di BEATRICE BARDELLI -Il giudice del Tribunale di Pisa Lina Manuali e la sentenza n. 419/2021, emessa il 17 marzo scorso.
I DPCM, emanati dall’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, sono “atti di natura amministrativa e non normativa” e quindi non possono avere forza di legge nel comprimere i diritti fondamentali dell’individuo stabiliti dalla Carta Costituzionale. E’ quanto ha scritto, nella sentenza n. 419/2021, emessa il 17 marzo scorso, il Tribunale di Pisa nella persona del giudice onorario, Lina Manuali, che si è pronunciata nei riguardi di due imputati, accusati, tra l’altro, ai sensi dell’art. 650 c.p. (Codice penale) di avere violato “l’ordine imposto con DPCM dell’8/3/2020 per ragioni di igiene e sicurezza pubblica, di non uscire se non per ragioni di lavoro, salute o necessità”. La sentenza ha assolto i due imputati relativamente a questo capo di accusa “perché il fatto non sussiste”.
La sentenza
Una sentenza di 11 pagine destinate a smantellare il DPCM dell’8 marzo 2020 “non nella formula richiesta dal Pubblico Ministero, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, ma in quanto quell’atto non è stato ritenuto “un provvedimento legalmente dato dall’Autorità”, così come richiesto proprio dall’art. 650 del Codice penale. DPCM illegittimi.
La premessa
“A causa dell’epidemia Covid-19 sono state emanate disposizioni che hanno comportato la compressione di alcune libertà […] che concernono i diritti fondamentali dell’uomo e costituiscono il nucleo duro della Costituzione stessa tanto che, secondo la dottrina maggioritaria […] non sono revisionabili nemmeno con il procedimento di cui all’art. 138 Cost.-Revisione della Costituzione”. E’ vero che con la diffusione del Covid-19 “si è ravvisata la necessità di contemperare la tutela dei diritti fondamentali del singolo individuo con quella della salute pubblica” ma “si tratta di verificare se la compressione dei diritti fondamentali dell’individuo a favore di quello della salute pubblica sia avvenuto nel rispetto dei crismi stabiliti dalla Costituzione e se tale compressione si fondi o meno su provvedimenti ed atti aventi forza di legge”.
Non è la prima volta
Benché i DPCM abbiano costituito una barriera rigidissima alla libertà di circolazione delle persone in Italia e benché sulla illegittimità degli stessi già diversi Presidenti Emeriti della C. Cost. abbiano espresso pareri negativi, l’informazione mainstream non ha mai dato spazio alla denuncia che arrivava da voci tanto qualificate. Ci voleva una donna, giudice onorario del Tribunale di Pisa, per riaccendere i riflettori su un tema tanto deflagrante dal punto di vista sociale, quanto delicato dal punto di vista politico, ponendosi la domanda: “Un atto amministrativo, come è il DPCM, può porre limitazioni a diritti e libertà costituzionalmente garantiti?”.
Lo stato di emergenza
Si analizza, innanzitutto, la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31-1-2020 con cui venne dichiarato per 6 mesi lo stato di emergenza nazionale. Quel provvedimento non aveva forza di legge – si legge nella sentenza – perché lo rileva la stessa Corte dei Conti che all’art.3 della legge n. 20/1994 elenca quali sono gli atti “non aventi forza di legge” su cui può esercitare “il controllo preventivo di legittimità”. Tra questi vengono citati i “provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri”. Inoltre – continua la sentenza – benché il Consiglio dei Ministri detenga il potere di ordinanza in materia di protezione civile, tuttavia lo stesso Codice di Protezione civile, all’art. 7, individua le tipologie di eventi emergenziali (quelle “connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”) che devono essere immediatamente “fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’art. 24”.
Questo articolo “disciplina la procedura di dichiarazione dello stato di emergenza” ed “autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all’articolo 25”.
A sua volta, l’art. 25 “disciplina le ordinanze quali provvedimenti tesi a coordinare l’attuazione degli interventi necessari […] che possono prevedere misure in deroga ad ogni disposizione vigente […] nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea e ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate”.
Quindi, recita la sentenza, “le richiamate disposizioni nulla hanno a che vedere con situazioni di “rischio sanitario” […] riguardando altri e diversi eventi di pericolo”: Dichiarazioni illegittime. La Carta Costituzionale dispone che si possano conferire poteri particolari al Governo solo se viene deliberato dalle Camere lo stato di guerra (art. 78) per cui, mancando il presupposto legislativo su cui fondare la delibera del C.d.M. del 31 gennaio 2020, questa risulta essere, quindi, un atto illegittimo “non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria”.
Ma la sentenza va oltre. “A fronte della illegittimità della delibera del CdM del 31.01.2020, devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID 19”. Ampi poteri al Presidente del Consiglio? Illegittimi.
Il Decreto Legge n.6/2020 che conferiva al PdC ampi poteri e con delega generica “senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con compressione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione” è illegittimo ed anche se è stato quasi interamente abrogato dal D.L. n. 19/2020, “tuttavia i provvedimenti nel frattempo emanati, tra cui appunto i DPCM, in base a tale decreto, sono affetti da invalidità derivata”. Divieto di spostamento? Illegittimo. Prima con il DPCM del 8/3/2020 che impone il divieto di spostamento nella regione Lombardia e in una serie di province del nord e centro Italia, “allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19” poi con il DPCM del 9 marzo 2020 che estende il divieto a tutto il territorio nazionale, si stabilisce “un divieto generale e assoluto di spostamento, salvo alcune eccezioni, divieto che si configura, perciò, in un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare e come tale limitativo del diritto di libertà”.
E per la nostra Costituzione, recita la sentenza, “uno dei diritti fondamentali, il più importante, è costituito dalla libertà personale”. La libertà personale è inviolabile. “Dopo l’art. 3 che sancisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini, la Carta Costituzionale indica una serie di diritti inviolabili, fra i quali pone al primo posto quello della libertà personale, l’art. 13”. Per cui l’obbligo di permanenza domiciliare, recita la sentenza, configura una fattispecie restrittiva della libertà personale che può essere irrogata solo dal Giudice con atto motivato nei confronti di uno specifico soggetto ma sempre “in forza di una legge che preveda casi e modi”. Ovvero, solo il legislatore può intervenire e porre dei limiti, solo l’autorità giudiziaria può emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale ma soprattutto ricorre l’obbligo della motivazione dove devono essere spiegate le ragioni che stanno alla base dei provvedimenti restrittivi. Divieto di circolazione? Illegittimo.
L’art. 16 della Costituzione recita “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza […]”. Quindi le limitazioni alla libertà di circolazione possono essere previste solo da “atti aventi valore primario (legge, decreto legge e decreto legislativo) e non provvedimenti aventi natura amministrativa, quali sono per l’appunto i DPCM”.
Difetto di motivazione
E’ un “difetto” ricorrente, si legge nella sentenza. L’articolo 3 della legge 241 del 1990 sancisce che ogni provvedimento amministrativo, come appunto sono i DPCM, “deve essere motivato” (aspetto testuale) e che “la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria” (aspetto contenutistico). Inoltre, “la motivazione dell’atto amministrativo – continua la sentenza – può essere indicata anche per relationem”, ovvero può essere espressa anche “con il riferimento ad atti del procedimento amministrativo come, ad esempio, pareri o valutazioni tecniche” che devono, tuttavia, essere messi a disposizione ed esibiti ad istanza di parte (Consiglio di Stato, n. 8276 del 3 dicembre 2019). Concetto, prosegue la sentenza, che è stato ribadito dall’art. 21 septies della legge 241/90 quando sancisce che “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”.
E dal momento che i DPCM hanno “fatto uso per lo più proprio della tecnica della motivazione “per relationem”, con particolare riguardo ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS)” e che questi “non solo sono stati resi noti dopo lungo tempo […] ma addirittura classificati come “riservati”, o meglio “secretati” […] vanificando di fatto la stessa procedura di accesso agli atti e rendendo impossibile la stessa tutela giurisdizionale”, ne consegue la “invalidità dello stesso provvedimento”.
Conclusioni
Netto e chiaro il giudizio del giudice onorario, dottoressa Lina Manuali, sui DPCM che hanno contraddistinto l’operato del presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, anche se questi non viene mai nominato nella sentenza. “Non si ritiene di poter dubitare della illegittimità e invalidità dei DPCM che hanno imposto la compressione di diritti fondamentali e, quindi, dello stesso DPCM del 8/3/2020, che qui interessa e degli altri atti amministrativi conseguenti”. Per cui “trattandosi di atti amministrativi e non legislativi, affermata la illegittimità dei medesimi per contrasto con gli articoli 13 e seguenti della Costituzione, oltre che di altre disposizioni legislative, il Giudice deve unicamente procedere alla loro disapplicazione, in ossequio dello stesso dettato dell’art. 5 della legge 2248/1865 allegato E, in forza del quale “(…) le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”.
Non finisce qui
E’ doveroso aggiungere, come giornalista indipendente e per rispetto di tutti quei cittadini che sono stati coinvolti in situazioni simili e/o anche multati per inosservanza dei DPCM nei mesi passati. Se i DPCM vengono dichiarati atti illegittimi che non avevano forza di legge, chi ripagherà i danni, psicologici, umani, sociali ed economici che hanno subito centinaia di cittadini a cui è stata imposta, di imperio, la loro osservanza, da parte delle autorità preposte al controllo, Carabinieri in primis, ed il loro rigido rispetto, da parte dell’autorità di governo? Ed il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, che ha fatto dei DPCM un “marchio di fabbrica” del proprio operato politico, come presidente del Consiglio dei Ministri, non dovrebbe rispondere di un tale abuso di potere? Ed il Parlamento, che ha ceduto ogni propria responsabilità politica al premier di turno, rinunciando ad esercitare il potere legislativo che la Carta Costituzionale gli ha garantito, non dovrebbe rispondere del proprio operato? Se i DPCM sono stati atti illegittimi, ci auguriamo che sia fatta giustizia e che un pool di avvocati si metta all’opera per rivendicare il rispetto di quei diritti costituzionali che sono stati lesi per mesi proprio dall’autorità di governo che aveva il dovere, in primis, di osservarli e farli rispettare.
Il testo della sentenza
Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.