di ALDO BELLI – Anche quest’anno il Comune di Laconi ha ricordato la tragedia del velivolo antincendio dell’Aeronautica Militare.
29 agosto 1985 ore 14.50. Dall’Aeroporto militare di Cagliari-Elmas si alza in volo un G222 della 46ª Brigata Aerea di Pisa impegnato nella campagna antincendio in Sardegna, direzione Su Lau, una piccola frazione a tre chilometri circa dall’abitato di Laconi, provincia di Oristano. A bordo ci sono due piloti, il maggiore Fabrizio Tarasconi e il tenente Paolo Capodacqua, e i sottufficiali Lido Luzzi e Rosario Ferrante, specialisti. E’ stato segnalato un vasto incendio boschivo. Poco dopo si alza un secondo velivolo.
A Su Lau vivono poche persone, il grosso del centro abitato di Laconi è a un tiro di vento, l’ambiente lussureggiante in prossimità di Gurduxionis spazia dall’alto sulle terre storiche confinanti con il Sarcidano, e intorno la natura del bosco abbraccia i laghetti Pilicapu, Seddai e Riu Funtana Figus, i lecci e le sugheraie nascondono il cervo sardo, la sua origine risalirebbe addirittura all’epoca preistorica introdotto dall’uomo dalle regioni neartica e paleartica. Figure stilizzate di cervo sono state rinvenute ad ornamento delle navicelle nuragiche dell’VIII – VI sec. a.C. I loro occhi sono grandi e espressivi, fosse lacrimali dalle quali cola il caratteristico liquido oleoso e odoroso per marcare il territorio, quel giorno probabilmente i cervi sardi furono i primi a scorgere il fuoco.
Il G222 fa presto ad avvistare l’incendio, alle 15.30 è sul bosco in fiamme, sceso a 60 metri di altezza dal suolo sgancia il liquido ritardante. Solo il rumore del motore scuote il cielo limpido. I colleghi sull’altro aereo seguono la manovra in collegamento radio come è capitato molte altre volte, e il fiato si mozza definitivamente quando si rendono conto che il tentativo dei piloti di riprendere quota e il regolare assetto di volo si schianta sul costone roccioso alla sommità della collina. La tragedia è compiuta.
Fatalità? Errore umano? Incidente tecnico? Tutti e quattro i membri dell’equipaggio sono militari esperti, il bimotore a turboelica da trasporto tattico, monoplano ad ala alta, con rampa di carico posteriore e carrello ad assetto variabile capace di operare su piste molto corte, è passato alla prova del cielo. Possiede un’autonomia di 4.950 km a pieno carico, velocità massima di 540 km/h. Nella versione antincendio il vano di carico era occupato da un serbatoio capace di contenere 6.800 kg. di miscela ritardante (acqua e bisolfato di ammonio), da sganciare ad un’altezza tra i 50 e i 100 metri.
L’allarme venne immediatamente lanciato alla centrale della Protezione civile, i soccorsi furono immediati. Due elicotteri giunsero sul luogo del disastro, uno dei Vigili del Fuoco e l’altro dell’Esercito con a bordo un medico. “Ho visto una colonna di fumo ed ho capito subito che non si trattava di un normale incendio” dice al corrispondente de La Stampa (Corrado Grandesso) il vigile del fuoco Albino Liori di Cagliari che stava percorrendo con la moglie una strada poco distante: “mi sono avvicinato ed ho intravisto i resti dell’aereo, uno spettacolo impressionante”. Il G222 di Tarasconi, Capodacqua, Luzzi e Ferrante, si schiantò sulla vetta di Monte Santu, località Is Forros, a 600 metri di altezza sul livello del mare, rimbalzò indietro di 300 metri per l’urto e finì la sua corsa disfatto su un ovile.
Lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare aprì immediatamente una commissione d’inchiesta. La prima nota pubblica da Viale dell’Università, a distanza di poche ore dalla tragedia, rimarcò che “le condizioni psico-fisiche dell’equipaggio rientravano nella normalità e nessuna inefficienza del velivolo era stata segnalata”, gli equipaggi che impiegava l’Aeronautica nella lotta antincendio erano scelti tra personale altamente qualificato e perfettamente addestrato. “Non esiste un superlavoro” poiché i membri degli equipaggi svolgono turni di lavoro tali da non incidere sull’efficienza; “può accadere che per il periodo estivo il personale sia costretto a spostare in altre stagioni le licenze, ma ciò in ambito militare è comune in tutti quei settori che operano 24 ore su 24”.
Qualcosa però, forse si poteva accelerare. Il giorno stesso in cui le quattro salme ricevevano gli onori militari all’Aeroporto di Pisa, la società Canadair da Montreal rendeva noto che il Ministero dell’Agricoltura italiano aveva ordinato altri due aerei antincendi del tipo CL-215 per un valore di circa 15 milioni di dollari canadesi, circa 20 miliardi e mezzo di lire.
Il Canadair CL-215 – a differenza del G222 – è un aereo anfibio appositamente concepito per la lotta antincendio, aveva debuttato il 23 ottobre 1967 con la prima consegna operativa all’agenzia di protezione civile francese nel giugno 1969; spinto da due potenti motori radiali a 18 cilindri, era in grado di caricare, mediante due sonde retraibili, 5.443 litri di acqua in appena 12 secondi, l’apertura di due portelloni permetteva lo sgancio del carico sull’obiettivo. Fu poi sostituito dal CL-415.
L’incendio venne domato e i cervi sardi tornarono a marcare il territorio con le loro lacrime. Mentre le lacrime della 46° Brigata Aerea quel giorno di fine agosto, di fronte alle vite distrutte dei loro colleghi, rividero anche le immagini che la cronaca aveva rapidamente dimenticato: il 10 luglio 1982 poco dopo le 18.30, un altro G222 impegnato a spegnere l’incendio che stava distruggendo i boschi di Monte San Michele, tra il Valdarno e il Chianti, era precipitato nelle campagna di Torsoli dopo avere sganciato il liquido ritardante, morirono i 4 membri dell’equipaggio, il tenente colonnello Domenico Fanton, il capitano Maurizio Motroni, il maresciallo Furio Calaiacomo e il sergente maggiore Alessandro Cosimi.
Fabrizio Tarasconi, Paolo Capodacqua, Lido Luzzi e Rosario Ferrante – che il Comune di Laconi ha ricordato anche quest’anno nel 38° anniversario della tragedia – sono stati insigniti della Medaglia d’oro al merito civile dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Così pure le vittime del 10 luglio 1982.
Le medaglie sul petto che ha cessato di respirare appartengono agli onori perenni che le nazioni riservano a coloro che si sono distinti pagando con la vita il servizio per il proprio paese. Sono l’orgoglio che i figli tramanderanno quando con l’avvicendarsi delle generazioni la memoria avrà completamente assorbito il dolore. Memoria privata, e memoria pubblica come quella dei cittadini di Lacone che ogni anno ricordano. Forse, ciò che manca è la memoria collettiva di un paese dove la parola patria è un nome astratto sui libri di scuola, e il titolo di vittime del dovere – qualunque sia la veste che indossavano – al massimo si associa ad una strada dove neppure chi vi abita conosce a chi corrisponda e perché.