Il generale Vannacci, l’Italia e il Perù

di ALDO BELLI – In un paese narcotizzato, il diritto di esprimere il proprio pensiero interrogandosi su quello che si reputa normale è reato.

Non so dire se in Perù (110° nella classifica mondiale della libertà di stampa), in Tunisia (121°) o nel Myanmar (173°), un generale dell’Esercito abbia il diritto di scrivere un libro su coma va il mondo. Nel caso in cui non ne avesse diritto, allora è come se il generale Roberto Vannacci vivesse in Perù, o in Tunisia o nel Myanmar, anziché nell’Italia di Dante, Michelangelo e Galileo.

Ho scorso il libro di Vannacci, confesso rapidamente, ma quanto basti ad un lettore allenato per capire di cosa si tratta. Qualche titolo dei capitoli: Il buonsenso, L’ambientalismo, La società multiculturale e multietnica, La famiglia, La patria, Le tasse... “Il mondo al contrario” (questo è il titolo del libro, 373 pagine) potrebbe essere equiparato ad una conversazione da dopocena tra amici, durante la quale si discetta sul mondo e sulla vita; scorre con naturalezza, senza prosopopea, spesso ripetendo banalità che sono tali solo perché ormai considerate da tutti ovvie, le quali viceversa nascondono opinioni e pensieri, stili di vita, forme della convivenza sociale, affetti familiari, che hanno impresso e vanno imprimendo un’identità collettiva.

Ogni mese vedo libri che rispetto unicamente per la carta che è stata consumata; e molti altri, però, ancora capaci di rincuorarmi sulle condizioni di salute della libertà di pensiero e sull’arte della scrittura. In Italia un’autobiografia non si nega neppure ai cani, nella nostra top-ten nazionale annoveriamo anche il libro di un ministro che dichiarava la fine del Covid mentre la pandemia esplodeva il giorno dopo, costringendo una rapida ritirata del volume dalle vendite. Nessuno all’improvvida mente in cerca di pubblicità ricoprendo la carica di ministro della Sanità (non della Bocciofila di Arona) ha imposto di dimettersi.

Quale sia il sacro fuoco che ha spinto Vannacci a cimentarsi nell’Olimpo della Letteratura (ne dà una spiegazione nella premessa del libro) non mi interessa. E poco conta che molte delle cose che scrive io non le condivida, mentre un’analisi critica mi spinge a ritenere alcuni concetti filologicamente deboli, contraddittori. Sono queste, comunque, le due ragioni per le quali mi sento solidale con Vannacci, sollevato dal comando e non più a capo dell’Istituto geografico militare dopo l’uscita del libro: in un paese libero non si chiede perché si esprime un’opinione, e in un paese libero nessun cittadino è privato del diritto di esprimere il proprio pensiero se non contravviene alla Legge.

Un soldato al pari di un magistrato (ma potremmo aggiungere anche di un politico) è un cittadino più cittadino degli altri perché indossa un abito pubblico, rappresenta lo Stato, ha giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica Italiana, ed è soggetto ai regolamenti della condotta nell’esercizio della propria funzione pubblica. Non mi risultano magistrati che siano stati sanzionati per avere scritto un libro. Figuriamoci poi, se parliamo di politici che rivestono cariche pubbliche! Cazzate a randa quotidiane, scritte e orali: ma queste non screditano lo Stato né la Repubblica agli occhi dei cittadini, come invece ha fatto il cinquantaquattrenne generale con un passato nella Folgore con ruoli di responsabilità nelle forze speciali in molte missioni all’estero.

L’ANSA rilancia: L’ex ufficiale della Folgore prende di mira gli omosessuali e attacca il femminismo e i clandestini. L’Esercito: “Prendiamo le distanze”. Il ministro della Difesa Guido Crosetto esorta, via social, a “non utilizzate le farneticazioni personali di un generale in servizio per polemizzare con la Difesa e le forze armate… ha espresso opinioni che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione”. E ancora Crosetto: “Chi serve il paese guidando pro tempore un’istituzione come la Difesa deve solo limitarsi a mantenere distacco ed applicare le regole e le norme. Nulla più, nulla di meno”. Speriamo che se ne ricordi anche il ministro della Giustizia, quando ad esternare sono coloro che indossano una toga; e se possibile, anche i presidenti di Camera e Senato quando un senatore o un deputato violano con le loro parole e la loro condotta l’art.54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.

I libri in Italia, ormai da decenni, fanno raramente notizia. E di opere pregevoli e preziose ne vengono pubblicate molte. La loro voce, quando buca come lo spillo, si arresta sul marciapiede dei Palazzi del Potere: pensate solo ai due volumi testimonianza-denuncia di Luca Palamara e Alessandro Sallusti, qualcosa di equivalente ad un Watergate (un presidente degli Stati Uniti ci lasciò la buccia), mentre in Italia è finito nel nulla.

“Il mondo al contrario”, un libro per di più autoprodotto, cioè senza casa editrice, è diventato un caso editoriale: non grazie ai lettori che si sono precipitati nelle librerie, ma per la censura ricevuta.

In realtà, il libro del generale Vannacci non è esattamente come è stato descritto. Ha il grande pregio di avere messo nero su bianco ciò che pensa un grande numero di persone, e non solo in Italia, che s’interrogano sul modo in cui la nostra civiltà è andata evolvendosi a cavallo del secolo. Temi esistenziali, come le relazioni nella famiglia, le nascite con l’utero in affitto, il cambio di sesso, il movimento delle masse attraverso i continenti, il concetto del rispetto del prossimo e via dicendo.

Per la nostra consapevolezza sociale portare alla luce i problemi reali dell’esistenza quotidiana è più importante che avvolgere tutto ciò che si muove intorno a noi in una ripetizione ossessiva omologata di slogan dove tutto diventa indistinto, indifferente talvolta alle stesse leggi della logica e della razionalità, un magma nel quale svanisce il dubbio stesso, spingendo le masse a chiudersi, ciascuna, nelle proprie certezze, un pensiero fondato su assunti espressi o percepiti al di fuori di ogni spirito critico.

Il caso Vannacci, in conclusione, non riguarda solo la libertà di espressione e di pensiero, ma anche l’orrido erigersi di mura infernali in nome (che allucinante contraddizione!) del diritto alla diversità, contro un diverso, per avere Vannacci infranto le regole del Monopoli.

Quando la diversità, in ogni campo della vita sociale e del pensiero, da nutrimento insostituibile della tolleranza e della democrazia diventa un’ideologia, si finisce per diventare tutti uguali, non esiste più il bianco e il nero, il confine tra il bene e il male svanisce, tutto diventa normale, la Storia stessa si annulla, tutto ciò che ci circonda deve essere espresso e percepito come normale, depurato della logica e della razionalità, della sua effettiva corrispondenza etica, perché la normalità non genera conflittualità sociale, il cattivo Potere è salvo in un paese narcotizzato. Ma questo, probabilmente, il generale Roberto Vannacci lo sapeva già, e forse è il vero motivo per cui si è svegliato un mattino e ha deciso di fronte allo specchio di finire nella black-list del Potere.