di TOMMASO GARDELLA – La differenza economica, che deriva dalla gestione pragmatica e cinica del proprio ecosistema calcistico-
Lo sta diventando molto velocemente e potrebbe essere una ventata d’aria fresca molto importante per il calcio italiano, trovatosi da diversi anni stagnante nei controversi e noiosi rompicapi istituzionali all’italiana che ne hanno frenato e arrestato la crescita sotto tutti i punti di vista, creando un divario economico enorme non solo e ovviamente tra le squadre italiane ed estere ma anche all’interno del proprio ecosistema nazionale.
Juventus, su tutte, ma anche Inter, Milan e in un solo caso la Roma, a coronare l’apertura del nuovo millennio, dal 2000 ad oggi nessun altro è potuto andare a titolo e in rarissimi casi a poterne metterne in discussione l’assegnazione a una di queste. Una netta predominanza difficile (almeno fino ad ora, vista la stagione del Napoli) da scardinare e che negli ultimi anni è andata rafforzandosi nella mani di pochi, ormai però, necessari per poter competere a livello europeo e mondiale e, dunque, poter sopravvivere; perché se da una parte questa oligarchia è il principale parassita del nostro calcio, è anche vero che il non averne bloccato e rallentato l’espansione ne ha portato a una simbiosi perfetta, dove l’uno non può fare a meno dell’altro, comunque con scarsi risultati viste le sole tre Champions League portate a casa.
Al momento reggere il raffronto con le squadre inglesi e le due spagnole, oltre al Bayern, è quasi impossibile se non in sporadici anni nei quali però Barcellona e Real Madrid hanno vietato la gioia ai tifosi juventini, sempre ad un passo da poterLa festeggiare.
È chiaramente la differenza economica, che deriva dalla gestione pragmatica e cinica del proprio ecosistema calcistico, ciò che più di tutti concorre a creare e ad aumentare la forbice prestazionale in Europa ormai sempre più netta e alla quale, al momento, non si riesce a porre rimedio.
Forse quel momento è arrivato, però! Chiaro, non è e non può essere da un giorno all’altro ma si tratterà (anche se si sta già trattando) di un medio periodo, si spera, grazie al quale il campionato italiano non solo si ripresenterà come forza motrice di un movimento che fino a 15 anni fa annoverava alcuni tra i migliori giocatori sulla terra, ma potrà salvaguardare quelle piccole realtà che alla fine, come stiamo capendo, sono di grande importanza per la sopravvivenza equilibrata del calcio italiano.
Un po’ come funziona per la Premier League o, guardando fuori dal mondo calcistico, come la NBA. Salvaguardare e aiutare chi è in difficoltà non può che giovare per lo spettacolo e per la crescita di qualsiasi campionato sportivo, in F1 ci siamo arrivati solo adesso, in MotoGP molto prima e persino l’Americas Cup, visti anche i pochi contendenti alla coppa, ha dovuto modificare il proprio modus operandi per rendere le barche il più simili possibili, rendendo la mano umana la vera leva sulla quale spingere per vincere.
Quindi equiparare è la vera parola d’ordine per migliorare lo “spettacolo”, come direbbero gli americani, la competizione, come diremmo noi europei, e quindi l’interesse generale delle persone, spinte dalla curiosità di vedere chi sarà il migliore, che porteranno introiti per quel determinato evento, campionato, stagione. Meglio, prodotto: termine con il quale, negli anni ’90, in Inghilterra decisero di presentare la loro nuova struttura calcistica, la Premier League, nel continente asiatico, in pieno sviluppo economico.
Oggi siamo noi a ritrovarci in quella situazione ma anziché puntare su un paese in via di sviluppo (l’idea originale della quale si parlava qualche anno fa era l’Africa), vogliamo esportare il nostro campionato in una nazione che negli ultimi anni ha investito molto nel nostro calcio, comprando a destra e a manca. L’America, e sapete il perché? In borsa s’investe in qualcosa, un titolo o un asset, quando conviene, cioè quando lo scarso interesse rende quel soggetto economico, sperando che nei successivi anni un’improvvisa crescita ne faccia aumentare il valore per poi venderlo.
Ed è ciò che sta succedendo alle nostre squadre, ultima, anche se con diverse modalità è stata l’Atalanta (che ha ceduto la maggioranza delle quote, il 55%, a una cordata americana capitanata da Stephen Pagliuca, co-proprietario dei Boston Celtic), il fiore all’occhiello del calcio italiano ma prima, Roma, Milan, Parma, Bologna, Fiorentina, Genoa, Spezia, Venezia. In Serie A si contano 9 squadre in mano a proprietà americane, quasi la metà delle partecipanti al campionato, un partito ancora alle prime armi e che sembra non aver ben compreso i meccanismi istituzionali e soprattutto sociali che governano il nostro movimento. L’esempio lampante e quello di Commisso, ma anche i Friedkin a Roma o ancora il fondo Elliot proprietario del Milan in piena lotta con il comune di Milano per la questione stadio. Non è facile districarsi in questo labirinto, soprattutto se pensiamo che in Lega vi sono figure autoritarie come quelle di De Laurentis o Lotito, ma allo stesso tempo è necessario che gli investitori del nuovo continente facciano passi avanti e inizino a far sentire la propria voce, esportando la propria visione dal mondo dello sport americano (una vera macchina da soldi).
E probabilmente è nata anche da qui, in parte (l’altra è semplicemente il ritorno economico), la pazza idea che vorrebbe esportare fisicamente le 20 squadre di Serie A in America per un torneo di una ventina giorni da disputare sotto il mondiale in Qatar questo inverno.
Qualche settimana fa emissari della Lega Calcio, Luigi De Servio (amministratore delegato della Lega Serie A) e Michele Ciccarese (Direttore Martketing), sono volati negli States per sondare il terreno e parlare con i broadcast e gli sponsor per capire la fattibilità di questo maxi progetto, mai realizzato prima, e ricevendo il benestare dagli americani che sarebbero entusiasti di poter ospitare e presentare al proprio pubblico l’intero pacchetto-squadre di un campionato europeo. Benestare che sarebbe stato riscontrato anche dalla gran parte delle squadre, soprattutto nelle aree gestionali che si troverebbero circa 20 giocatori fermi e che gradirebbero la possibilità di continuare ad allenarsi e giocare per farsi poi trovare pronti al riinizio del campionato a gennaio. Una sorta di preparazione invernale usata come promozione per un mercato considerato strategico dalle alte sfere istituzionali.
Resta solo da capire la fattibilità dal punto di vista logistico ed economico, oltre che il consenso da FIFA e UEFA, anche se non dovrebbe essere un problema visto che non vi sono vincoli che neghino la possibilità a un’organizzazione calcistica di organizzare un torneo in qualunque parte del mondo e se in più ci aggiungiamo che le partite, ovviamente, verranno incastrate con quelle del mondiale per evitare sovrapposizioni, ne possiamo dedurre che l’ostacolo più impegnativo sarà quello
logistico e alloggiativo (si pensa) nei dintorni di New York, perché spostare più di mille persone non è cosa facile.
Un po’ meno complicato, soprattutto dopo il consenso americano, dovrebbe essere trovare degli sponsor per coprire i costi e generare i ricavi, oltre che vendere i diritti TV.
(licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/1331778)
![Tommaso Gardella, Toscana Today](https://i0.wp.com/www.toscanatoday.it/wp-content/uploads/2020/09/10100930-gardella-avatar.jpg?resize=100%2C100&ssl=1)
Tommaso Gardella è nato a Milano nel 1997, studia Storia all’Università di Firenze