L'Intrigo del Regio

L’INTRIGO DEL REGIO – 2. Nastasi e la paura del Potere

di ALDO BELLI – Una crepa nel sistema della Casta che si è cercato di chiudere con il commissariamento del Teatro Regio di Torino.

Il Teatro Regio di Torino non è il Pio Albergo Trivulzio, il fantasma che lunedì 17 febbraio 1992 improvvisamente apparve a Milano spalancando in Italia i cancelli al Cimitero della Prima Repubblica. Potrebbe però trasformarsi in un ritorno al futuro, nella trama irrisolta del male oscuro nazionale. Oltre 500 milioni di euro (ovvero, più di 1.000 miliardi delle vecchie lire) di debiti suddivisi in quattrodici Fondazioni Lirico-Sinfoniche è un importo assai superiore di quello che riempì la fossa collettiva di Tangentopoli. Sempre che non si pensi alla corruzione come ad una cesta di mele marce.

Una nazione non va in rovina per una mela rubata, la rovina avviene quando l’utilità personale prevale sull’interesse dello Stato. Non è indispensabile che ci sia materialmente una mazzetta che passa da una mano privata ad una mano pubblica. Per ferire mortalmente la democrazia è sufficiente piegare la gestione della cosa pubblica agli interessi personali di chi governa: che è l’opposto di un sistema fondato sulla pratica dei diritti dei cittadini, sull’uguaglianza e sull’etica pubblica dei meriti, sulla pratica della trasparenza.

I partiti, in Italia, hanno perso da tempo l’identità, voluta dalla Costituzione: quella cioè, di soggetti della democrazia portatori dell’interesse generale ed essi stessi animati da una vita democratica, viceversa ridotti all’autoreferente potere di pochi individui che decidono le sorti del paese. La tirannia di un principe non avvicina uno Stato alla sua rovina più di quanto non lo faccia l’indifferenza al bene comune in una repubblica. Tutto è perduto quando invece degli amici e dei parenti del principe in una tirannia, occorre fare la fortuna degli amici e dei parenti di tutti quanti hanno parte al governo in una repubblica.

Il motivo per cui Tangentopoli è rimasta una rivoluzione mancata è tutto lì: nell’illusione della ghigliottina come rito purificatore collettivo, falsa espiazione di un sistema che va oltre i singoli individui perché appartenente al carattere di una nazione. La Prima Repubblica è morta, e adesso abbiamo di fronte la dittatura della maggioranza della quale scrisse Alexis de Toqueville: aggravata dal fatto che in Italia non esistono esattamente una maggioranza ed una opposizione parlamentare, poiché il perfezionamento autoritario si è completato con le maggioranze che si formano al governo della nazione senza alcuna distinzione di visione del Paese e di programma politico. Solo le anime pie hanno confuso in questi mesi la dittatura della maggioranza con l’arrivo di Mario Draghi: Draghi viene da lontano, per porre fine alla lunga tragedia della democrazia italiana traghettando l’Italia verso la vera Seconda Repubblica.

L’Italia sulla quale ha fatto leva il residuato bellico della Prima Repubblica è quella che già nel 1500 Machiavelli aveva teorizzato nel fine che giustifica i mezzi, e che Giacomo Leopardi aveva illustrato nei primi anni del 1800, postumi alla pietra miliare del Guicciardini che Francesco De Sanctis riprese con i vizi della “razza italiana”: la simulazione, l’opportunismo, l’interesse per il tornaconto individuale, la divaricazione massima tra il pensiero e l’azione. Non si incontra nella storia umana, razza peggiore di quella dei figli che ripudiano la figura dei padri per evitare il confronto con coloro che li hanno preceduti: così rimuovendo la virtù che nasce dalla misura del bene e del male per compiere il solo disegno del potere della propria generazione.

Questo è ciò che è accaduto in Italia: con i demo-comunisti sopravvissuti alle fosse comuni della Prima Repubblica, che hanno rimosso la Storia insieme ai loro natali per essere liberi di trasformare il Potere in un loro paradiso terrestre senz’anima. Non è una coincidenza attribuibile al caso che all’apice di questa Casta si trovi il ministro della Cultura Dario Franceschini, che della razza demo-comunista è un esemplare perfetto, e da vent’anni, ininterrottamente in un modo o nell’altro, al governo del Paese. Non stupisce che ambisca a diventare presidente della Repubblica Italiana.

L’Intrigo del Regio potrebbe aprire una crepa nella dittatura della maggioranza: poiché la Casta della Lirica e della Cultura è solo un campo del Potere, ma di un Potere che fa capo alla medesima gerarchia che di questa dittatura rappresenta l’asse portante. Non si spiegherebbe altrimenti la saldatura della Nuova Alleanza tra il Partito Democratico e il Movimento 5Stelle celebrata a Torino con il tempestivo commissariamento del Teatro Regio e l’invio di un proconsole fedele al Sistema della Lirica e al Gran Prevosto del Collegio Romano. Un segno di forza, ma al tempo stesso di paura.

Il Gran Prevosto del Mibact, come Richelieu alla corte francese, usa l’arguzia di Palazzo. E il cardinale Armand-Jean Richelieu non sarebbe mai passato alla storia di Francia senza i servigi che rese alla corona, come sappiamo ben ricompensati.

Salvatore Nastasi – il segretario generale del Ministero della Cultura – di fronte al vaso di Pandora scoperchiato, prima offre con candore la propria personale ignoranza dei mali fuorusciti dall’orcio; e poi ne indica l’eventuale – se mali ci sono – capo espiatorio. “Sono stato nominato segretario generale il 13 settembre 2019” dice Nastasi, per cui “conosco la vicenda solo dal maggio 2020”. In Italia, anche l’ultima comparsa del Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio, il teatro più piccolo forse al mondo, sa che Salvatore Nastasi sta al ministro Dario Franceschini come Richelieu a alla corona. Dal 2004 al 2015 Nastasi aveva svolto le funzioni di direttore generale per lo Spettacolo dal Vivo del Mibact.

Il candore di Palazzo si illumina poi sul modo con il quale il segretario generale di un ministero in Italia verrebbe a conoscenza di ciò che sta accadendo in un Teatro come il Regio di Torino, che non è il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio: Nastasi ne è venuto a conoscenza, potremmo dire per caso, “da quando sono stato invitato a partecipare ad una conference call” che si tenne il 28 maggio 2020, “con l’assessore alla Cultura di Torino e i rappresentanti delle fondazioni bancarie, in merito alla difficile situazione finanziaria del Teatro”. E quindi?

La vigilanza sulla Fondazione è esercitata dal direttore generale per lo Spettacolo che attualmente è il dottor Onofrio Cutaia; nell’ambito della vigilanza il dottor Cutaia si occupa di valutare i bilanci ed eventualmente di proporre al ministro le azioni previste dalla legge nei confronti dei Teatri. Il segretario generale invece ha funzioni di coordinamento tra le direzioni generali e di cerniera tra le direzioni generali e il ministro. Quindi la funzione del direttore generale è tecnica, invece quella del segretario generale è sia tecnica che politica”.

Al Mibact, probabilmente, non è arrivata la logica di Aristotele: se “nell’ambito della vigilanza il dottor Cutaia si occupa di valutare i bilanci ed eventualmente di proporre al ministro” e il segretario generale dello Spettacolo, cioè il dottor Nastasi “ha funzioni di coordinamento tra le direzioni generali e di cerniera tra le direzioni generali e il ministro“: come può Salvatore Nastasi essere venuto a conoscenza di quanto stava accadendo al Teatro Regio di Torino solo per caso attraverso l’invito ad una conference call con l’assessore alla Cultura di Torino Francesca Leon?

Il silenzio mediatico, intenzionale o per sottovalutazione, ha ignorato il vaso di Pandora scoperto dalla Procura della Repubblica di Torino, lasciando credere che tutto riguarderebbe un “mariuolo” colto con le dita nella marmellata. L’Intrigo del Regio, pure senza la suggestione delle mazzette del Pio Albergo Trivulzio e l’istinto primordiale della ghigliottina sulla piazza, rappresenta un paradigma della Casta in Italia. Anche nella vita delle nazioni, talvolta, capita che un neo apparentemente banale si riveli un tumore da contenere affinché non diventi mortale: la differenza è che lo sventurato malato cerca subito di trovare una cura, mentre il Potere si preoccupa di nasconderlo. Ciò che è emerso a Torino potrebbe essere lo specchio del perché siamo giunti ad indebitare i cittadini italiani oltre 500 milioni di euro per mantenere la Casta.

Nelle procure non esiste solo il registro degli indagati, c’è anche il “Fascicolo K”: l’equivalente di nulla o di una cluster bomb, le bombe a grappolo che al momento della detonazione rilasciano una grande quantità di piccole bombe sull’area del bersaglio, senza avere però un’esatta cognizione fin dove possano arrivare a colpire.

(continua)