Al 31 marzo 2020, in confronto al primo trimestre 2019, le assunzioni con contratto di lavoro a termine sono calate di 195 mila unità
È notizia di pochi giorni fa che al 31 marzo 2020, in confronto al primo trimestre 2019, le assunzioni con contratto di lavoro a termine sono calate di 195 mila unità (Fonte: nota congiunta sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal, relativa al primo trimestre dell’anno).
Il crollo delle assunzioni a termine è certamente legato alla crisi economica ingenerata dell’emergenza Covid19 e alle difficoltà economiche delle imprese che non consentono di programmare assunzioni anche a tempo determinato. Le note criticità si innestano però su un quadro normativo complesso, profondamente modificato dal c.d. “Decreto Dignità” (DL. N. 87/2018) con il quale sono state reintrodotte le c.d. “causali” per l’apposizione del termine ai contratti (o a proroghe di contratti) con durata superiore ai 12 mesi, ridotta la durata massima (24 mesi anziché 36), ridotto il numero massimo di proroghe (da 5 a 4) ed aumentato il contributo addizionale a carico del datore di lavoro. Il tutto nell’ottica di scoraggiare l’assunzione a termine per favorire quella a tempo indeterminato.
Il mutato contesto economico ha però indotto il Governo – con il c.d. “Decreto Cura Italia” (DL n. 18/2020) e poi con il c.d. “Decreto Rilancio” (DL n. 34/2020) – ad allentare i vincoli introdotti dal Decreto Dignità per favorire le assunzioni anche a termine e le proroghe dei rapporti in corso. La prima norma è contenuta nell’articolo 19-bis della Legge n. 27/2020, di conversione del cd. “Decreto Cura Italia” e prevede la possibilità di prorogare e rinnovare contratti a tempo determinato nel periodo in cui l’azienda ha in atto una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni. La disposizione sospende il divieto (art. 20, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo n. 81/2015) che, per l’appunto, vieta l’apposizione di un termine al contratto di lavoro qualora l’azienda abbia attivo, nelle medesime unità produttive, un ammortizzatore sociale.
La seconda norma è quella prevista all’articolo 93 del “Decreto Rilancio” e introduce la possibilità di prorogare e rinnovare contratti di lavoro subordinati a tempo determinato senza l’obbligo di indicazione della causale che era stato reintrodotto con il “Decreto Dignità” e che impone alle aziende che assumono un lavoratore a tempo determinato di specificare il motivo per il quale si richiede la prestazione a termine.
I punti oscuri della norma contenuta nel “Decreto Rilancio”
Ci sono però alcuni punti oscuri della norma contenuta nel “Decreto Rilancio”.
1) la norma stabilisce la possibilità di derogare dall’obbligo di causale “per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Secondo una interpretazione restrittiva, la norma potrebbe essere applicata soltanto alle aziende che, nei mesi scorsi, hanno chiuso le proprie attività lavorative escludendo, viceversa, quelle aziende che non hanno mai chiuso.
2) la regola prevede la possibilità di prorogare o rinnovare solo i contratti a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020. Esemplificando: per un contratto sottoscritto il 15 febbraio con termine al 30 maggio si dovrà obbligatoriamente prevedere una causale in caso di proroga o rinnovo così come per un contratto scaduto il 20 febbraio 2020.
3) la durata del rapporto a tempo determinato, prorogato o rinnovato in ragione della norma contenuta nel “Decreto Rilancio”, non potrà superare la data del 30 agosto 2020, anche se la durata massima di 24 mesi per i contratti a termine (o la diversa durata prevista dal contratto collettivo applicabile) non è ancora stata raggiunta. Le parti saranno quindi costrette ad acrobazie contrattuali dovendo necessariamente prorogare o rinnovare il rapporto con l’indicazione della causale se la durata del rapporto è andata oltre i 12 mesi.
Da più parti è invocata a gran voce una riforma della disciplina che elimini le modifiche introdotte dal Decreto Dignità e riporti la regolamentazione dei rapporti di lavoro a termine all’originaria struttura prevista dal D. Lgs. n. 81/2015. Se non sarà un passo decisivo per la ripresa delle assunzioni a termine (sulle quali pesano le generali condizioni economiche delle imprese e del Paese ma soprattutto il celeberrimo “costo del lavoro”), restituirà chiarezza alla normativa, certezza a lavoratori e imprenditori riducendo anche il rischio di contenzioso, oggi invece molto elevato.
Giorgio Giannini è avvocato specializzato in Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali, esercita la professione a Milano. Si occupa di crisi aziendali complesse, assiste primarie società italiane ed estere operanti in diversi settori produttivi. Laureato nel 2007 all’Università di Pisa, ha conseguito l’idoneità alla Scuola di Alta Formazione in diritto del lavoro, sindacale e della previdenza sociale “Luca Boneschi”. E’ socio AGI Avvocati Giuslavoristi Italiani.