Il lavoro rende liberi

La morte di uno studente di 18 anni, scuola e lavoro

di MASSIMO GARGIULO – La vera alternanza scuola-lavoro, e la volontà di scardinare la scuola come vero luogo di cultura.

In questo articolo non sarà facile schermarsi da un’attualità scolastica spesso squallida volgendosi alle parole della letteratura, come quasi sempre ho fatto. Già la crudezza del titolo denuncia lo stato d’animo determinato dalla tragedia che ha tolto la vita venerdì scorso a Lorenzo, un ragazzo morto sul lavoro mentre svolgeva un’attività scolastica. E non è purtroppo il primo caso.

Tuttavia un fatto così assurdo è forse, lo dico con un’amarezza infinita che non può non tingersi di un cinismo bilioso, una delle poche verità dell’alternanza scuola – lavoro.

Gli studenti italiani, per via di un dramma reso ancora più insopportabile dall’essersi verificato nell’ultimo giorno di quella attività e dal risalto mediatico che lo ha riguardato, si sono visti sbattere in faccia un dato di realtà del sistema lavoro in Italia: di lavoro, per il lavoro, sul posto di lavoro, si muore. Nel 2021 le vittime nel nostro Paese sono state 1404 (qui i dettagli). Al 22 Gennaio siamo a 48, compreso un ragazzo che svolgeva un’attività scolastica, Lorenzo appunto.

A proposito di verità svelate, vorrei fornire qualche informazione sul PCTO, l’acronimo in uso da un paio d’anni. Tenterò di farlo in forma asettica, senza addentrarmi in particolari eccessivi o tecnici, per poi cercare di individuare l’idea che ne è alla base.

Lorenzo, a quanto posso capire dalle informazioni circolate, era inserito in un percorso di IeFP (Istruzione e formazione professionale), la cui gestione è demandata alle Regioni. Esso è uno dei canali per l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Come si legge su un sito istituzionale collegato alla Provincia di Cremona, “pur assicurando una adeguata formazione culturale di base, i percorsi IeFP possiedono un carattere meno teorico, in quanto privilegiano l’apprendimento in contesti pratici; inoltre, a partire dal 2° anno (e comunque dopo il 15° anno di età) sono previsti periodi di stage obbligatori presso le imprese”. Questa è sempre stata una caratteristica delle scuole professionali e se ne può comprendere il senso. Una situazione simile si ha negli istituti tecnici.

La grande novità si è avuta con la Legge 107, la famosa Buona Scuola di Renzi. Essa inseriva l’alternanza scuola-lavoro, per la prima volta, anche nei licei (aumentandone il volume negli altri indirizzi che già la prevedevano). All’inizio si chiese alle scuole, nell’arco di tempo che andava dall’approvazione a luglio all’inizio dell’anno scolastico, di organizzare attività per 200 ore complessive nell’arco del triennio. Per capire, si consideri che le ore annuali di greco al classico sarebbero 99, che poi non vengono mai realmente svolte; alternanza ne aveva circa 70 (ora sono diminuite).

Il provvedimento fu uno dei maggiori bersagli delle grandi proteste contro la Legge, culminate nel grande sciopero del maggio 2015. La propaganda renziana, e con essa un’altra serie di corpi intermedi, qualcuno persino in buona fede e con intenti positivi, aveva di che offrire all’opinione pubblica: finalmente si scardinava la dicotomia classista tra licei e formazione tecnica; la scuola italiana usciva dall’isolamento, anche ideologico, e cominciava a dialogare col mondo del lavoro; gli studenti avrebbero avuto una occasione di conoscerne alcuni meccanismi, così da avere anche le idee più chiare sulle scelte future.

Alcuni di questi argomenti convinsero parti consistenti della società, nonché settori sindacali e una fetta di docenti. Tra questi ultimi, coloro che si dedicarono all’organizzazione, cercarono di farlo per lo più in maniera fruttuosa. Ciò dura ancora, pur nella diminuzione del monte ore complessivo. Ovviamente ci sono risorse che vi vengono destinate: per orientarsi, una scuola con circa 1000 alunni e 120 dipendenti tra docenti e ATA, riceve sui 12.000 € l’anno solo per PCTO; per avere un’idea dell’ordine di grandezza, si consideri che la stessa scuola riceverà come fondo di istituto circa 60.000 € totali. Vuol dire che l’alternanza da sola è finanziata per un importo pari a 1/5 di ciò che il ministero eroga alle singole scuole.

Così, un passo alla volta, iniziamo a vedere altri aspetti, diversi dalle buone intenzioni manifestate dal Ministero e dalle organizzazioni imprenditoriali.

Tralascerò gli esiti più beceri, come gli studenti mandati nei fast food o a staccare i biglietti agli internazionali di tennis, o la ricerca di manodopera a costo zero da arte di taluni enti o imprese ospitanti. Fermiamoci pure a quelle istituzioni culturali, o del terzo settore, che assolvono a una funzione importante nel Paese e sono spesso letteralmente rivitalizzati dagli studenti che svolgono presso di loro le proprie ore. Ebbene, per tali percorsi virtuosi l’alternanza non era affatto necessaria: esistevano già i progetti previsti dall’autonomia, l’orientamento in uscita e, dallo scorso anno, la nuova materia (introdotta chiaramente a costo zero) dell’educazione civica. Perché allora voler costringere tutto nell’alternanza scuola-lavoro? Evidentemente vi sono ragioni ideologiche.

Si vuole scardinare la visione della scuola come luogo essenzialmente di cultura, formazione del pensiero, conoscenze e sì, persino nozioni. Queste debbono essere sostituite dalle competenze, cioè in sostanza da un saper fare generico, in grado di adattarsi ai vari contesti. Quali contesti? Essenzialmente, dimenticando quella che viene considerata un’altra parentesi da riformare profondamente in tal senso, cioè l’università, un mercato del lavoro che viene descritto come dinamico, nel quale l’ex studente dovrà dimostrare di possedere skills sempre nuove, disponibilità a muoversi e reinventarsi. Tutte cose che piacciono chiaramente a Confindustria e ai rappresentanti del modello economico neo-liberista che hanno dato forma alle politiche scolastiche già a livello europeo negli ultimi decenni.

Per non eccedere in lunghezza, solo un paio di piccoli esempi che svelano l’aspetto ideologico del PCTO.

Nel complesso dei 5 anni di scuola superiore, soprattutto nei licei, il contatto vero con il mondo del lavoro è del tutto marginale. Gli studenti traggono la maggiore fonte di soddisfazione se entrano in contatto con le realtà del volontariato, della cultura; imparano veramente dai corsi di primo soccorso, a volte anche da incontri con esponenti del mondo delle professioni. Tutte cose, appunto, per cui un’alternanza così strutturata non serviva.

Eppure quando mettiamo i voti di condotta, una delle voci da tenere in considerazione è la relazione del referente della struttura presso cui i ragazzi hanno operato, che molto spesso ovviamente non ne riesce neanche a sapere i nomi. Più ancora, se l’esame di Stato sembra disposto a rinunciare alle prove scritte, alla possibilità per gli insegnanti di fare domande sulle discipline perché si devono verificare solo le competenze, il colloquio prevede tassativamente una relazione da parte del candidato sul PCTO. Come se avesse nel suo percorso quinquennale una valenza maggiore rispetto alle materie curricolari per cui ha scelto l’indirizzo il cui ciclo termina proprio con quella prova. Tale sproporzione è una prova chiara di come dietro vi sia la volontà di imporre un modello, una visione per la quale la scuola deve essere la via d’accesso a un mercato del lavoro fittizio, descritto e mai realmente fatto conoscere.

Ecco allora la grande menzogna. E sembra oggi ancor più una beffa tragica il fatto che inizino il percorso proprio con lezioni sulle norme relative alla sicurezza.

La morte di Lorenzo è stata onesta, ha svelato un dato reale. Di lavoro si muore, e tanto, troppo.  Quanto è macabra questa constatazione nella settimana in cui la scuola sarà in prima fila nel ricordare l’ingresso delle truppe sovietiche in un campo di sterminio che recava al proprio ingresso una scritta che significa: “il lavoro rende liberi”.