di TOMMASO GARDELLA – Prima di tutto, bisogna fare una piccola precisazione, distinguendo il kayak dalla canoa.
È difficile parlare di questo sport, sia perché pur essendo conosciuto da molti le sue dinamiche sono un po’ trascurate e quindi di difficile comprensione, sia perché pur essendo una disciplina olimpica non ha una grande risonanza ‘acustica’. Prima di partire bisogna fare una piccola precisazione, distinguendo il kayak dalla canoa.
Anche se sportivamente parlando, altresì a livello disciplino-olimpionico, sarebbe più corretto parlare di canoa/kayak, termine dentro al quale vengono racchiuse varie imbarcazioni sportive accumunate dal fatto di essere manovrate con pagaie, ci sono delle differenze che vanno imparate, soprattutto qual ora qualcuno di voi fosse interessato a cimentarsi in questa disciplina e non volesse incappare in qualche problematica poco piacevole.
Partiamo dalle forme delle due imbarcazioni, che vedono la canoa con la prua e la poppa appuntite, e di solito ha il ponte aperto, quindi quando sali su questa non hai bisogno di indossare la classica “gonna” dei kayakisti. Il kayak invece ha una struttura diversa: solo la prua è appuntita e ha il ponte chiuso, quindi alla guida del kayak sarebbe d’obbligo usare la gonna; sarebbe perché ci sono kayakisti che preferiscono non indossare la gonna paraspruzzi, visto che imbarcare acqua non è possibile ma molto più difficile, poiché il kayakista è seduto all’interno di un pozzetto, che è molto più stretto dell’interno di una canoa.
Un’altra differenza la troviamo nella posizione di guida.
Chi usa la canoa può inginocchiarsi sullo scafo o anche pagaiare in posizione semi-inginocchiata, oltre che da seduto con le gambe leggermente piegate. Questo tipo di seduta non è adatta al kayak, a causa soprattutto dello scafo molto più stretto e l’unica posizione possibile è quindi la seduta con le gambe stese in avanti.
Troviamo differenze anche nel peso delle due imbarcazioni, molto più contenuta quella del kayak rispetto alla canoa che essendo più grossa e larga tende a immergersi un po’ di più, nelle velocità che possono essere raggiunte, a favore anche qui del kayak – sempre per la forma più contenuta -, anche se in questo caso possiamo dire che molto dipende dal pagaiatore. Infine vi sono differenze anche per quanto riguarda le forma delle pagaie, a lama doppia, in genere curva, per i kayak e a lama singola e piatta per le canoe.
Bene, adesso possiamo iniziare ad addentrarci nel mondo kayakista. Partiamo dalla storia, dalle radici dello strumento che una volta veniva usato per spostarsi lungo i tratti fluviali o per cacciare in mare aperto.
La parola kayak veniva anticamente utilizzata per definire le imbarcazioni eschimesi che dovevano essere il più ergonomici possibili, visto che venivano usate sia nella caccia, praticata anche in mare aperto, sia nelle fasi di migrazione del villaggio. In aggiunta alla grande ergonomicità vi doveva essere anche una grande resistenza strutturale, ricercata e trovata grazie all’utilizzo di ossa di balene e pezzi di legno, rivestite da pelle di foca, e chiuse ‘ermeticamente’ da una copertura stagna indossata come un grembiule. la prua era rialzata in modo da fendere meglio le onde del mare e, allo stesso tempo, per non far arrivare l’acqua all’altezza del pagaiatore.
L’evoluzione moderna del kayak non prevede più – chiaramente – lo sfruttamento di balene e foche ma di materiali compositi, come polietilene, fibra di vetro e in alcuni casi anche carbonio, che danno grande resistenza e l eggerezza allo scafo.Scafo che, grazie a studi e alle nuove tecnologie, può avere diverse forme – fondo piatto o tondo, a V o ad arco ribassato, con fianchi più o meno rialzati – in base alle necessità.
Le uniche caratteristiche sopravvissute alle radici sono la mancanza di punti di appoggio della pagaia, importante per trovare l’equilibrio e compiere brusche sterzate necessarie per seguire i corsi dei fiumi e, nelle situazioni estreme come il creeking per evitare massi e tronchi di alberi, la copertura stagna che impedisce all’acqua di entrare all’interno del kayak – quindi il fatto di essere rimasto pontato – e la posizione di guida, rimasta seduta.
Parlando di attività fisiche connesse al kayak, dobbiamo per forza di cose citare la whitewater. La whitewater, o wild water, si divide in varie categorie in base alla voglia e al livello di adrenalina che vogliamo raggiungere, i corsi d’acqua usati per le attività vengono classificati in base alla loro difficoltà di percorrenza su una scala che va dal primo – acqua piatta -, fino al sesto livello – quindi passaggi quasi impraticabili con molta pendenza -.
Iniziamo con il river running, la disciplina più popolare vista la sua difficoltà medio-bassa. È praticato in corsi d’acqua bianca con poca pendenza, che rientrano in un range che va dal secondo al quarto livello di difficoltà, dove al kayakista è richiesta una minima esperienza e conoscenza della pratica.
Il river play invece, è una pratica molto divertente e grazie alla sua non pericolosità viene praticata da chiunque. Lo scopo di questa pratica è quello di “puntare” la coda sotto l’acqua semplicemente facendo delle pagaiate circolari, permettendovi un agilità maggiore negli slalom. Questo tipo di disciplina pero, necessita di un kayak apposito, che a differenza di quello tradizionale ha un volume, soprattutto nella parte posteriore, molto più rastremato.
C’è poi il rodeo freestyle, una disciplina giovane ma che in poco tempo è riuscita da attrarre tante persone. Tale sport comincia a diventare popolare negli anni ’90 prima di esplodere intorno al 2000, grazie al notevole miglioramento tecnico raggiunto dalle imbarcazioni. Nelle competizioni l’obiettivo è di effettuare, dentro il ritorno di una grande onda, una serie di manovre spettacolari con diversi livelli di difficoltà.
L’ultima disciplina, che è anche la più seguita ed estrema è il creeking.
Il creeking, esclusivamente praticato da esperti, è un ramo del kayak e comporta la discesa di rapide – solitamente in fiumi alpini – a basso volume e con un’ elevata pendenza, che possono essere buchi, salti o cascate di alcuni metri, solitamente eseguita in kayak specializzati per resistere all’ambiente estremo al quale sono immersi. Stiamo parlando di uno sport estremo che richiede una tecnica sopraffina non solo per quanto riguarda la pagaiata ma anche e soprattutto durante i salti. Non è una disciplina per tutti ed è necessario avere un buon equipaggiamento, all’avanguardia, tecnico e soprattutto sicuro.
Purtroppo, dato il momento che stiamo vivendo e le varie restrizioni alla libertà personale, intingersi in queste disciplina non è proprio la cosa più facile e sensata che possiate fare. Però una volta passato questo periodaccio, potrete tranquillamente e velocemente recuperare la vostra forma fisica provando qualcosa di diverso, di completo e, se volete, di estremo per sentirsi di nuovo liberi.
(foto: niksy – licenza pixabay https://pixabay.com/it/photos/kajak-kayak-sport-attivo-so%C4%8Da-984566/ )
Tommaso Gardella è nato a Milano nel 1997, studia Storia all’Università di Firenze