di ALDO BELLI – Accertata dal Ministero delle Finanze la responsabilità dell’Amministrazione Fassino (PD) nel disastro finanziario del Regio.
Negli Stati Uniti un’ispezione del Dipartimento del Tesoro non potrebbe mai finire in un cassetto. Dubito anche in Europa. In Italia, invece, accade: e il cassetto ha molte forme. Una è la prescrizione del danno erariale: cinque anni, un tempo comunque sufficiente per concludere le indagini preliminari trattandosi fondamentalmente di carte, per cui se tutto cade nell’oblio non si incolpi la prescrizione. La seconda forma del cassetto senza fondo, è il silenzio pubblico: tranne poche eccezioni, il giornalismo italiano ha perso l’anima di frugare nei cassetti.
Il 22 luglio 2019 un “plico informatico” partiva dal palazzo romano di Via XX Settembre, dove ha sede il Ministero delle Finanze. Reca la firma del Ragioniere Generale dello Stato. Destinatario: il Nucleo Operativo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Torino. L’email contiene la “Relazione sulla verifica amministrativo-contabile presso la Fondazione Teatro Regio di Torino eseguita dal 22 gennaio all’8 febbraio 2019” (reca la data del 18 aprile 2019). La Guardia di Finanza consegna il plico al procuratore aggiunto Enrica Gabetta e al pm Elisa Buffa che stanno conducendo le indagini sul Regio. Intanto, un altro fascicolo è stato aperto presso la Corte dei Conti del Piemonte.
Il 3 novembre 2020 il vice procuratore generale della Corte dei Conti chiede al Commissario governativo del Teatro Regio, Rosanna Purchia, di mettere formalmente in mora i membri del Consiglio di Indirizzo e del Collegio dei Revisori dei Conti: “risarcimento danni per responsabilità erariale ex art.1219 e 2943 c.c.“. Solo Toscana Today pubblica la notizia.
Il Commissario Purchia il 7 novembre 2020 esegue la richiesta con una raccomandata postale a.r.: tra i destinatari c’è anche l’attuale sindaco Chiara Appendino e l’ex sindaco di Torino Piero Fassino (numero uno del potere politico torinese e numero due della corrente maggioritaria del partito al governo nazionale, i Dem capeggiati da Dario Franceschini che oltre ad essere il capo delegazione del Partito Democratico è anche Ministro della Cultura).
Nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva di condanna: noi, almeno, la pensiamo in questo modo, ma lo pensiamo indipendentemente che l’interessato si chiami Silvio Berlusconi o Piero Fassino.
A certificare la responsabilità dell’ex sindaco Piero Fassino nella voragine finanziaria che ha condotto il Teatro Regio al commissariamento – e a far uscire dalle tasche dei cittadini italiani venti milioni di euro per tappare la falla, anche se il ministro Franceschini e la signora Purchia li hanno fatti passare come prebenda giustificata dalla pandemia – è il Ministero delle Finanze della Repubblica Italiana.
Le violazioni della legge sono molteplici: ma convergono tutte sulla responsabilità che tira in ballo il potere del Partito Democratico e della CGIL, il sindacato egemone al Teatro Regio.
Iniziamo dal fallimento del Teatro Regio nascosto fin dal 2011. Perché in italiano è così che si chiama un ente che perde il proprio patrimonio e non è più in grado di assolvere normalmente al pagamento dei debiti: il principio vale per tutti, non solo per un’azienda familiare di frutta e verdura.
Piero Fassino viene eletto a Palazzo Civico il 16 maggio 2011 e rimane sindaco di Torino fino al 30 giugno 2016. Prima di lui c’era un altro sindaco PD (Sergio Chiamparino) e il sovrintendente del Teatro Regio (Walter Vergnano) è lì dal marzo 1999, notoriamente di area PCI-PD.
Il 21 dicembre 2011, il sindaco Fassino presentò in Consiglio Comunale una delibera (che venne approvata) per conferire alla Fondazione Teatro Regio una serie di beni immobili: valore stimato 9.650.000,00 euro; poi la Giunta Comunale il 28 dicembre approva il conferimento “utilizzabile sia per la gestione sia in via straordinaria a copertura perdite maturate“.
In data 30 dicembre 2011 il Comune di Torino e la Fondazione Teatro Regio stipulano un protocollo d’intesa per definire il percorso di trasferimento dei diritti superficiari sugli immobili. Ma “gli atti di costituzione dei diritti di superficie sono stati formalizzati con atto del 26 aprile 2012 (rogito del Segretario Generale rep. APA 569)”: Viceversa, Il Teatro Regio iscrive nel bilancio 2011 i 9.650.000,00 euro come apporto patrimoniale per azzerare la perdita 2010 (€ 4.078.138,00), destinando integralmente il resto (€ 5.571.862,00) alla gestione corrente. In questo modo, il bilancio del Teatro 2011 chiude in utile: di appena 6.303 euro.
Il principio di competenza del bilancio è stato violato, certifica il Ministero delle Finanze: perché “la costituzione dei diritti superficiari è avvenuta nel 2012, per cui solo il bilancio di questo esercizio avrebbe potuto beneficiarne, non essendosi perfezionato alcun atto 31.12.2011”. Tradotto: il bilancio 2011 del Teatro se non fosse stato falsato, avrebbe dovuto chiudere in perdita di circa 10 milioni di euro. Ma se si trattasse solo di una questione contabile, e riferita all’anno 2011, sarebbe ancora poco.
“Nel registrare gli immobili”, infatti, “la Fondazione ha utilizzato il valore indicato nella deliberazione di conferimento” del Comune (“stimato dal settore Valutazioni immobiliari”). “Più correttamente si sarebbero dovute applicare analogicamente le disposizioni dettate dal codice civile (articoli 2343 e 2465 c.c..) per i conferimenti di beni in natura nelle società di capitale, operazioni che richiedono una perizia di stima giurata. Perizia giurata non fatta. “Tanto più che, nel nostro caso il conferimento valeva, secondo quanto espressamente detto in delibera, a scongiurare l’applicazione dell’art.21 c.1 d.lgs.n.367/1996, avendo la perdita inciso sul patrimonio netto per oltre il 30%: esso, perciò, era assimilabile ad un conferimento volto alla ricostituzione del capitale sociale, ridotto per perdite al di sotto del limite legale”.
Ciò non bastasse, “i diritti conferiti consistevano” in immobili “di difficile alienabilità”: il che “appare contrario ai principi di veridicità, correttezza e prudenza averli iscritti fra i contributi in conto esercizio, non essendo dotati di un grado di liquidità sufficiente a consentirne l’utilizzabilità per far fronte ai costi di competenza. L’operazione ha così alterato la corretta rappresentazione delle condizioni economiche e finanziarie della Fondazione, che avrebbero richiesto il ricorso alle procedure previste dall’art.21 d.lgs. n.367/1996. Una simile operazione, inoltre, non pare in linea con il rispetto sostanziale del vincolo di bilancio, che deve ispirare l’azione delle fondazioni liriche, ai sensi dell’art.3, c.2, d.lgs. n.367 /1996″
L’operazione – censura infine il Ministero delle Finanze – evidenzia anche che gli amministratori della Fondazione non hanno fatto l’interesse del Teatro Regio: “non pare rispondere a criteri di diligente cura degli interessi dell’Ente” in quanto “la Fondazione ha acquisito immobili di cui o già godeva a titolo gratuito (l’edificio sito in strada Settimo 411) o che risultavano occupati a titolo gratuito da altre istituzioni pubbliche (l’edificio sito in via S. Francesco da Paola 27) ed erano, per ciò solo, alienabili con estrema difficoltà;, inoltre, “per farlo si è caricata di tutti gli oneri connessi alla loro gestione ordinaria, oltre alle spese necessarie ad ottenere la regolarità edilizia, agli adempimenti catastali e alle spese d’atto. Accettando tali immobili, di scarsa utilità per la Fondazione, questa ha, inoltre, avallato di fatto la decisione del Comune di Torino di versare il proprio contributo in conto esercizio non in denaro, ma in natura, con effetti pregiudizievoli sull’esposizione debitoria e, quindi, sui costi di finanziamento dell’Ente”.
Nessuno, di chi aveva il compito per legge di vigilare e controllare sulla gestione del Teatro Regio di Torino (Ministero della Cultura, collegi dei revisori, eccetera) ha visto nulla. E la vista doveva essere ben strabica, considerando che il Comune di Torino e la Fondazione “hanno reiterato tale condotta nel 2013“: quando la delibera della Giunta Comunale Fassino del 31 dicembre 2013 sostituisce “una corrispondente quota del contributo ordinario, con il trasferimento della proprietà del sedime del capannone in via Altessano 45, consolidandone la piena proprietà in capo alla Fondazione, nonché la proprietà piena di un immobile adiacente, per un valore stimato complessivamente in € 3.408.000,000”.
In conclusione. “Può ben dirsi, quindi, che la causa principale della grave situazione debitoria, in cui versa la Fondazione, sia rappresentata dalla decisione dell’Amministrazione Comunale di conferire immobili a titolo di contributi in conto esercizio, in luogo dell’erogare denaro. Il conto economico della Fondazione non ha correttamente rappresentato l’effettiva situazione economica e finanziaria dell’Ente, registrando fra i proventi apporti che più correttamente andavano considerati come contributi in conto capitale. A ciò si aggiungano le alterazioni prodotte nel 2011 e nel 2013, dalle citate violazioni del principio di competenza”.
“Gli organi della Fondazione, accettando un conferimento di beni in luogo di un’erogazione di denaro a titolo di contributo alla gestione corrente, hanno, inoltre, avallato una decisione dell’Amministrazione Comunale che appare, ad un sommario esame, non conforme alla normativa vigente, in quanto con le operazioni evidenziate, il Comune di Torino ha dismesso immobili per finanziare spesa corrente: in tal modo ha di fatto eluso l’art.162, c.6 del TUEL (dato che le ipotesi in esame non rientrano nella fattispecie di cui all’art.3, c.28, legge 24.12.2003, n.350) e, limitatamente al secondo apporto patrimoniale, anche l’art.1 c.443, della legge 24.12.2012, n.228, in base al quale “i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento”.
Le violazioni di legge riguardano, dunque, non solo la Fondazione Teatro Regio, ma anche la condotta amministrativa del Comune di Torino: “l’art.3.1 dello statuto indica il Comune fra gli enti pubblici che concorrono alla Fondazione “per legge”, richiamando con ciò l’art 6, comma 1, lettera b) e comma 3 del d.lgs. n.367/1996, disposizione che rimette agli organi comunali di definire il quantum del proprio apporto, ma non l’an” (il come). “Ne deriva che l’Amministrazione Comunale può certo definire discrezionalmente il contributo in relazione alle disponibilità del proprio bilancio e valutare se effettuare un apporto patrimoniale al fondo di dotazione o un’erogazione in denaro al fondo di gestione, ma non può utilizzare la Fondazione quale strumento per “confondere” partite correnti e partite in conto capitale, eludendo i vincoli posti dalle norme sull’ordinamento degli enti locali“.
“La corretta impostazione dei bilanci 2011 e 2013 avrebbe fatto emergere la grave perdita in realtà maturata in tali esercizi, che, cumulata con quella del 2010, dà ragione della straordinaria crisi di liquidità che la Fondazione si trova ancora ad oggi ad affrontare”.
L’esito della verifica del Ministero delle Finanze aggiunge, così, un altro tassello all’Intrigo del Regio che ha spinto il ministro della Cultura Dario Franceschini al commissariamento del Teatro: per non fare emergere il disastro politico di Piero Fassino e del PD, come solo Toscana Today ha sostenuto fin dalla nomina del commissario Rosanna Purchia. Con il placet del sindaco cinquestelle Chiara Appendino e l’adesione della CGIL.
Il Teatro Regio di Torino non è il Pio Albergo Trivulzio di Milano, eppure il denaro pubblico non fa distinzione a seconda di dove viene gestito. Ma tutto tace. Probabilmente, per le penne del giustizialismo e dei primi della classe del giornalismo di sinistra e progressista, sarebbe stato diverso se al posto della Casta del PD fosse stato coinvolto Silvio Berlusconi, o Alessandro Sallusti, o Vittorio Feltri o Matteo Salvini o Giorgia Meloni.