Bentornati con la rubrica “Cinema Tips” che trovate soltanto qui, su Toscana Today. Ultimo appuntamento per questo anno solare 2019 nel quale sono estremamente felice di festeggiare l’articolo numero 50. Una chiusura alla grande. Oggi, visto il periodo in cui ci troviamo, pieno di feste e di ferie per chi le può fare, ho deciso di scrivere di un film ritenuto da molti indimenticabile, grazie al fatto di riuscire a parlare di argomenti storici alquanto ostici trattati in maniera leggera e allo stesso tempo drammatica. Parlo del film “La vita è bella”.
Diretto e interpretato da Roberto Benigni, scritto da quest’ultimo insieme a Vincenzo Cerami, con l’ultima fotografia (dopo 135 film) di Tonino Delli Colli, viene considerato, specialmente all’estero, uno dei film più popolari del cinema italiano. È sufficiente vedere la pioggia di Premi e Riconoscimenti ricevuti, in primis il Grand Prix della Giuria al 51° Festival di Cannes e 3 Oscar (Miglior Film Straniero, Miglior Attore Protagonista e Migliore Colonna Sonora, quest’ultimo grazie al lavoro di Nicola Piovani). La risposta del pubblico è stata altrettanto entusiasta, risultando il film italiano col maggiore incasso di sempre (record poi battuto nel 2011).
La trama è ampiamente conosciuta da tutti coloro che hanno piacere a guardare un qualsiasi lungometraggio al cinema o a casa: si tratta di una storia che, nonostante l’immensa tragedia che si ritrova tra le mani ad affrontare, cerca di mantenere lo spirito giocoso tipico del personaggio di Benigni. Nonostante quest’ultimo, durante le riprese, avesse timore di offendere la sensibilità dei sopravvissuti ai campi di concentramento, il risultato alla fine è ricco di commozione. E qualche spunto di cui parlare è presente.
Prima di tutto vorrei far leva su come la sceneggiatura dia grande peso al rapporto padre-figlio e marito-moglie. La forza dell’amore, infatti, domina il personaggio, sempre alla ricerca di un barlume di speranza e di gioia anche davanti agli orrori. E non mi riferisco soltanto alla situazione del lager, ma anche a come un’amicizia che potrebbe letteralmente salvargli la vita in realtà si dimostri uno stupido vizio legato a un gioco che, di fronte alla guerra, annienta qualunque speranza. È lì che il film ha raggiunto uno straordinario apice: nel momento in cui hai la fortuna di conoscere un’autorità intellettuale, questa non porge la mano verso il bisognoso per salvarlo, ma anzi si prende gioco di lui destinandolo a rimanere nell’incubo. Una feroce critica nei confronti dell’elite non soltanto di quel preciso momento storico, ma contemporaneo: il rapporto tra le classi sociali è sempre stato estremamente difficili e lo è tutt’ora. Quasi mai i migliori sono destinati a essere l’elite. E poi c’è quel bimbo, innocenza in un mondo violento, il cui fiore non viene dilaniato, ma che nascondendosi in un angolo riesce a superare quel lungo inverno e a raggiungere la primavera della sua vita, insieme a sua mamma, grazie a quel padre straordinario che riesce a scherzare anche davanti al Fato. In sostanza, diventa l’emblema di quella meravigliosa ricchezza che si trova dentro l’animo gentile di chi cerca sempre di mostrare un sorriso dorato anche davanti al dolore: non a caso Giosué e Guido si chiamano di cognome Orefice e lei abbia come nome Dora. L’oro dell’anima è sempre il dono più prezioso che si possa fare all’inno della vita.
Lorenzo Simonini è nato a Viareggio nel 1988. Iscritto al corso di laurea in Cinema e Produzione Multimediale alla Sapienza di Roma, si laurea a pieni voti nel 2014 all’Università di Pisa con una tesi di ricerca sul cineasta amatoriale Costantino Ceccarelli (sul quale pubblica un saggio nel 2015). Ha scritto e diretto cortometraggi e videoclip.