boyle, John Dalton e Antoine Lavoisier, uno dei fondatori della chimica moderna) che gli diede il nome del dio del tuono Thor, mentre la sua radioattività la scoprì Marie Curie nel 1898.
Qualche anno più tardi, poco prima della fine della seconda guerra mondiale, gli scienziati Wigner, un fisico ungherese, ed Enrico Fermi, l’uomo che inventò il primo reattore nucleare al mondo, iniziarono i loro studi sul torio perché nonostante la sua radioattività, risultava molto meno pericoloso, meno radioattivo e molto più facile da controllare rispetto all’uranio per una semplice quanto sostanziale differenza: il torio non ha isotopi fissili, cioè atomi che possono subire reazioni di fissioni.
Nonostante queste caratteristiche, gli studi su un suo possibile utilizzo in ambito nucleare vennero stoppati nel 1973 in favore dell’uranio perché il torio non possiede le caratteristiche necessarie (come abbiamo appena visto) per essere impiegato nella creazione di arsenali nucleari e visto il periodo leggero che l’umanità stava vivendo, diciamo che i governi non avevano tanto tempo da perdere con qualcosa che non potesse polverizzare qualcos’altro (fino ad oggi, visto che India e Cina stanno progettando una centrale nucleare a testa con alla base lo sfruttamento del torio, sotto la spinta del fisico premio Nobel Carlo Rubbia che nel 2013 presentò un reattore nucleare che sfruttava il torio anziché l’uranio) e preferivano di gran lunga continuare a far cagare sotto tutti quanti.
Comunque, cosa c’entra tutto questo con le auto?
Nel 2009 una start-up americana dal fantascientifico quanto esplicativo nome, Laser Power System, annuncia al mondo di star lavorando a un nuovo tipo di motore alimentato dal torio. Tutti vanno in fermento, tutti sono estasiati e incuriositi da questa notizia che potrebbe cambiare per sempre il nostro modo di comprendere il concetto di macchina, persino il Corriere (un po’ in ritardo, solo 4 anni dopo) ne scrive un pezzo, e tutt’ora oggi c’è chi dice (e probabilmente spera) che il torio possa essere la soluzione finale per il definitivo abbandono dei carburanti fossili.
1 grammo per sostituire 29.000 litri di benzina, 8 grammi per percorrere quasi 500.000 km, aggiungete una manutenzione del motore da effettuare ogni 100 anni ed ecco voi la macchina che ogni figlio di papà (io pure) vorrebbe, benzina fatta e manutenzione alla quale ci penseranno i figli del figlio. Che figata eh?
E pensare che secondo Charles Steven, capo della Laser Power System, il problema principale non sarebbe neanche l’utilizzo del torio o la creazione di una mini centrale nucleare. La difficoltà viene rappresentata, un po’ incredibilmente (visto la tecnologia di cui stiamo parlando), da due turbine che dovrebbero girare e creare energia a sufficienza per azionare i motori elettrici e far muovere la vettura.
Funziona così: il torio è uno dei più densi elementi della terra e se riscaldato è in grado di generare enormi quantità di calore. Il torio, riscaldato da un laser di calore (non di luce), dovrebbe a sua volta riscaldare un contenitore di acqua che formerà del vapore acqueo. A sua volta il vapore acqueo azionerebbe delle mini-turbine che girando creerebbero energia a sufficienza per azionare i sei motori elettrici delle 24 ruote motrici della vettura (costituite da dischi coassiali, 6 per ruota e 12 per asse, ovvero dischi metallici che hanno in comune lo stesso asse di rotazione e che si muovono come un disco unico). Sembra e probabilmente lo è, molto complicato, ma Stevens dovrebbe già essere riuscito a mettere a punto un prototipo dal peso di soli 230kg in grado di sviluppare circa 250MW, quasi 340cv.
Ma è tutto vero? È possibile creare un reattore nucleare abbastanza piccolo da poter essere contenuto all’interno di un’anormale utilitaria? E il prezzo? Già ci lamentiamo per 10.000 euro in più per una 500 elettrica, quanto costerebbe la stessa 500 nucleare? E il peso? È vero che la minor radioattività richiederebbe minor schermatura, ma questo non vuol dire che non ne serva e comunque richiederebbe l’uso del piombo, non proprio il materiale più leggero conosciuto.
Domande alle quali già qualcuno aveva provato a rispondere negli anni 50. La Ford nel 1958 presentò la Ford Nucleon, un concept in scala 1:33 che prevedeva un motore piombato nella parte anteriore della macchina (infatti molto lunga) alimentato ad energia nucleare. Il progetto venne poi affossato per ovvie ragioni ma questo ci fa capire quanto non impossibile possa essere una soluzione del genere, ovviamente, con la giusta conoscenza tecnologica, tale da poter supportare un’innovazione epocale.
Che il tutto sia possibile o meno non spetta a me dirlo, ma alla fine, se ci pensate, sognare porta a dei risultati, sognare permette di creare idee nuove, molte volte fantascientifiche. Andate a dirlo a qualcuno degli anni 90 che 20 anni dopo avrebbero avuto in mano un congegno minuscolo e dal peso irrisorio che avrebbe stravolto e controllato la sua vita.
Sapete cosa vi risponderebbe? “Ascolta me: posa il fiasco, va!”
(foto: sfondo licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/1418553)
Tommaso Gardella è nato a Milano nel 1997, studia Storia all’Università di Firenze