Giancarlo Altavilla, avvocato (Pisa)

L’abrogazione delle prescrizione va contro la giusta Giustizia

Inizia con questo articolo la collaborazione dell’avvocato Giancarlo Altavilla, di Pisa, con Toscana Today.

Cosa c’è di più ovvio che desiderare la punizione del reo? Non è forse giusto che chiunque delinqua debba essere condannato ad espiare la sua pena? Certo che sì. Spacciatori, truffatori, spergiuri, delinquenti e bari, ad ognuno la sua pena, a tutela di una società che non può e non vuole tollerare che i delitti rimangano impuniti.
Basta perciò coi cavilli che sottraggono i delinquenti alla loro pena, basta coi processi incomprensibili e basta con le inefficienze del sistema: i delitti devono essere perseguiti e i delinquenti puniti, tutti. Basta perciò anche con la prescrizione dei reati, che, diciamolo, vuol dire impunità. Tutti sanno che i rigorosi e severi governanti di questo tempo hanno finalmente trovato la soluzione ai mali della giustizia italiana: i reati non si prescrivono più; chi li commette, sarà giudicato e punito, non importa quanto tempo ci vorrà. Lo Stato procederà ad indagare, incolpare e punire e nessun tempo galantuomo salverà il reo, chiamato a pagare la sua colpa quando la giustizia inesorabile deciderà. Tutto bene, quindi.

Tutto bene? Ma neanche per sogno

La prescrizione del reato, in breve, è questo: un fatto penalmente rilevante deve essere indagato e punito entro un tempo massimo, decorso il quale esso non può più essere oggetto di punizione. Il suddetto tempo massimo non è sempre il medesimo; varia a seconda della gravità dell’illecito di riferimento. Comunque, è sempre pari a molti anni.
Perché i reati si prescrivono? Perché lo Stato rinuncia a punire i delitti quando siano trascorsi degli anni dal loro compimento?
La ragione sta nella cosiddetta civiltà del diritto, concetto aulico nel quale trovano la sintesi una
serie di principi giuridici e sociali, che riassumo così: lo Stato non punisce per vendicarsi, ma per ristabilire l’ordine sociale; la pena inflitta al reo deve essere commisurata alla gravità del reato che ha commesso e deve
avere una connotazione non solo punitiva, ma anche rieducativa; la pena deve essere inflitta e scontata nei tempi più prossimi alla commissione dell’illecito, ciò al fine di reagire alla offensività dell’azione, i cui effetti, la cui percezione e il cui disvalore siano ancora attuali. Infine, e questo è il punto, la pena dei reati non deve essere il processo (teso ad accertarli) ma la sanzione. Il reo deve essere punito infliggendogli la punizione, e non sottoponendolo alla pena di essere sottoposto al giudizio sine die. E sì, perché nei confronti dell’incolpato (non sempre a giusta ragione) lo Stato ha un dovere fondamentale, quello di garantirgli una indagine, prima, e un processo, poi, giusti e veloci, che si concludano con l’accertamento della sua colpevolezza o con il proscioglimento.

Perché esiste la prescrizione

Essere indagati e stare alla sbarra, al cospetto non solo di un tribunale ma anche della comunità di appartenenza (le cui opinioni, spesso cruente, sono quelle sollecitate da giornali senza scrupoli, interessati a vendere la storia dell’ultimo mostro), è penoso assai, perché stravolge le vite e le relazioni sociali e familiari, azzera le reputazioni e stronca le carriere. Per questo, le indagini e il processo sono la prima pena dell’incolpato: solo dolorosa, quando l’accusa si riveli fondata; anche ingiusta e aberrante, quando, dopo la lunga pena del processo, l’imputato risulti innocente. Per coniugare il dovere statuale di indagare e punire con quello di garantire un processo giusto, anche con riferimento ai tempi di celebrazione, esiste la prescrizione.

Quando un presunto delitto sia stato compiuto in tempi lontani e lo Stato non sia riuscito nel frattempo a giudicare e condannare il presunto responsabile, l’azione penale deve estinguersi, risultando insopportabilmente ingiusto tenere alla sbarra un cittadino per un tempo troppo lungo, esso stesso di per sé punitivo (nei confronti, non si dimentichi, di un presunto innocente). Il tempo della prescrizione, peraltro, non è mica breve, anzi. Esso dura molti anni, nei quali il cittadino è stabilmente imputato e, come suol dirsi, in attesa di giudizio. E allora, non è forse giusto e civile che un presunto innocente (tale è l’imputato) non debba essere indagato e processato per un tempo troppo lungo? Non è forse giusto e civile che
l’incolpato venga punito o prosciolto in tempi celeri, compatibili con la presunzione di innocenza?

La prescrizione serve a garantire la certezza delle situazioni giuridiche: condannato o prosciolto, dentro o fuori. Decorsi anni (e sono molti) dall’eventuale compimento del reato, se lo Stato non è riuscito a indagare e punire, deve astenersi dal perseguire (a volte perseguitare) il presunto innocente.
Si consideri che il cittadino ‘sotto processo’ vive in una condizione di deminutio. Al netto degli aspetti psicologici e di relazione (sociale e familiare), se è un imprenditore, non può contrarre con la pubblica amministrazione, né accedere al credito bancario, se è un libero professionista, è destinato a subire gli effetti dei risvolti deontologici dell’accusa penale, se è un dipendente pubblico, pure; se è un giovane, non può partecipare ai concorsi pubblici, e così via.

Quanto è giusto che si prolunghi la pena dell’attesa del giudizio?

Fino ad oggi, era previsto che la ‘sanzione del processo’ durasse anni, molti anni, fino alla prescrizione.
Oggi, dopo una ottusa spallata ai principi fin qui detti, che furono di Cesare Beccaria, siamo giunti ad una rinnovata conclusione: meglio punire che prescrivere, il tempo non conta. Be’, senza mezzi termini, questa è una conclusione rozza e incivile, che mortifica il Diritto e anche l’Uomo, la cui presunzione di innocenza non può trovare un affievolimento nello status di accusato indefesso, in attesa di giudizio.

La prescrizione è una misura di tutela del cittadino, e abrogarla è un atto scellerato

E’ vero, la prescrizione, quale causa estintiva del reato, è anche l’espressione del ‘fallimento
giurisdizionale’ dello Stato. Non è bello sapere che un illecito non abbia trovato il colpevole e non è bello sapere che il possibile reo non abbia potuto essere giudicato perché, dopo anni di indagini e processi
inefficienti, lo Stato non ha saputo giudicare, decidere ed eventualmente punire. Ma la risposta a questo fallimento non può essere l’abrogazione della prescrizione, perché l’efficienza del sistema penale deve essere perseguita accelerando l’azione processuale, non consentendo che essa possa svolgersi sine die, a tutto scapito della integrità giuridica, morale e sociale del malcapitato imputato.
L’abrogazione dell’istituto della prescrizione dei reati è una resa alla inadeguatezza del sistema penale; piuttosto che intervenire sulle cause di una giustizia lenta, pigra e funestata da errori, si preferisce stabilire che un processo può durare all’infinito, perché quello è ‘il tempo che ci vuole’: con buona pace del malcapitato cittadino, condannato, innanzitutto, all’attesa del giudizio e poi, chissà, non appena sarà possibile, punito o prosciolto a seconda degli esiti del lento processo. Ma questa è una prospettiva incivile e inquietante. E’ facile condividere l’abrogazione della prescrizione quale presupposto per garantire la pena
agli assassini, ai terroristi, agli stragisti e ai mafiosi.

Attenzione però. Al netto del rilievo che ‘i grandi reati’ non si prescrivono mai (non oggi, ma anche prima della riforma di questi giorni), è bene riflettere che più frequentemente gli illeciti sono quelli dei ‘delinquenti per caso’: il geometra che (forse) ha sbagliato nel rendere una dichiarazione urbanistica (falso ideologico?), l’ingegnere che (forse) ha omesso di depositare i suoi calcoli strutturali presso gli uffici del genio civile (illecito sismico?), il medico che (forse) ha commesso un errore nell’aggiustare una frattura ossea (lesioni personali?), l’imprenditore edile che (forse) ha sbagliato nel realizzare il portico di una nuova abitazione (abuso edilizio?), il ragazzo che si è preparato uno spinello da dividere con gli amici (uso o spaccio di stupefacenti?).

Questi ‘delinquenti’ è civile che possano essere sottoposti a giudizio senza limiti di tempo? E’
accettabile che lo Stato ne segni la condizione di cittadini presunti innocenti, condannandoli, da subito, agli effetti nefasti di una accusa penale che potrebbe non sciogliersi mai nella punizione o nel proscioglimento?
Io una risposta ce l’ho, anzi due: no, non è civile; no, non è accettabile.