di MASSIMO GARGIULO – Una bella calza al cancello di scuola, magari la Befana farà quello che le forze politiche non hanno fatto
Abbiamo finalmente appreso dalla viva voce del Presidente del Consiglio che i gradi di scuola ora in didattica a distanza riprenderanno in presenza, seppure al 75%, dal 7 Gennaio. Occorre essere cauti perché siamo stati abituati a continui cambiamenti, dovuti al mutare dei contagi o dei decisori politici. Sappiamo inoltre che è in corso una battaglia, agli alti livelli ma non di alto livello, condotta dalla Ministra dell’istruzione Azzolina per poter dire, fosse stato anche per questo breve interludio pre-natalizio, di aver riaperto. Il tutto invece è stato rimandato a dopo le vacanze, suscitando reazioni diverse: soddisfazione, in particolare di famiglie e studenti ma anche di molti docenti, e timore, di fronte a un virus che ha già dimostrato una notevole forza di ripresa. La riapertura avverrà quindi subito dopo l’Epifania.
Vorrei prendere spunto proprio da questa festa, facendo preliminarmente un rapido excursus storico-esegetico su di essa. Come noto, la parola, di origine greca, indicava il manifestarsi della divinità. Nella tradizione cristiana il suo uso è stato progressivamente ristretto a indicare quando si rivelò la vera natura di Gesù bambino di fronte ai re magi. Questi, secondo l’interpretazione più diffusa e legata al termine che li indica, appartenevano a una classe di sacerdoti persiani abili nel decifrare i segni divini, tra cui quelli celesti. La teologia già antica vi ha voluto vedere un simbolo della diffusione dell’annuncio cristiano tra gli stranieri, vale a dire tra i pagani. Di contro, il crudele Erode, consigliato dagli scribi e dai dottori, era figura di Israele che non riconosceva quel Messia che avrebbe poi perseguitato. Alcuni studiosi, tra cui Giulio Michelini, propongono una visione alternativa. Il di fuori rappresentato dai magi non era quello dei pagani, ma quello degli Ebrei dell’esilio e della diaspora, tra i quali le narrazioni ci tramandano spesso figure di interpreti di sogni e prodigi (basti ricordare Giuseppe in Egitto, o Daniele in Babilonia); essi sarebbero andati a salutare il bambino la cui nascita era segnata da simboli messianici, come la stella, o la provenienza da Betlemme, secondo una lettura di una profezia di Michea. Tra i compiti del Messia che il popolo attendeva vi sarebbe stato anche quello di riunire il popolo disperso tra le genti. La manifestazione tangibile del riconoscimento di tali caratteri straordinari del bambino erano i doni recati dai magi.
E a tutt’oggi si chiedono regali alla Befana, personificazione dell’evoluzione fonetica di epifania. La coincidenza con la riapertura delle scuole, pur non segnalata da una stella – semmai da cinque – mi sembra significativa tanto quanto i simboli a cui ho così rapidamente accennato. Noi del settore in effetti , insegnanti, personale ATA, studenti, sappiamo che, come nulla è cambiato realisticamente in meglio da giugno a settembre, così non lo sarà dal 3 Dicembre al 7 Gennaio. Allora non ci rimane che chiedere fiduciosamente alla Befana, rispolverando i giocattoli ora fuori moda delle letterine di quando eravamo bambini noi.
Per prima cosa una lavagnetta. Questa rappresenta le strutture scolastiche. Alla Befana chiediamo di farci trovare gli arredi necessari, dai banchi singoli, alle connessioni, alle LIM e così via, fino ad aule decenti e non affollate. Per avere questo chiediamo anche, come allora bambole o burattini, più colleghi, e che siano stabilizzati, ma non a parole e nemmeno con le follie di un concorso iniziato a ottobre e ovviamente subito interrotto causa covid. I colleghi precari che insegnano da anni hanno un punteggio anche senza concorso, sono i titoli. Altrimenti, carbone alla Azzolina.
Poi, immancabile, un trenino. Questo lo chiediamo alla Ministra De Micheli. Fino ad ora le soluzioni che ha trovato sono state di imporre alle aziende del trasporto locale una percentuale massima di capienza sui mezzi. Poi, quando si è capito che autobus e metro affollati da studenti potevano facilitare il contagio, si è deciso semplicemente di svuotarli, lasciando i ragazzi a casa. Di fronte all’incapacità di una qualche idea di miglioramento del servizio, la Ministra ha poi preferito buttarla sul terreno sempre fertile dell’insegnante sfaticato, lanciando l’apertura delle scuole la domenica per poter parlare del nostro eventuale ennesimo no, piuttosto che del suo “boh?”. Mi viene peraltro da pensare che a scuola non ci siamo solo noi, e che la domenica riguarda anche ragazzi e famiglie. Mi viene da pensare che la domenica i mezzi pubblici passano di meno e si riempirebbero anche con pochi studenti, o che, quando proponiamo attività a scuola il pomeriggio, i dirigenti amministrativi ci rispondono per lo più che non ci sono i soldi per tenerla aperta. Soprattutto mi ha dato da pensare il fatto che la Ministra non ha avuto il tempo per trovare, o almeno progettare, misure strutturali per il sistema di trasporto pubblico, carente indipendentemente dal covid, mentre lo ha trovato per parlare al telefono con il dirigente della Juventus Paratici, che dice essere suo amico e averla cercata per avere informazioni su come far fare l’esame di italiano al calciatore del Barcellona Suarez, edificante episodio di eccellenza accademica e sportiva su cui ho scritto un articolo in questo giornale.
Infine immancabile l’allegro chirurgo. Chiediamo al Ministro Speranza di ripensare il sistema dei tagli e delle privatizzazioni in sanità. Che non servano 10 ore di attesa per un tampone. Soprattutto vogliamo che nelle scuole riaperte vi siano un presidio medico e meccanismi di tracciamento rapido ed efficaci. Perché noi siamo contenti di rivedere finalmente i ragazzi senza il filtro dello schermo, ma vogliamo insegnare loro anche che la sicurezza sui luoghi di lavoro è un diritto irrinunciabile. Esattamente come quello alla salute, all’istruzione e a una mobilità funzionale e senza rischi.
Per non lasciare nulla di intentato suggerirò di appendere una bella calza al cancello di scuola. Magari la Befana farà quello che le forze politiche non hanno fatto in questi mesi – ma in realtà negli ultimi decenni – occuparsi dei servizi pubblici essenziali e dei diritti. La nostra è una richiesta impellente e, di fronte al no, sarà necessario usare tutto il carbone possibile della mobilitazione, anche quello che i sindacati troppo pigri continuano a lasciare inerte.
Vediamo chiaramente la nostra stella.

Massimo Gargiulo insegna latino e greco nei licei. Ha avuto e ha tuttora anche incarichi nelle università, occupandosi dell’ebraismo del Secondo Tempio e rabbinico. Frutto di tale attività è la redazione di vari saggi e articoli.