L’angelo della morte vince nel silenzio dello studio

di MASSIMO GARGIULO – Lo studio e l’angelo della morte, tra Talmud e riapertura delle scuole, la rilettura di un brano per questi tempi

Nel Salmo 39 (38),5 il re David rompe il silenzio che nei primi versetti si era ripromesso di osservare e domanda: Fammi conoscere, Signore, la mia fine e quale sia la misura dei miei giorni. Che io sappia che cosa effimera sono.

La frase, che qui ho tradotto letteralmente, è per lo più intesa, anche nella resa delle lingue moderne, come una preghiera in cui l’orante chiede a Dio conferma di ciò che egli tragicamente sente, che cioè la sua vita è una vana ombra. Un trattato del Talmud babiblonese, Shabbat, incentrato appunto sulla festa del sabato, la interpreta invece soffermandosi sul significato più ovvio della richiesta, con il re che chiede di conoscere l’ora della propria morte: David disse al cospetto del Santo Benedetto: “Signore dell’universo, fammi conoscere la mia fine”. Dio rispose: “È stato da Me decretato di non far conoscere la propria fine a chi è fatto di carne e sangue”. Egli replicò: “Allora quale sia la misura dei miei giorni”. Ma di nuovo: “È stato da Me decretato di non far conoscere all’uomo la misura dei suoi giorni”. “Almeno che io sappia che cosa effimera sono”. Dio gli rispose: “Morirai di sabato”. David riceve in tal modo la grazia straordinaria di sapere in quale giorno della settimana sarebbe morto e quest’ultimo coincide con il più sacro tra i giorni, quello in cui cade la festa di shabbat. L’eccezione fatta da Dio per il re che sarà modello del Messia, consente a quest’ultimo di ingaggiare una lotta con l’angelo della morte. Leggiamo infatti nel seguito:

Tutti i sabati egli sedeva e studiava senza interruzione. L’angelo della morte, nel giorno in cui avrebbe dovuto dare il riposo eterno all’anima di lui, gli si pose davanti, ma non poté farlo, poiché la bocca di David non cessò mai dallo studio. Allora quello pensò: “Come posso fare con lui?”. Ebbene, il re aveva un giardino dietro la sua casa. L’angelo della morte vi andò, salì e scosse gli alberi. David uscì per vedere e, non appena fu sulla scala, questa si ruppe sotto di lui; egli fu in silenzio e la sua anima entrò nel riposo.

Questo tipo di racconto si trova nella tradizione ebraica anche per altre morti di celebri saggi, con alcune varianti. Esso mette in scena un duello tra un uomo e la morte, in cui i due contendenti usano ciascuno le armi di cui dispone, una sorta di Settimo sigillo ante litteram.

In questa partita a scacchi David ricorre allo studio, che per l’ebraismo costituisce una mitzvah, un precetto, ed è una delle attività ammesse nella festa del sabato. Naturalmente l’oggetto è la Torah, che il re non smette di tenere viva nella sua bocca, garantendo così a se stesso di rimanere vivo. L’angelo della morte resta interdetto davanti a lui, perché sa che nulla può contro un uomo che stia praticando un precetto, tanto più quello che David ha scelto come propria difesa, lo studio. Allora opta per una mossa di astuzia. Produce un rumore nel giardino che circonda la reggia, ma non è questo che porta a termine il suo disegno. Peraltro per David il soffio del vento era amico. C’è infatti un’altra tradizione che narra come a mezzanotte in punto un alito leggero facesse risuonare le corde della sua arpa appesa a un chiodo, ricordandogli così l’obbligo della preghiera. A tradirlo nell’ultimo sabato è invece un gradino della scala che cede sotto i suoi piedi. C’è un attimo di straordinaria intensità che viene riempito dal suo silenzio. Questo però vuol dire che la sua bocca in quell’istante ha cessato dallo studio, ed egli non ha più difesa contro l’angelo della morte. Il testo parla eufemisticamente di riposo della sua anima.

La scelta di questo brano, oltre che dalla sua bellezza, è motivata dalla possibile analogia con il tempo che stiamo vivendo. Ci stiamo confrontando con un angelo della morte altrettanto ostinato e astuto che, anche quando non riesce a completare il suo disegno, ci costringe in qualche modo a un silenzio sbigottito. Era quello irreale, eppure a tratti anche affascinante, delle strade deserte nelle grandi città durante il lockdown. Ed è quello delle scuole e università che chiudono. Un silenzio attuale che, sottraendo ai giovani la possibilità della loro formazione, si proietta cupo anche sul futuro.

Ma il testo ci fornisce anche una suggestione su una possibile via di uscita, un modo per far sì che l’angelo stia pure davanti a noi, ma impotente ad agire. Esso è proprio lo studio, una bocca che, alla lettera, accumula dentro di sé sapere e lo ripete senza posa. È per questo che abbiamo chiesto a gran voce che ci si adoperasse in tutti i modi per poter ripartire. L’angelo della morte vince nel silenzio della formazione, della ricerca di un modello di sviluppo più equo, degli sforzi indirizzati ai servizi essenziali per la comunità.

Forse è per questo che la stessa tradizione da cui ho tratto il brano, altrove dice che se c’è un rumore del quale i cittadini non hanno il diritto di lamentarsi, è il vociare che si riversa in strada dalle finestre delle aule.