Appena uscito è già un successo editoriale, la penna di una vera giornalista d’inchiesta, diretta osservatrice della caccia a Julian Assange.
Partiamo dall’autrice. Stefania Maurizi – che oggi scrive per Il Fatto Quotidiano – è considerata una delle giornaliste più vicine a Julian Assange da sempre: fu la Maurizi, infatti, a diffondere in Italia i documenti di WikiLeaks. Ha partecipato come testimone al processo – ancora in corso a Londra – per l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, ed è stata anche lei vittima dell’attività di spionaggio dei servizi segreti americani all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador dove Assange fu ospitato per anni accogliendo la sua richiesta di asilo politico.
The Guardian il 10 novembre 2017 le dedica praticamente un articolo: “È incredibile per me che questi documenti su un processo in corso e di tale rilevanza siano stati distrutti. Penso che abbiano qualcosa da nascondere” pubblica l’autorevole quotidiano britannico, il Crown Prosecution Service ha ammesso con imbarazzo di aver distrutto le email chiave relative al fondatore di WikiLeaks: “La Maurizi è la giornalista che ha sollecitato sia il CPS che la sua controparte svedese per le informazioni relative ad Assange e all’estradizione”. Di Stefania si occupa anche il Washington Post, il 5 luglio 2013, quando difende Sarah Harrison, la giovane giornalista descritta come il guardiano di Julian: “Sarah non è lì a causa di una relazione con Julian” dice Stefania Maurizi, giornalista della rivista italiana l‘Espresso che ha mantenuto contatti settimanali con Harrison negli ultimi tre anni. “Sarah è lì per le sue capacità; lei è una persona molto abile. Lei crede in quello che sta facendo”.
Alle fine di luglio 2009, Julian Assange contattò Stefania Maurizi per la prima volta: avevano un documento sull’Italia e volevano l’aiuto di un giornalista per verificarne l’autenticità e l’interesse pubblico. Sarà l’inizio di una lunga storia.
Assange e WikiLeaks significano ancora a distanza di anni, la Verità che sconvolge l’Oscurità del potere. Rileggere nella versione attuale questa storia attraverso le pagine della Maurizi, aiuta a comprendere anche un pezzo della storia della nostra generazione. Una storia lunga dieci anni sulla quale persiste lo spirito di vendetta dell’inconfessabile retroscena delle dichiarazioni e delle parate ufficiali date in pasto all’opinione pubblica mondiale.
Assange, chiuso in una cella di massima sicurezza della Belmarsh Prison di Londra, da allora non ha più conosciuto la libertà, da quando rese pubblici migliaia di documenti riservati che lo tengono appeso alla pena di morte per avere violato una legge statunitense del 1917, l’Espionage Act. Forse, è l’unico caso nella storia politica internazionale dell’era moderna, di una spia che ha rivelato segreti capitali senza farlo al servizio di nessuno: solo della Verità.
Questo merito è stato riconosciuto a Julian Assange, perché durante il processo attualmente in corso a Londra si sono pronunciati in sua difesa non solo autorevoli giornalisti d’inchiesta internazionali, ma anche il Consiglio d’Europa e l’Onu. Un pezzo del mondo, forse, ha compreso che l’informazione della verità supera ogni legge: perché non esiste diritto costituzionale nel mondo libero che non contenga tra le sue radici la libertà di informazione e il diritto alla libera informazione dell’opinione pubblica. Senza alcuna condizione. Neppure quella della falsa necessità di difesa degli interessi nazionali, come ci insegnò Hannah Arendt.
L’opera rivelatrice di Assange, tuttavia, non sarebbe stata possibile o comunque non avrebbe potuto provocare il terremoto che ha provocato, senza il fiato e il coraggio dei giornalisti che come Stefania Maurizi hanno messo in gioco la propria stessa vulnerabilità per onorare la libertà di stampa. Dice Stefania: “Il giornalismo è la mia passione e la mia professione”. Potremmo aggiungere qualcosa di più: è l’esempio di cosa significa essere e fare giornalismo. Anche nel XXI secolo. Anche in Italia.