Le cialde, Ferro di Pisa (1500)

Le cialde e il vino, mistero e tradizione del dolce europeo

Un nuovo viaggio del prof. Giovanni Ranieri Fascetti nella storia che vive, all’ombra della Confraternita dei Cialdonai

C’è un paese toscano, Vicopisano, che un tempo fu una città e che la mano dell’architetto Filippo Brunelleschi riuscì a trasformare in fortezza imprendibile; cuore di questa fortezza è la torre di Santa Maria, torre millenaria, solidamente piantata sulla sommità del colle di Vico; negli ultimi venti anni, per gentile concessione della Famiglia Fehr Walser, la torre è stata sede della Confraternita dei Cialdonai e così, ogni qual volta noi Cialdonai scrutiamo l’intorno dall’alto della torre, il nostro sguardo si spinge ben oltre i confini imposti dall’orizzonte fisico, ben al di là delle cose visibili al nostro tempo: vediamo paesaggi, uomini e storie di tempi lontani; quella di tornare al passato è una nostra abitudine: percorriamo a ritroso le vie della tradizione e, lungo il percorso, raccogliamo fiori rari e preziose gemme: i frammenti dei tempi andati; sembrano ormai irrimediabilmente perduti ma li facciamo vivere, nuovamente, per noi e per gli altri.

Vicopisano
Vicopisano

Da più di venti anni seguiamo un filo di Arianna che ci conduce nei meandri della storia della cialda, il nostro dolce. Procedendo nella ricerca, ci siamo spinti sempre più lontano nello spazio e nel tempo; ogni volta che partiamo, torniamo indietro con nuovi elementi che ci permettono di rappresentare una tradizione di portata straordinaria che rischiava di essere del tutto perduta. Recentemente il nostro sguardo è stato attirato da segnali provenienti da Sulmona, meno recentemente eravamo chiamati da Foligno, dove la studiosa Lucia Bertoglio ha organizzato per la locale sezione dell’Archeoclub una mostra di ferri da cialda dell’Umbria nelle sale di Palazzo Trinci, pezzi meravigliosi, incisi da maestri orafi e zecchieri tra il Quattrocento e il Cinquecento. Dunque non siamo soli: altri, che come noi rovistano nella miniera del Passato per scoprire emozioni vive e trovare parti perdute della propria identità, ci hanno cercati. Eccoci, quindi, in buona compagnia, a scomporre e ricomporre il quadro complesso delle origini della cialda, della sua diffusione e dei significati nascosti di quello che, a pieno titolo, si può considerare il dolce europeo, l’unico che troviamo diffuso su buona parte del nostro continente, soprattutto nelle regioni toccate dall’onda di piena del Rinascimento.

La cialdonaia
La cialdonaia

L’epicentro, il punto di nascita delle cialde è localizzabile nell’Italia centrale; le regioni che la fanno da padrone sono: Abruzzo, Toscana, Umbria; le città di Firenze, Pisa, Foligno, Sulmona si possono considerare come i centri chiave della originaria produzione e della sua prima diffusione. Riguardo alla produzione fiorentina, un filo sottile lega la cialde alla figura di Filippo Brunelleschi: leggendo la descrizione che il Vasari ci dà nelle “Vite” dell’esperimento ottico sulla prospettiva condotto da Filippo, scopriamo l’ubicazione delle botteghe dei Cialdonai proprio nella piazza del duomo di Firenze, oltre il Battistero, in prossimità del Canto de’ Pecori.

Ferro di Pisa (1500)
Ferro di Pisa (1500)

Praticamente la cialda sorge, come fosse un sole, al primo albeggiare dell’Umanesimo e rifulge di luce assoluta, fino all’apogeo, nel chiaro cielo del Rinascimento, per poi tramontare delicatamente, continuando ad accompagnare la civiltà europea fino all’avvento delle cucine a gas, del fast food, delle merendine confezionate che hanno spazzato via tante piccole buone abitudini vecchie di secoli…, ma ci sono cose che non passano mai, perché sono profondamente radicate dentro di noi; forse perché tramandate nell’inconscio collettivo o perché son magiche. Sì, la cialda è un dolce magico, tanto magico che qualcuno aveva a temere che lo facessero le streghe per celebrare nei  sabba il demonio, attraverso una eucaristia diabolica. Questo, in un certo senso, è vero se per streghe o stregoni si intendono tutti coloro che sono legati ad una cultura antica, pagana, che fino dalle origini della Civiltà attraversa la Storia e viene tramandata da “iniziati” a “iniziati” e che, per le sue caratteristiche intrinseche, sfugge alla normalità tranquillizzante della cultura ufficiale, normata e accademica.

In buona sostanza, chi addenta una cialda si mette in bocca duemilasettecento anni di storia e di simboli; magari non lo sa ed è felice di gustare un dolce, buonissimo e non solo, forse addirittura … “appassionante”?

Coloro che fanno le cialde seguendo la ritualità antica, usando i ferri degli antenati e il fuoco vivo, invece lo sanno bene: ogni anno proponiamo un corso a quanti vogliono diventare Maestri Cialdonai e la Confraternita ne conta oramai più di cinquecento sparsi in Italia e in Europa; si inizia il percorso con la conoscenza dei Misteri di Dioniso, il dio del Vino, celebrato nel Carnevale, la festa del Carro Navale di Iside, colei che parte con la nave alla ricerca dei pezzi dello sposo Osiride, dio del vino egiziano, assassinato dal cattivo dio Seth, per ricomporlo, riportarlo alla vita e generare Horus, dio della vita e della luce. Per celebrare il mistero di un dio che muore e risorge, ecco la cialda del Carnevale, fatta di farina bianca e zucchero, accompagnata da una calice di vino, Vino Santo ovviamente. Nella mia collezione ho un ferro inciso per il Carnevale di Viareggio del 1909; su di un piatto figura una barca a vela e sull’altro lo stemma dei Savoia e ci documenta il legame tra cialde e Carnevale, ancora forte nel ‘900.

Nel mito di Dioniso è centrale il racconto delle sue nozze con la principessa cretese Ariadne; ecco che Dioniso si trova coinvolto anche nella sfera del matrimonio: ai suoi Misteri venivano iniziate le giovani promesse spose appena prima della celebrazione delle nozze, come raccontano gli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei e, ancora una volta, troviamo la cialda in veste di dolce degli sposalizi. In  questa occasione la cialda è però diversa  nell’impasto: nel dolce del matrimonio è presente l’uovo, potente simbolo archetipo e la presenza, o assenza, dell’uovo nel dolce determina una profonda mutazione di significato dello stesso.

Per comprendere questa differenza prendiamo in considerazione la Canzone carnascialesca dei Cialdoni, composta da Lorenzo il Magnifico, inventore di Carnevali fiorentini del ‘400: il testo poetico ha due livelli di lettura, quello descrittivo letterale e quello allusivo, erotico, nascosto: verso dopo verso, i Cialdonai spiegano alle donne come si fanno le cialde, inneggiando in realtà allo sfrenamento della lussuria e a pratiche sessuali “trasgressive”, “contro natura” consigliate anche alle donne. Seguendo questo dolce, siamo dunque caduti nell’abisso tenebroso degli inferi, nel dominio della Lussuria e siamo perfettamente in linea con la dimensione orgiastica dei baccanali greci e romani che prevedevano il sacrifico del capro, il banchetto con le carni crude del dio e l’avida bevuta del suo sangue, rappresentato dal vino, per giungere infine, trascinati dall’ebbrezza, all’abbandono totale al vortice dei sensi. L’assenza dell’uovo nella cialda utilizzata per l’eucaristia dionisiaca, ci dice che il sesso nel Carnevale si pratica non per la riproduzione, bensì per il raggiungimento del mero piacere fisico.

Quando questo dolce sorge sulla scena del matrimonio, riesce invece a raggiungere una somma altitudine di contenuti ideali, una splendida luminosità: in questo “mezzogiorno” simbolico, i due piatti arroventati sulla viva fiamma, destinati a schiacciare l’impasto, rappresentano l’uomo e la donna i quali, ardenti per il fuoco dell’amore, si congiungono nel sacro vincolo del matrimonio, qui rappresentato dalla cerniera che li tiene legati, al fine di generare un dolce frutto, la cialda, che simboleggia la prole; sulla cialda rimane impressa l’impronta, che oggi diremmo “genetica”, degli sposi rappresentata dagli stemmi delle Casate, incisi sui ferri dei nobili, o dalle iniziali dei nomi incise nei ferri del popolo. L’uovo, in questo impasto, rappresenta l’augurio della fertilità e marca  la forte antitesi rispetto al dolce per il Carnevale: nel matrimonio il rapporto sessuale è “secondo natura” ed è finalizzato alla riproduzione.

Se, grazie ai suoi Cialdonai, Vicopisano conserva oggi la tradizione della cialda come dolce del Carnevale, il vicino paesello di Calcinaia, con la sua Sagra della Nozza, promossa dalla Deputazione di Santa Ubaldesca Taccini, custodisce la tradizione ben più rassicurante del dolce matrimoniale. In ogni luogo dove il dolce è arrivato, cambia nome e si intreccia con le tradizioni locali. Eccoci a Pistoia, nel monastero di Santa Brigida; le monache fabbricavano le pallide ostie per i preti, mentre loro, che la messa non la potevano celebrare, una volta finito il lavoro di produzione, brindavano con il Vin Santo, sgranocchiandosi gli allegri “brigidini”; certo, le monache non potevano essere trasgressive, così il dolce lo facevano aggiungendo agli avanzi dell’impasto abbondanti dosi di zucchero, anaci, liquore ed anche l’uovo. Poteva fors’anche essere questo un modo ben gioioso di festeggiare il loro sposalizio mistico con il Signore? Questi brigidini hanno fatto la fortuna dei poveri contadini di Lamporecchio che al tempo dell’Unità d’Italia iniziarono a viaggiare fino a Firenze, armati di pinze e di braciere, per venderli nelle piazze; cambiarono poi il  “caval di San Francesco” con i barrocci, dopo iniziarono a viaggiare coi motocarri e a invadere tutte le fiere della Toscana; infine nacquero le grandi aziende dolciarie come la “Rinati” che esportano in tutta Europa.

Oplatky di Karlovy Vary
Oplatky di Karlovy Vary

Sempre, nel suo diffondersi in Italia e in Europa, la cialda ha viaggiato in compagnia del Vino Santo e la troviamo sparsa nella maggior parte dei paesi europei; “gaufres”, così si chiameranno le cialde nelle Fiandre, e qui appaiono in opere di artisti celebri, Bruegel e Bosch, intitolate “Combattimento tra il Carnevale e la Quaresima”, specchio del conflitto tra le due componenti dell’identità europea: l’anima cristiana, l’anima pagana.  Waffel si chiamano in area tedesca e waffle in area anglosassone, oplatky in Boemia, dove sono ancora oggi prodotti nella località termale di Karlovy Vary; da lì, ai primi del Novecento, gli oplatky furono portati a Montecatini in Val di … Nievole da una famiglia di ebrei: i Gley, nacque così la “cialda di Montecatini” la cui fortunata produzione i Gley dovettero abbandonare in seguito alle famigerate Leggi razziali volute da Mussolini e firmate dal Re d’Italia.

Tornando all’Italia dove, oltre all’antichità della tradizione, si registra anche una intensità della stessa, troviamo i canestrelli a Borgofranco d’ Ivrea, terra di vini e di Carnevale, le cialde e le nozze dell’area pisana; a Vetulonia, in Maremma, si fanno cialde per festeggiare San Guglielmo duca d’Aquitania che fu gran peccatore, ma poi divenne gran santo nella povertà e nell’astinenza. Foligno festeggia Santa Lucia con una grande produzione di cialde. Sulmona vanta le sue Nevole o Nuvole nome simile a quello usato in Spagna dove si chiaman Neules; anche il resto della terra d’Abruzzo si orna di neole, pizzelle e ferratelle.

Ferro da cialda
Ferro da cialda

Per fare le cialde c’è chi, oggi, usa la piastra elettrica; siccome però il primo piacere è quello di farle e quello di mangiarle o di farle mangiare viene come secondo, per godere appieno della ritualità che il dolce richiede è bene utilizzare i ferri antichi e la viva fiamma. Io ho da parte quasi un centinaio  di ferri, databili in un arco temporale che va dal XV al XX secolo; i più antichi sono i più belli, incisi come erano incisi gli specchi degli Etruschi e, voglio ricordarlo, lo specchio è uno dei giocattoli della cista di Dioniso bambino; giocattoli simbolici che servivano a illuminare l’iniziando sulla via dei misteri del dio.

Se vi fosse venuta l’acquolina in bocca e la curiosità di assaggiare le nostre cialde, vi aspettiamo a dicembre nella magica atmosfera del Presepe vivente di Equi Terme,  E’ quello il momento che i Cialdonai lasciano la torre della Rocca di Vicopisano e scendono in piazza per esibirsi e dare così anche un contributo a quello che è, senz’altro, uno dei più bei presepi d’Italia. Nella loro bottega di Equi, dove un grande braciere scoppia di fuoco, i ferri fumanti vengono innalzati in aria aperti e fumanti, prima di essere imburrati e di  ricevere l’impasto, uno spettacolo che catalizza i visitatori che passano a centinaia, già rapiti dall’estatica immagine della bellezza delle case antiche, delle luci,  delle rocce e delle acque che scorrono in rivi e in cascate; mentre si stanno avvicinando alla mistica visione della Natività, ospitata nel cupo ventre della montagna, passano dai Cialdonai, assaggiano questo dolce pagano e, con esso, ricevono sempre un caldo messaggio di amore e di gioiosità e, forse, anche una scintilla di illuminazione…

(foto: dell’Autore)