Una mail di Jean-Pierre Willem, fondatore di Médecins Aux Pieds Nus e della Libera Facoltà di Medicina Naturale ed Etnomedicina alla Sorbona.
Pubblichiamo l’email che Jean-Pierre Willem ha inviato nel dicembre scorso ai lettori della propria mailing list, e tra questi il nostro collaboratore Moreno Bucci.
Willem è nato il 24 maggio 1938 a Sedan, in Francia.Ha viaggiato per il pianeta per più di quarant’anni. Chirurgo e antropologo, fu a lungo medico itinerante, le sue missioni lo avevano portato dall’Africa all’Asia. Forte di questa arricchente esperienza, ha creato la Libera Facoltà di Medicina Naturale ed Etnomedicina alla Sorbona (1986), aperta al pubblico, e l’associazione umanitaria “Les Médecins Aux Pieds Nus” (1987). Inventore del concetto di rianimazione in città e iniziatore del concetto di etnomedicina, è stato più volte premiato per le sue azioni umanitarie. Laureato nella maggior parte delle discipline mediche (Agopuntura, Omeopatia, Fitoterapia, Aromaterapia), è riconosciuto dai suoi coetanei come dirigente scolastico. Ha scritto una dozzina di libri, alcuni dei quali bestseller tradotti in diverse lingue.
La mort d’un géant : un a-dieu au Dr Albert Schweitzer (FIN)
Cara lettrice, caro lettore,
Nella foresta equatoriale, la primavera è la stagione delle piogge.
È lo stesso spettacolo quasi ogni giorno: le mattine e i pomeriggi sono belli e caldi, sullo sfondo di cieli azzurri, e verso le 17 arrivano le nuvole, si gonfiano, assumono sfumature grigio-nere.
L’aria è agitata, le palme fremono come se avessero paura.
L’Ogooué si ricopre di increspature, poi onde sempre più grandi, e si forma una schiuma bianca.
Questo è quando il cielo apre le sue cateratte.
Il fulmine colpisce la terra, taglia gli alberi, incendia le capanne di paglia.
In pochi minuti le tracce si trasformano in torrenti. Poi la tempesta si placa.
La terra che muore di sete inghiotte avidamente fino all’ultima goccia. La mattina dopo, il sole torna a splendere… e si ricomincia.
Se l’ospedale ha ancora problemi di sovraffollamento, di rifornimenti, di attrezzature, la situazione del personale infermieristico sembra ormai assestata.
Le richieste di medici e infermieri stanno arrivando da tutto il mondo.
È vero che sono ormai seicento le persone che vivono in questo villaggio e che i malati di fuori sono sempre più numerosi, attratti dal nome del Gran Dottore che però non esercita più attività medica.
I dolori articolari di Schweitzer gli hanno anche impedito di suonare l’organo con virtuosismo e la sua vista si stava sempre più affievolendo. Tuttavia, le sue giornate sembrano sempre troppo brevi.
Quindi cosa sta facendo?
Si prende cura degli “affari mondani!”.
Veglia su questi signori, sempre pronto a giocare con il destino dell’umanità.
Schweitzer si è convinto di essere in missione?
Senza dubbio
Se non svolge questo compito, chi lo farà?
Chi, nel 1964, ha un tale peso morale, una celebrità così universale?
Chi meglio di lui incarna la ragione e il rispetto per la vita?
Se non è una voce ufficiale, è la “voce più autorevole”.
Sa perfettamente fin dove può spingersi, sostenuto dall’opinione pubblica.
Le tante critiche, le calunnie non intaccano né la sua notorietà né la sua determinazione.
Ha vinto il premio Nobel per la pace per la sua posizione contro i test nucleari e la sua azione per il disarmo.
Gli uomini vogliono la guerra; sarà il guardiano della pace fino alla fine!
E poi, non ha mai portato nel cuore tutti questi conferenzieri con gli occhiali, questi diplomatici dal collo duro, gelidamente trincerati sotto l’oro e le pannellature dei palazzi governativi.
Lascia che vengano a vivere nella boscaglia, che vadano in canoa, incontrino un ippopotamo arrabbiato, visitino una piantagione di manioca dopo che un branco di elefanti è passato e la loro opinione cambierà.
La radio annuncia che lo stato di salute del medico è preoccupante.
Albert, furioso, dice subito che sta facendo un incantesimo.
Era anche colpa sua se la sua salute destava qualche preoccupazione, poiché spesso si rifiutava di rispondere favorevolmente alle richieste di interviste, sostenendo di essere stanco.
Se la richiesta era insistente, Schweitzer fingeva di essere costretto a letto; se persisteva, diceva che stava morendo…
Chi ha osato dire che questo novantenne era in cattive condizioni di salute?
È sorprendentemente vigoroso, intelligente e divertente.
In tutti gli incontri, ricevimenti, conferenze, beviamo le sue parole.
È l’uomo di un’epoca, di una società del dopoguerra che cerca se stesso e si dà una buona coscienza “beatificando” l’essenziale, la stella che doveva essere vista, accolta, onorata.
Incontro con Dio
Il vecchio sa di essere alla fine della strada e la sua principale preoccupazione è la sostenibilità del lavoro che ha intrapreso.
Si interroga anche sull’aldilà.
Sebbene sia credente e sereno, certe domande lo preoccupano.
Immagina, ad esempio, il suo incontro con Dio.
Mentre ascolto religiosamente i suoi lunghi monologhi in cui nessuna angoscia penetra, penso a tutti coloro per i quali il viaggio della morte rimane un terrificante enigma.
Io sono uno di quelli.
Altre volte mi parla di Gandhi o di Einstein.
Non capisce come la stampa intellettuale possa incolpare il suo grande amico per la bomba atomica sganciata su Hiroshima.
“Sono sconvolto dai commenti fatti sul mio amico Einstein. Non si è mai ripreso dai commenti che sono stati fatti sul suo lavoro. Le armi nucleari rischiano di annientare il pianeta. Albert Einstein ha cercato di allertare il mondo, ma il mondo non lo ha ascoltato e ci ha lasciato senza rendersi conto della sua piena missione di pace“.
Non l’ho mai visto così commosso.
È un grido disperato, un ultimo monito, quello di un uomo votato anima e corpo al rispetto della vita.
Apprezzo particolarmente i nostri momenti di relax.
Quando si siede al suo vecchio pianoforte leggermente stonato e suona brani di musica classica, specialmente Bach.
È così entusiasta quando accarezza i tasti!
Succede che noi – medici e infermieri – finiamo la serata canticchiando insieme vecchie melodie.
Quest’uomo dai molti talenti avrebbe potuto avere una brillante carriera come musicista, insegnante, filosofo.
Cosa ha fatto ?
Ha passato la vita a chiedere soldi.
Per lui ?
No.
Investire nel suo ospedale, per curare sempre più pazienti.
Ma dove?
Non in una grande città in Europa o negli Stati Uniti, con tutte le comodità, ma nel profondo della foresta africana.
Doveva restare lì fino ai 90 anni?
Certamente no.
Ma quest’uomo si è donato all’Africa, in particolare al Gabon, dove il clima assorbe tutte le nostre energie. Voleva morire lì; sarà sepolto non nel Pantheon, ma sotto una modesta croce.
Si tratta di “manie di grandezza”?
La “sindrome da scivolamento”
Albert Schweitzer è stanco, esausto, consumato dal lavoro intellettuale e fisico.
Ha usato la sua mente e il suo corpo essendo musicista, scrittore, filosofo, medico, teologo, giardiniere, architetto.
Ha portato Bach, Wagner, Goethe, Leibniz, Einstein nel profondo della sua foresta. Si fa rauco mentre lancia i suoi appelli alla pace, al rispetto della vita e della ragione.
Ha camminato con il suo bastone da pellegrino per sessant’anni, sotto ovazioni e insulti, senza indebolirsi, senza invecchiare.
Ed eccolo, alla soglia dei suoi 90 anni, questo grande albero Lambaréné, con la sua corteccia bianca e l’alburno consumato dalla vita.
Mentre sto per iniziare la mia vita professionale, Schweitzer si prepara alla sua uscita, che considera imminente.
Sei mesi al massimo, mi disse.
Quando un uomo sente di aver adempiuto al suo compito, si lascia andare. Questa fine programmata della vita è chiamata “sindrome da scivolamento”.
Una sera di stanchezza, mi fa la temuta domanda: “Dopo la mia scomparsa, tra qualche mese, rimarrai fedele al posto?” »
Non so cosa dire, mi coglie di sorpresa.
Devo tornare in Francia per fare il mio tirocinio, adempiere ai miei obblighi militari e fare la mia tesi.
Con rammarico gli confesso che tra poco dovrò lasciare Lambaréné.
Gli confido che questo luogo mi ha portato un’intensa sensazione di felicità oltre che una maggiore consapevolezza delle realtà del nostro mondo.
Mi rendo conto di aver appena vissuto un’esperienza unica.
In Francia vado a partorire donne in solitudine, sulla fredda terracotta delle sale parto, in reparti maternità perfettamente igienizzati; Mi capiterà di vedere bambini morire senza sostegno morale, lontani dalla madre, dalla loro accogliente stanza, vecchi rosicchiati da un’immensa solitudine, al di fuori del normale orario di visita.
So che le cose erano diverse qui.
È stato osservato che i pazienti circondati dalle loro famiglie guariscono due volte più velocemente.
Il vecchio fa fatica a stare in piedi, immobile, dritto e duro come la quercia sessile della sua valle del Munster, la cui corteccia è rimasta bianca per lunghissimo tempo, poi ha cominciato a ingrigirsi e a screpolarsi quando è stata raggiunta la fine dell’albero del suo secolo.
Conto i giorni, le ore che mi avvicinano alla partenza.
Come reagirò al confronto violento del mondo frettoloso che sto per incontrare?
Come lasciare un uomo simile?
L’addio
Ho lasciato Lambaréné nel novembre 1964. Il giorno della mia partenza, Albert Schweitzer, assistito dal Dr. Willy Munz, suo successore, mi ha accompagnato al molo.
Sulla sabbia, ai piedi del pontone, mi offre le sue ultime parole, i grandi momenti che abbiamo condiviso.
D’ora in poi, devo far conoscere ai giovani la vita prodigiosa di questo avventuriero del pensiero moderno.
“Tornerai Avrò raggiunto il cielo… spero! »
Come potrei tornare quando il padrone del luogo è assente?
Quando lascerà questo mondo, temo che Lambaréné si spegnerà come una candela senza stoppino.
Mi si stringe la gola, le lacrime mi annebbiano gli occhi, un singhiozzo mi invade quando la canoa prende il largo sull’Ogooué.
Il 28 agosto 1965 pranzò senza dire una parola, in sala da pranzo, e tutto il personale, gli ospiti, rispettarono questo silenzio come una meditazione.
Dopo il pasto, prima di ritirarsi, pronuncia alcune parole che somigliano a un addio.
Il giorno dopo, chiede di fare un giro per il villaggio e, pallidissimo, nella Jeep, immobile, muto, guarda la gente, gli animali, il lavoro della sua vita.
Poi scompare nella sua stanza, va a letto e aspetta questa morte che conosce da tanto tempo, questa morte che non teme!
Per ora gli uomini, le donne, i bambini, i vecchi, i lebbrosi, i dormiglioni, i malati di mente… si avvicinano sempre più alla stanzetta.
Sul terrazzo, sotto gli alberi di mango, non più rumori, non più richiami, non più grida nella notte; solo il frinire dei grilli e il grido angoscioso dell’irace.
Sotto la finestra si leva come un singhiozzo un lieve canto femminile, un canto struggente in galoa, che ringrazia il Gran Dottore per essere venuto a salvarli, nella foresta.
Esce un’ultima volta. Cammina a piccoli passi scivolosi, evita tutto ciò che richiede sforzo fisico, risparmia il più possibile, come se lasciasse scorrere goccia a goccia il resto della sua vita.
Giovedì 2 settembre va a letto per non alzarsi mai più.
Dorme?
È già in coma?
La campanella delle 17:30, che annuncia la fine dei lavori, gli fa socchiudere gli occhi. Guarda sopra di sé, sorpreso di essere ancora lì.
L’intero team medico si alternerà al suo capezzale per altre quarantotto ore.
Improvvisamente… la foresta equatoriale tace.
Non più ringhio predatore, non più ululato di scimmia, non più richiamo di turaco.
Niente.
Il silenzio, insopportabile.
Nelle radure, i paesani Fang, Akélé, Galoa ed Eshira alzano la testa: il momento temuto è arrivato.
Lo aspettavamo senza crederci; alcuni uomini sono immortali. Nelle allucinazioni dell’iboga, ora apparirà per fare le sue raccomandazioni, dare i suoi ordini, prendere la mano, respingere, con amore pieno dei suoi baffi.
Perché è andato a unirsi a Bwiti.
È con gli antenati.
Il Gran Dottore è entrato nella leggenda.
Ha espresso il desiderio di un funerale discreto e veloce, per evitare pubblicità.
Si è fatto fare la bara in cui riposa.
Indossa la camicia bianca con il papillon nero, il vecchio cappello appoggiato ai piedi.
La campana dell’ospedale suona a morto e annuncia al mondo intero la morte del Grande Dottore.
Alle 15 viene portato nel piccolo cimitero accanto a sua moglie Hélène e alla sua fedele collaboratrice Emma Haussknecht.
È la fine di una vita, l’ingresso trionfale di un semplice mortale nel regno di cui ha parlato così spesso.
Il primo umanitario
Schweitzer è stato spesso considerato un monolite.
Chi lo ha avvicinato sa che l’uomo è più singolare di quanto sembri, le sue idee altrettanto.
Bisogna distinguere tra medico, musicista, teologo e filosofo.
Quest’uomo complesso e semplice allo stesso tempo non assomigliava per niente a quello descritto dai suoi adulatori.
La storia lo ha collocato nella ristrettissima cerchia dei “grandi di questo mondo”.
Questa gloria eccezionale fu il frutto di una strategia ben orchestrata.
Per sfondare in questo mondo servono diversi “ingredienti”: un personaggio, un’ambientazione, un progetto unico, fan, lobby e media.
Tutti questi parametri sono stati soddisfatti.
Grazie al denaro americano, al sostegno della Unitarian Church of America, alle donne di Lambaréné, ai media, il dottor Albert Schweitzer è diventato il “primo umanitario conosciuto”.
La sua fama è universale.
Medico ordinario, nutrito di filosofia, teologia, musica, è probabile che all’inizio della sua vita non potesse immaginare che un tale destino lo attendesse.
La solitudine della foresta vergine gli si addiceva meglio della vita mondana.
Quando nel 1954, all’età di settantotto anni, si recò a Oslo per ricevere il Premio Nobel, si definì, senza falsa modestia, un “povero dottorino negro”.
La sua fama lo rese un “grande medico umanista”.
È diventato una leggenda durante la sua vita…
L’incontro con una tale personalità induce necessariamente un cambiamento di vita, plasmato da lezioni di vita distillate tutto il giorno.
Mi rendo conto di quanto il valore dell’impegno non si misuri dalla lunghezza dei discorsi, ma piuttosto dall’aspetto concreto di una lotta, delle vite salvate, del dolore alleviato.
Il pragmatismo ha la meglio sulle ideologie e sulle grandi teorie.
Di questo periodo in cui studiavo il latino mi viene in mente una formula latina: Res, non verba, “azioni, non parole”.
Questo aforisma è confermato da Malraux: “Le idee non sono fatte per essere pensate, ma vissute”, e determina per sempre il senso della mia vita.
Come alimentare questo fuoco sacro che spinge a raggiungere gli altri?
Come rispondere a tale chiamata, se non favorendo l’emozione?
È una scintilla che illumina il cammino della vita.
Sorprendentemente moderna, la vita e l’opera del dottor Schweitzer trovano un’eco nel clamore ecologico che oggi si leva e trova una risonanza particolare in questi tempi di sconvolgimenti delle coscienze.
Albert Schweitzer non era un santo.
Non è stato beatificato, ma meritò il paradiso, luogo dove le anime dei giusti e dei benefattori godono, in compagnia degli angeli, della beatitudine eterna.
“Così il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel paradiso delle delizie, affinché lo coltivasse e lo custodisse”. (La Bibbia, Genesi, II, 15).
Ho l’impressione che lassù Albert Schweitzer sia venuto a conoscenza delle mie newsletter. Comprendendo il suo stato d’animo, decodifico i suoi commenti.
“Vedi, mio caro amico, tu che dubitavi del cielo, esiste! Sono felice e senza ansia. Nessun angelo mi ha portato Iboga. Quando verrà il tuo turno, potrai dimenticare la tua Via Crucis ordita dai soldi, come le società farmaceutiche che hai chiamato ”Big Pharma”, i nemici della Natura. Allo stesso modo, i tuoi colleghi e soprattutto gli insegnanti hanno dimenticato che esercitano un sacerdozio! Non facciamo soldi sulle spalle di cavie pazienti. Continuate a promuovere le vostre piante ei vostri oli essenziali, che avete fatto conoscere a Lambaréné e che hanno salvato tanti malati incurabili. Verrà il giorno in cui Gesù sconfiggerà Lucifero. I tuoi avidi accusatori avranno molto tempo in purgatorio! Nel frattempo resta solida come la sequoia che raggiunge i 2000 anni e flessibile come la canna che si piega e non si spezza“.
Ho appena saputo
della scomparsa del dottor Walter Munz, all’età di 88 anni. Era mio amico, ogni giorno lo incontravo accanto a suo padre.
Fu Walter a garantire la transizione medica dopo la morte di Albert Schweitzer.
Si trovarono nel paradiso eterno.
Che ricordi potranno scambiarsi!
Dominus vobiscum.
Il Signore sia con te.
Bonne lecture! Buona lettura
Jean-Pierre Willem

Segnaliamo i libri pubblicati da Jean-Pierre William disponibili (anche) su Amazon fr., purtroppo solo in lingua originale.
(traduzione del testo a cura della redazione di TOSCANA TODAY)

