di MASSIMO GARGIULO – “Uomini e caporali” di Alessandro Leogrande, l’appartenenza al genere umano e l’indifferenza non possono coesistere.
Educazione civica (o di civiltà). Il breve articolo che propongo ha due scopi. Il primo è quello meno importante, frutto di un’esperienza diretta tra le campagne lucane e i banchi di scuola: suggerire un percorso didattico per educazione civica. Questa ricorda un po’ l’armatura di Agilulfo, il cavaliere inesistente di Calvino, la quale prende vita soltanto se sostenuta dalla volontà. Il Ministero infatti ha creato la materia, ma non ci ha messo l’insegnante, con la nobile motivazione che l’educazione civica è trasversale. E poi così costa pure un po’ meno. Infatti è affidata ai docenti già esistenti e ben in arcione, i quali la sostanziano di argomenti e valutazioni. Ebbene io ritengo utile porre agli studenti il tema del lavoro, che nella scuola dovrebbe entrare anche come sistema di diritti e tutele, e non solo come alternanza e preparazione di addetti pronti all’uso. Su questo poggia il secondo scopo, più nobile, ricordare un libro e il suo autore e una figura di donna, è stata festeggiata in questi giorni la giornata dell’8 marzo. Sto parlando di Uomini e caporali, di Alessandro Leogrande, Feltrinelli 2016. L’autore, che ho già citato in un precedente articolo, purtroppo è scomparso prematuramente. Il suo libro può soddisfare anche gli insegnanti più esigenti per ciò che attiene alla qualità della scrittura e il contenuto, una inchiesta sul lavoro agricolo e il caporalato nelle campagne pugliesi che si intreccia con le vite millenarie dei protagonisti, può fornire ai docenti materiali per illustrare i diritti dei lavoratori sulla Carta delle leggi e sulla terra.
Una donna. La figura di donna a cui mi riferivo si trova subito in apertura e si chiama Incoronata Di Nunno. È nata nel Neolitico, insieme all’agricoltura, ma ha raggiunto la sua maturità nel dopoguerra. Ha fatto ciò che hanno fatto i suoi padri, la contadina, e che ha fatto anche il marito dopo aver cercato fortuna emigrando in Germania, senza però trovarla. La terra se l’è richiamato, prima a lavorare, ora avendolo riaccolto nel suo seno. Proprio andando a trovarlo al cimitero del paesino, Incoronata mostra a tutti noi che l’appartenenza al genere umano e l’indifferenza non possono coesistere. Il suo ingresso nell’umanità è avvenuto attraverso due porte: una è quella della chiesa, l’altra il lavoro. Le mani nodose di fatica descritte da Alessandro Leogrande le hanno permesso di riconoscere chi è quel morto sepolto a poca terra dal marito, con su solo una croce e la scritta “ignoto”. Lei sa, come altri in paese, che era un ragazzo straniero, venuto in Italia a fare il bracciante. È stato trovato sul ciglio di una strada con il volto disfatto dal passaggio della ruota di un camion, secondo una dinamica che subito è apparsa sospetta ai carabinieri. Su di lui finora c’è stato un silenzio anonimo e omertoso, nel quale la paura della ritorsione violenta si mescola al ricatto di perdere lavoro e quel poco di salario a cottimo. Il suo paese è lontano e forse è sconosciuto a Incoronata, ma in comune hanno la terra e, purtroppo, i suoi padroni, con in mezzo i caporali, quelli che ai suoi tempi si chiamavano “soprastanti”. Perciò inizia a dividere i fiori che porta tra il marito e ignoto, fino a quando le diviene intollerabile che questi, oltre al nome, non abbia neanche una tomba. Perciò ne fa costruire una a sue spese, con su scritto: “IGNOTO m. 20-9-2004”; ma così è troppo poco e allora chiede consiglio al prete, per qualche parola di pietà, e decidono per “Sia benedetto Dio, Padre di tutti”.
Dare un nome. La scelta è azzeccata. Il padre infatti, nella cultura biblica, anch’essa radicata nell’idea neolitica del seme che muore sottoterra per rinascere, è colui che dà il nome, ciò che ancora manca a Ignoto per poter finalmente almeno riposare. Come narra il Libro delle parabole, un’opera dell’apocalittica ebraica del I sec. a.C., Dio, colui che è all’inizio del tempo, ancora prima della creazione diede il nome al Figlio dell’uomo, figura fondamentale anche nella tradizione cristiana. Dare il nome significa dare un’identità e un destino. Proprio un anno dopo la costruzione della tomba, alla caserma dei carabinieri si presentano, chiedendo di rimanere invece anonimi, alcuni lavoratori polacchi che si erano trovati nello stesso casolare diroccato di Ignoto. Avevano una foto di loro tra letti e panni, conviventi per scelta del caporale. Di quel ragazzo sapevano il poco che si erano scambiati nei momenti in cui lavoravano. La città della Polonia da cui veniva, e il nome. Ora ne aveva finalmente uno. Con questi pochi dati e la fotografia, la polizia italiana chiede informazioni a quella polacca, ma nulla di più emerge. Nessuna denuncia di scomparsa, nessuno che possa dare qualche informazione ulteriore. Come dice Leogrande, Ignoto rimane Ignoto, anche sulla tomba. A Incoronata bastava aver avuto conferma di ciò che già sapeva, lo aveva riconosciuto da subito come figlio della terra, e perciò anche figlio e fratello suo. Quel viso annullato dal camion aveva recuperato un luogo per avere un po’ di pace, la sua immagine in una foto, un nome. Quello che rimaneva e rimane da fare era indagare su ciò che veramente era accaduto, ma per questo rimando alla lettura del libro. Per noi, denunciare le nuove schiavitù e insegnare la via verso i diritti, sulla quale non passa indifferenza. È una storia buona per l’8 marzo, che possiamo cominciare a raccontare da due nomi: Incoronata e Miroslaw.
Massimo Gargiulo insegna latino e greco nei licei. Ha avuto e ha tuttora anche incarichi nelle università, occupandosi dell’ebraismo del Secondo Tempio e rabbinico. Frutto di tale attività è la redazione di vari saggi e articoli.