Fabio Massimo Castaldo - Vicepresidente Parlamento Europeo

UCRAINA. Intervista a Fabio Massimo Castaldo (5 Stelle)

di PAOLO PESCUCCI – E’ stato vicepresidente del Parlamento Europeo dal 2017 al 18 gennaio 2022 per il Movimento 5 Stelle.

Onorevole Castaldo, come cittadini europei siamo consapevoli della situazione gravissima che l’invasione dell’Ucraina ha creato. Stavolta l’Europa si è compattata e ha rapidamente deciso, come parlamentare Europeo come ha vissuto questi giorni di decisioni e tensioni?

Le immagini di crescente violenza e brutalità che ogni giorno ci giungono dall’Ucraina sono la dimostra-zione plastica della dimensione del crimine perpetrato da Putin ai danni del popolo ucraino, con il quale dobbiamo essere pienamente solidali. Siamo di fronte a un’invasione cinicamente premeditata e piani-ficata con largo anticipo, i vertici russi si sono fatti beffe anche degli sforzi negoziali europei di questi mesi. È un attacco diretto alle radici dei principi democratici su cui si fonda l’Unione Europea: a essere messi in pericolo, oltre alla vita di innocenti, bambini, donne, anziani, sono proprio i valori su cui l’Europa stessa si fonda, ossia il rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e la promozione del dialogo.

Il mio pensiero, ribadito anche durante la seduta Plenaria dell’Europarlamento è sempre stato di profonda vicinanza alla società civile ucraina, ma anche a tutti quei russi che coraggiosamente sfidano la censura e la repressione per dire che questa è la guerra di Putin e non della Russia: insieme ai colleghi continuerò ad adoperarmi affinché l’UE metta la massima pressione possibile per facilitare i negoziati in corso verso un cessate il fuoco, e sostenga pienamente a livello umanitario quei milioni di civili a cui è stata negata ogni forma di diritto e di speranza, sia quelli che si sono rifugiati all’interno delle nostre frontiere sia quelli che sono ancora sotto le bombe russe.

Non possiamo e non dobbiamo permettere che si sentano lasciati soli, neanche per un istante”.

Gli equilibri mondiali si sono ormai alterati, anche un immediato cessate il fuoco non potrà più riportare la situazione politica alla situazione di relativa reciproca fiducia precedente, come vede la possibile evoluzione geopolitica?

Come dicevo poc’anzi in questo momento la priorità assoluta è ottenere il più velocemente possibile un cessate il fuoco, intavolando una seria prospettiva di soluzione negoziale per risolvere il conflitto. Finora però i segnali non sono stati incoraggianti, a partire dall’ultimo vertice in Turchia tra i due Ministri degli Esteri ucraino e russo, vertice che non ha registrato, come si temeva, alcun passo concreto in avanti. Ad ogni modo non sarebbe tollerabile che Mosca imponesse a Kiev una resa incondizionata e una capitolazione alle sue pretese, ovvero rendere l’Ucraina una nazione a sovranità limitata: un simile sviluppo porterebbe un ritorno alle logiche di potenza nelle relazioni internazionali, segnando la fine di decenni di rafforzamento della diplomazia.

Se dovesse tornare in auge la strategia del “fait accompli” per rivedere i confini statuali e riscrivere unilateralmente la geografia attraverso ingiustificabili aggressioni militari, scavalcando l’impianto multilaterale e negoziale costruito attorno alle Nazioni Unite, ripiomberemmo in un contesto sinistramente simile agli anni precedenti allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Sebbene si tratti di una fattispecie diversa, proviamo ad immaginare, per un istante, cosa accadrebbe se la Cina si sentisse nelle condizioni di poter invadere impunemente Taiwan sulla scorta di questo precedente. È uno scenario che dobbiamo e vogliamo scongiurare a tutti i costi.

A tutto ciò bisogna aggiungere i timori, tutt’altro che infondati purtroppo, di un possibile coinvolgimento di-retto di altri Paesi ex sovietici già afflitti da tempo da conflitti congelati, come la Moldavia con la Transnistria e la Georgia con l’Abcasia e l’Ossetia del Sud, due Stati che potrebbero subire lo stesso destino dell’Ucraina qualora Putin si imponesse con la forza delle armi sul diritto internazionale.

L’Europa pur reagendo prontamente si è resa conto della situazione di dipendenza energetica e debolezza del suo sistema di difesa. Cosa possiamo fare a livello europeo ed Italiano per ridurre rapidamente la dipendenza energetica? Cosa possiamo dire ai nostri concittadini che dovranno sopportare sacrifici per recuperare la situazione critica che si è creata?

Le attuali dipendenze energetiche da Paesi terzi potenzialmente ostili sono figlie di decenni di politiche miopi e profondamente sbagliate, con le quali ci troviamo a fare i conti oggi ma che, di certo, hanno ra-dici molto lontane. Radici che però non vengono mai abbastanza sottolineate, vedasi i contratti conclusi durante i vari governi Berlusconi, ma non solo.

Per risolvere questo annoso problema occorrerà per-seguire parallelamente due strade. Nel breve periodo, sarà necessario completare una vera Unione dell’Energia a livello europeo, mettendo in comune le nostre infrastrutture e diversificando rapidamente i fornitori di idrocarburi per evitare di essere sotto scacco da un singolo, così come sta facendo l’Italia per il gas con l’Algeria, l’Egitto e il Qatar; nel medio periodo, invece, sarà necessario investire massicciamente sulle fonti di energia rinnovabile, a partire dal solare e dall’eolico, per renderci quanto più autonomi possibile e sviluppare appieno le potenzialità del Green deal e del Next Generation EU.

Ciò che mi preme ribadire, però, è che in alcun modo devono essere i cittadini a pagare il prezzo di scelte poco lungimiranti.

Per questo ho già chiesto e continuerò a chiedere che l’UE metta in campo un fondo ad hoc basato su emissione di debito comune come avvenuto per il Next Generation EU, un ‘Energy Recovery Fund’ per supportare privati e imprese europee che già stanno scontando drammatiche e ingiuste conseguenze per i rincari delle bollette e delle materie prime. Le imprese e i cittadini europei non possono e non devono essere lasciati soli a pagare il prezzo dello scellerato desiderio di espansionismo di Putin e della sua voglia di rivalsa verso l’Ue e i suoi Stati membri: sarebbe il miglior modo per disgregare la nostra unità e, quindi, per renderci ancora più vulnerabili”.

Tornando al tema difesa, per la prima volta l’Europa ha deciso la fornitura di armi ad un paese in-vaso ed attaccato, un sostegno concreto ad un popolo che si difende. Quale il suo pensiero in merito?

Possiamo discutere a lungo sulla genesi di questo conflitto, ma nessuna controversia, per quanto aspra, può giustificare l’invasione di uno Stato indipendente e sovrano, né tanto meno la velleità di uno Stato limitrofo di imporgli coattivamente la rinuncia alla libertà di autodeterminare il proprio futuro. Sulla legittimità della difesa da parte dell’Ucraina e, quindi, anche di un sostegno in suo favore da parte di altri Stati in una simile situazione il diritto internazionale è chiarissimo, basti vedere l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, per non parlare dell’art. 8-bis dello Statuto della Corte Penale Internazionale che con-danna esplicitamente il ‘crimine di aggressione’: ritengo perciò che anche la fornitura di armamenti, in un simile tragico contesto e vista anche la terribile sproporzione di forze in campo, sia un atto dovuto.

L’Unione Europea si è attivata tempestivamente in questo senso, ma vorrei ricordare con grande chiarezza che vogliamo restare vigili e che ci siamo battuti, e continueremo a batterci, affinché vi siano i più scrupolosi criteri di controllo e condizionalità possibili per l’invio di armamenti, primo fra tutti la trasparenza sugli utilizzatori finali, sebbene in un contesto di conflitto aperto sia più difficile verificarli.

Detto ciò, non potevamo girarci dall’altra parte mentre venivano bombardati ospedali, scuole e altri obiettivi civili, causando terribili sofferenze alla popolazione. Restiamo assolutamente contrari all’escalation: è necessario operare ogni sforzo negoziale per ottenere una tregua ed evitare un confronto militare aperto tra la Nato e la Russia.

Il sostegno all’Ucraina, che a dispetto di certe pessimistiche previsioni sta resistendo valorosamente e coraggiosamente ai ripetuti è sempre più atroci attacchi, insieme alle conseguenze delle pesantissime sanzioni che abbiamo varato possono essere i due fattori che ci consenti-ranno di riportare la crisi nell’alveo della diplomazia.

La Russia pare avanzare minacce di un uso tattico delle armi nucleari, a parte la NATO che comunque dipende dalla volontà USA di sostenerci o meno, quale può essere una giusta risposta che faccia capire alle potenze ostili che la difesa europea diviene solida e credibile? La creazione di un esercito europeo?

Negli ultimi anni abbiamo rilanciato il lungo e faticoso percorso di integrazione e rafforzamento delle no-stre capacità nell’ambito della sicurezza e della difesa prefiggendoci l’obiettivo di raggiungere una piena e concreta autonomia strategica.

Ci tengo a precisare che essa deve essere declinata e intesa in un’ottica sinergica rispetto all’asse transatlantico, per essere più efficaci quando è possibile operare insieme, ma anche capaci di camminare sulle nostre gambe qualora le condizioni ci obblighino ad agire da soli, specialmente nel nostro vicinato: visto il costante riposizionamento di Washington nell’Indo-Pacifico, si tratta di un’esigenza non più rinviabile, e questo tragico conflitto lo dimostra in modo sin troppo crudo. La strada da percorrere, però, è ancora lunga e impegnativo: abbiamo bisogno di un grande sforzo multidominio, che includa anche lo spazio e il cyber, ma in ogni caso agitare l’idea di una Forza di reazione rapida come nucleo di un futuro esercito europeo serve a ben poco se non si realizza prima la sua precondizione, ovvero il conseguimento di una vera Unione Politica, a partire dal supera-mento dell’obsoleto voto all’unanimità in politica estera.

Al contrario, correremmo il rischio concreto di creare uno strumento costantemente paralizzato, poiché sarebbe impossibile definirne tempestiva-mente tempistiche e modalità di impiego, senza parlare della difficoltà di sintetizzare le posizioni e gli interessi comuni europei senza scadere nella logica dei compromessi al ribasso che, per non scontenta-re nessuno, non risolvono nulla.

Anche qui, la forza e la tempestività della nostra reazione a questa crisi dovrebbero essere un monito per il futuro. Dovremo procedere per gradi, in primis consolidando con convinzione quanto fatto nel versante su cui l’UE attualmente ha più possibilità di manovra, ossia l’europeizzazione e gli investimenti strategici nella base industriale della nostra difesa, così come la mobilità militare.

Spero che la Conferenza sul Futuro dell’Europa ci dia un’indicazione chiara sulla modi-fica dei Trattati per ampliare le competenze dell’Unione in questa materia, e che si decida di creare debito comune per realizzare gli investimenti necessari, onde evitare i rischi legati all’implementazione di soluzioni individuali da parte dei singoli Stati.

Se riusciremo a perseguire questi obiettivi potremo certamente accrescere la nostra credibilità internazionale, sempre tenendo bene a mente, però, che il cor-so d’azione preferito dell’Unione è, e deve restare, la costante promozione della diplomazia e del multilateralismo. I quali, d’altro canto, se non possono contare sulla dissuasione del cosiddetto “hard power”, rischiano di rimanere appelli inascoltati.

L’Ucraina come saprà era una potenza nucleare aveva circa 2000 testate atomiche ex URSS, con il memorandum di Budapest, Kiev accettò di farle smantellare dietro preciso impegno di Russia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Cina a garantirne sicurezza, indipendenza ed integrità territo-riale. Davanti a ciò che sta succedendo e al mancato rispetto dell’accordo da parte di tutte le potenze interessate, quale può essere la lezione che l’Europa deve trarne?

Senz’altro in queste drammatiche settimane le autorità e il popolo ucraino stanno fortemente rimpiangendo la scelta del 1994: per quanto paradossale sia, dal punto di vista dei nostri sforzi a sostegno della non proliferazione, se Kiev avesse conservato il proprio deterrente nucleare probabilmente questa crisi non sarebbe mai deflagrata in un conflitto aperto.

Ad ogni modo, per quanto complessa possa apparire la genesi del conflitto, voglio ribadire che nessun errore o incomprensione del passato può giustificare in alcun modo le atrocità perpetrate dall’aggressione russa che stiamo vedendo in questi giorni.

La prima lezione da apprendere per l’Europa è la necessità di rilanciare con grande decisione e determinazione il processo di integrazione europea: nessuno Stato individualmente ha la forza e le capacità per essere decisivo di fronte a simili scenari, e quindi o saremo in grado di riscoprirci potenza geopolitica, pienamente pronti a difendersi e a difendere a tutto tondo i propri valori, o finiremo per essere spettatori degli eventi e delle loro conseguenze.

La seconda è che questo scontro si iscrive in una più ampia logica di confronto a tutto campo tra il mo-dello liberal-democratico da un lato, e il modello dei regimi verticisti e sempre più autoritari dall’altro: questi ultimi non esitano ad attrarre forti consensi nei paesi africani, asiatici e dell’America Latina pro-pugnando l’idea che, in fin dei conti, la loro gestione del potere sia più rapida, efficace ed economica-mente funzionale, nonché foriera di investimenti massicci sulle infrastrutture e sullo sviluppo industria-le scevri dalle nostre condizionalità, ad esempio sui diritti umani e sullo Stato di diritto, e trovano orecchie molto interessate nelle élite al potere in quegli Stati, per convinzione o anche solo per mero interesse.

Inutile dire quanto la nostra miopia nei decenni passati abbia le sue pesanti responsabilità: se vogliamo correre ai ripari e far sì che la nostra lotta per i principi non venga marginalizzata, dobbiamo lavorare con decisione per interloquire più efficacemente in modo diretto con le popolazioni, far sì che comprendano, anzi che tocchino con mano dal punto di vista politico, economico, sociale e culturale quanto il modello che difendiamo sia più funzionale alla promozione dei loro diritti e del loro benessere, creando una spinta interna che funga da anticorpo rispetto alle seduzioni e alla “viralità” degli autoritarismi e delle “democrature”.

Dobbiamo agire ora perché siamo già in forte ritardo: come ci insegna l’arte immortale di Goya “il sonno della ragione genera mostri”, e quei mostri, giorno dopo giorno, assumono contorni sempre più marcati ed evidenti di fronte ai nostri occhi.