Diritti in Comune al sindaco di Pisa: “La clinica privata dispone di un’ala dedicata alla radiodiagnostica, ambulatori e 70 posti letto
Quando l’incubo della pandemia sarà un ricordo lontano, dovremo riconoscere al “Coronavirus” un grande merito. Quello di avere riattivato in molti amministratori pubblici una parola considerata finora tabù perché attribuita alla tanto vilipesa ideologia social-comunista. Requisizione. Una parola pesante. Una parola decisiva che taglia in due le parti in gioco. Trattandosi di emergenza Coronavirus, le due parti contrapposte non possono essere che la sanità pubblica, da una parte, e la sanità privata, dall’altra. Infatti, la parola “requisizione”, cancellata per decenni dal vocabolario della politica, è entrata di diritto anche nel recentissimo decreto governativo relativo alle “Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale”.
Il decreto sulle requisizioni per emergenza sanitaria pubblica
Il titolo dell’articolo 6 del decreto non lascia dubbi: “Requisizioni in uso o in proprietà” delle strutture sanitarie private. Sì, avete capito bene. Una requisizione in uso che “non può durare oltre sei mesi dalla data di apprensione del bene” si può trasformare a certe condizioni (v. il documento allegato) in “requisizione in proprietà”. Certo, se la parola ha fatto palpitare i cuori di molti di noi, ci rendiamo conto che non siamo certo in un paese social-comunista come Cuba per cui le requisizioni, se eseguite, prevedono una indennità di requisizione ai proprietari in base ai “valori correnti di mercato che i beni requisiti avevano alla data del 31 dicembre 2019”. Ma se è ancora vero che “nomen omen”, come dicevano i latini, la parola “Requisizione” ha squarciato inaspettatamente ed insperatamente il muro dell’oblio. La parola “Requisizione” è ritornata prepotentemente nel linguaggio della politica e “santificata” con la pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Requisizioni non solo in Italia
“Grazie” all’emergenza Coronavirus altri paesi europei si stanno muovendo in questo senso. In testa la Spagna che proprio in queste ore sta procedendo alla requisizione della sanità privata. L’esigenza pressante (dovuta alla carenza, decennale, di posti letto, specialmente quelli di terapia intensiva, ed alla carenza, anch’essa decennale, di personale medico ed infermieristico nelle strutture pubbliche italiane) di rispondere con efficacia ed efficienza ai bisogni dei cittadini è stata accolta prontamente dalla coalizione Diritti in Comune (Una Città in Comune, Rifondazione Comunista, Pisa Possibile rappresentati dal consigliere Ciccio Auletta) di Pisa che è uscita immediatamente con un comunicato stampa dove si chiede l’utilizzo, da parte del servizio pubblico pisano, della Casa di Cura Privata di San Rossore di cui “ci si è fin qui dimenticati”. La premessa del comunicato stampa non lascia nulla alle interpretazioni sofistiche: “Noi riteniamo che tutte le strutture private, anche quelle non convenzionate, debbano mettere a disposizione i loro reparti, i loro letti, il loro personale senza alcun onere per il sistema sanitario pubblico”.
Requisire la Casa di Cura S.Rossore. Il testo del comunicato di ‘Diritti in Comune’
“Di fronte al totale disimpegno delle strutture private, lo Stato, tramite le Regioni, deve procedere alla requisizione delle strutture e, una volta terminata l’emergenza, dovrebbe revocare l’autorizzazione a svolgere l’attività sanitaria. Nessuno può sottrarsi, in nome del profitto, a questi doveri costituzionali e morali. In questi giorni è stato predisposto il piano di riorganizzazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana per far fronte all’emergenza Coronavirus. Sono stati distinti due percorsi: quello del Santa Chiara resta “No Covid 19”, eccetto il percorso nascita; quello di Cisanello prevede due padiglioni con aree dedicate alle valutazioni e ai ricoveri per SARS-CoV 2, dotate di 200 posti letto in ricovero ordinario e 45 dedicati alle cure sub-intensive e intensive. Nell’enorme sforzo che si richiede al sistema sanitario pubblico, depauperato negli ultimi decenni di miliardi di finanziamenti, personale medico e infermieristico (mancavano da tempo ad esempio nel Servizio Sanitario Regionale (SSR) 5.000 infermieri solo in parte integrati dai 1.600 delle ultime assunzioni legate alla emergenza sanitaria) ma anche gestionale e amministrativo, ci si è fin qui dimenticati della Casa di Cura Privata San Rossore. La clinica privata dispone di un’ala dedicata alla radiodiagnostica, ambulatori e 70 posti letto; è possibile svolgervi interventi chirurgici ed è dotata di una sala intensiva. Non è pensabile, né è più accettabile, che il sistema privato non sia coinvolto in quanto sta avvenendo. Non possiamo consentire a quelle forze politiche, che in questi anni hanno favorito il sistema privato rispetto a quello pubblico, di lasciare ancora una volta il privato fuori da ogni responsabilità. Riteniamo che strutture come quella di San Rossore, possano essere utilizzate dal servizio pubblico, mettendo in disponibilità senza oneri per il SSR, spazi, personale e prestazioni; magari garantendo quelle prestazioni e attività che, al momento, sono state sospese per evitare la congestione e il sovraccarico e dedicare personale e posti alla crisi da nuovo Coronavirus. Pensiamo, ad esempio, a un percorso “No Covid 19” che si affianchi al Santa Chiara, permettendo ad esempio tempi rapidi e adeguati per i follow up di altre patologie.
Il Sistema sanitario italiano
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia ha dimezzato negli ultimi decenni i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, passati da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali. Un taglio del 51% operato progressivamente dal 1997 al 2015. La sanità pubblica nazionale ha perso, tra il 2009 e il 2017, più di 46 mila unità di personale dipendente: oltre 8.000 medici e più di 13 mila infermieri, secondo la Ragioneria di Stato. Mentre le strutture ospedaliere hanno perso 70 mila posti letto, solo negli ultimi 10 anni. “La crisi in corso – termina il comunicato – conferma ulteriormente ciò che da sempre chiediamo e per cui ci battiamo a livello locale e nazionale: rilanciare la sanità pubblica, duramente colpita dalle politiche dei tagli alla spesa e della privatizzazione strisciante, recuperare lo spirito che sta alla base della sua nascita nel 1978, anche contro ogni ipotesi di “autonomia differenziata”.
Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.