di ALDO BELLI – L’ultimo libro di Federico Rampini è un’America poco conosciuta perché riflette quello che in Europa non si vuole vedere.
L’ultimo libro di Federico Rampini “America. Viaggio alla riscoperta di un paese” (Solferino, pagg.288) offre diverse chiavi di lettura: è una guida turistica, ma al tempo stesso un saggio di sociologia, un’autobiografia e insieme un reportage giornalistico. A uniformarle: il vissuto personale. Rampini vive da venticinque anni negli USA, cresciuto in Belgio è stato corrispondente da Parigi e da Pechino, ha lavorato in mezzo mondo, e proviene da un giornalismo italiano del tutto particolare che considerava le parole una leva per conoscere e cambiare il mondo. Il pregio di questo libro è dunque la visuale diretta, ma senza essere trascinato nella generalizzazione dell’esperienza personale; e senza nessuna pretesa di arruolarti nei pro o nei contro tipicamente diffusa quando si tratta di America. La “riscoperta” non si riferisce al trascorso, come un veliero per troppo tempo rimasto sotto la polvere o un tesoro dimenticato da recuperare nei fondali della memoria, bensì ciò che oggi è l’America. L’America lontana “dall’altra parte della luna” – come direbbe Lucio Dalla.
L’America del mito americano, delle mode e dei prodotti simbolo del mondo intero, ma anche dei fermenti culturali. Per una lunga generazione tutto ciò che giungeva di nuovo o di cattivo proveniva da lì. Ed era vero. Probabilmente, l’espansione del made in China ha spostato il senso comune ad Oriente anche se Google praticamente lo indossiamo ormai come i calzini la mattina; l’antiamericanismo storico, che pure costituiva un motivo per conoscere quanto accadeva al di là dell’Atlantico, si è sfarinato nella Globalizzazione e l’America First di Trump ha ulteriormente scavato il solco, mentre l’Europa a guida tedesca si avvitava nell’idea di un’autosufficienza globale rimanendo ingabbiata nei propri confini. Gianni Morandi continua a cantare “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” e una lunga generazione canta con lui, anche se di quel “ragazzo” sa niente.
Nel frattempo, il “grumo di contraddizioni” del sistema americano è andato assumendo nuovi paradigmi nel perenne confronto: “Quando la libertà individuale e il bene comune entrano in conflitto, tu con quale principio di schieri?”. La forza del libro sta proprio nello smontare i luoghi comuni della percezione (o non percezione, meglio sarebbe dire) dell’America di oggi di qua dall’oceano. Ed è qui che il reportage o l’autobiografia diventa lo specchio che inevitabilmente si riflette anche su di noi, solo apparentemente lontani.
E’ l’America della cancel culture della sinistra che “scimmiotta la destra” (che l’ha preceduta nel revisionismo storico), e “la distruzione di statue è solo un pezzetto di quel che accade nelle scuole, nelle università, nei media”: è possibile così che a Central Park la statua di Theodore Roosevelt venga smantellata perché “vi era raffigurato a cavallo, mentre a piedi, in posizione subalterna, c’erano delle figure appartenenti a etnie diverse. Dunque quella statua evocava la supremazia della razza bianca, il suo istinto di sopraffazione”. Per l’élite radicale “che comanda nel capitalismo digitale, nei media e nell’accademia, il sogno americano è un’impostura, l’etica del dovere e del sacrificio va sostituita con il dirigismo statale che garantisce quote d’accesso alle minoranze prescelte per la beatificazione”.
L’America del politically correct. Le università da sempre considerate un tempio della libertà di pensiero, sono così indottrinate “dall’ambientalismo apocalittico, ossessione per i diritti dei transgender e la fluidità del genere sessuale, supremazia delle minoranze etniche e colpevolizzazione dei bianchi come unici portatori di razzismo: questi sono i nuovi Vangeli per molti giovani americani”. Nelle domande di ammissione all’università alla casella del sesso conviene segnare “non binario”, così cresce il punteggio. Un sondaggio rivela che l’80% per cento degli studenti americani oggi ha paura a esprimere la propria opinione per il rischio di non apparire allineato.
Un America lontana. O forse no. Dove oggi “il Partito democratico ha l’appoggio del capitalismo digitale e di Wall Street, dei laureati nei ceti medio-alti, nonché di una maggioranza di afroamericani e ispanici” e “i repubblicani sono diventati il partito della classe operaia e dei sudisti”. Dove i figli educano i genitori, “o almeno, così ragiona l’élite delle due coste, il ceto medio-alto dei laureati che fanno opinione a New York, Boston, Washington, Seattle, San Francisco, Los Angeles” (ma non in Florida), mentre l’America “dei genitori-spazzaneve (quelli che si adoperano a rimuovere ogni ostacolo sulla pista che è la vita), a furia di coccolare, aiutare, sorreggere i figli ha creato una generazione insicura” (nel 2019 il 13% degli adolescenti americani ha sofferto di depressione, un incremento del 60% rispetto al 2007, identico all’aumento dei suicidi tra i 10 e i 24 anni nel decennio successivo, fino al 2018).
Non stupisce, dunque, che in questa ricerca (sconclusionata) di un’alternativa al Sogno americano, le élite intellettuali bianche democratiche si ritrovino dalla stessa parte del movimento antirazzista Black Lives Matter, egemonizzato dalle frange radicali: il quale ha ottenuto che molte città tagliassero i fondi alla polizia, però la maggioranza silenziosa degli afroamericani vuole più polizia nei loro quartieri per far rispettare la legge e l’ordine. Oppure, che “L’élite dell’ultrasinistra che governa San Francisco” voglia abolire “ogni selezione all’ingresso della Lowell High School, un liceo pubblico famoso per i criteri d’accesso meritocratici. Gli esami di ammissione andavano sostituiti da una lotteria, in modo da aumentare il numero di studenti afroamericani e ispanici” per cancellare ogni traccia del razzismo bianco”: e in realtà, le principali vittime di questa riforma sarebbero stati non i bianchi bensì gli asiatici”. Non avevano messo in conto, “forti dell’appoggio massiccio della stampa, di Big Tech, delle università di élite”, le Mamme Tigri: dietro la spinta dei genitori cinesi, tanti altri si sono ribellati, la meritocrazia sotto accusa come “strumento di oppressione dei bianchi” per la maggioranza dei bianchi e dei non bianchi rimaneva invece un principio democratico dove con il talento puoi farti strada. “Una città monocolore di sinistra ha dimostrato che c’è un limite a quello che il popolo di sinistra può sopportare”.
Non esiste una sola America. E Rampini lo sintetizza dicendo: le Americhe alternative si possono distinguere da come rispondono alla domanda Quando la libertà individuale e il bene comune entrano in conflitto, tu con quale principio ti schieri?”.

