MASSIMO FRANCO. Il giornalismo che diventa storia

di ALDO BELLI – “Il Monastero. Benedetto XVI nove anni di papato ombra” e “Secretum. Intervista con Mons. Sergio Pagano (edizioni Solferino).

Massimo Franco è nato a Roma il 6 novembre 1954. Inviato e notista politico del Corriere della Sera, è stato editorialista di AvvenireIl Giorno e Panorama. È membro dell’ISS (International Institute for Strategic Studies) di Londra. Liceo Classico Statale Ennio Quirino Visconti e laurea in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, visiting Scholar all’università di California, Berkeley, nell’estate del 1986 e 1987 per studiare le lobby statunitensi. Parla inglese, francese e spagnolo. Scrive sul sito statunitense The Globalist, The New York Times, e ha collaborato al sito londinese del Guardian.

Il Monastero. Benedetto XVI nove anni di papato ombra (2022) e Secretum. Intervista con Mons. Sergio Pagano (2024) seguono a L’enigma Bergoglio (2020), tutti editi da Solferino. Li ho letti appena usciti, ne scrivo oggi: perché la vita dei veri libri è assai più lunga dei quaranta giorni che in media rimangono nelle vetrine. Due libri di successo, Il Monastero è uno scoop editoriale non meno di Secretum.

Non so se Massimo Franco abbia fatto il cronista all’inizio della sua carriera. Un termine e una professione (cronista) ormai desueti nel giornalismo italiano (e i risultati si vedono). Il cronista è il “racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione”. Le qualità del “cronista” riassunte da un osservatore speciale come Papa Francesco (55° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali) sono quelle che rendono il giornalista uno storico: la leva del giornalista che all’autoreferenzialità preferisce il lettore, trasmettere e condividere il desiderio di vedere, trasferire anche solo un tassello prima d’ora sconosciuto o dandogli un’interpretazione diversa, entrambi utili a far progredire il pensiero.

La “capacità di andare laddove nessuno va” si materializza sia ne Il Monastero che in Secretum, varcando le segrete stanze vaticane con la curiosità di sfilare dalle ombre e dall’apparente rappresentazione dei media, piccole e grandi luci capaci illuminare una verità più feconda di quella stereotipata. E Franco lo fa con uno stile elegante, sobrio, con la conversazione che non sovrasta né condiziona, ma semplicemente agevola l’apertura delle finestre per lasciare scorrere l’aria.

Franco ha intervistato Benedetto XVI con la pazienza obbligata dai rumori del contesto (le dimissioni di un papa, una successione di rottura delle consuetudini cristallizzate dalla morte di Paolo VI) e dalla comprensibile età dell’interlocutore, lucido ma affaticato, nell’eremo dei Giardini Vaticani dove dal maggio 2023 il vecchio pontefice si era ritirato. Uno dei luoghi più inaccessibili e misteriosi di Roma: “il monastero è la chiave per decifrare quanto è accaduto e sta succedendo” dice subito Franco al lettore nelle prime righe delle 263 pagine che compongono il volume (senza considerare l’utile indice dei nomi a chiusura).

Il rigore del cronista che si cimenta con un personaggio del genere non concede la pennellata frivola che pure è consentita anche in un saggio di storia, ciò nonostante il piacere della lettura arricchito dall’occhio attento di Franco che si posa fino ai particolari delle cose e delle figure che si muovo intorno a Benedetto, diventa anche letteratura. “L’inchiesta è ricca di dettagli, retroscena inediti, episodi gustosi, che possono essere apprezzati anche da chi a differenza dell’autore non è addentro alle cose vaticane; compresi i rapporti con Trump e Biden, il ruolo di Ruini e Bertone, financo i due presunti ‘complotti di morte’, il primo contro Benedetto, il secondo contro Bergoglio” ha scritto Aldo Cazzullo.

E’ sufficiente citare alcuni dei titoli e sottotitoli dei dieci capitoli. Un emerito in ostaggio. La casa degli “invisibili”. Ruini: “Benedetto non ha spiegato perché rinuncia”. La sindrome di Giovanni Paolo II. Perché non sostituisce Bertone. Il lutto dell’aristocrazia “nera”. I “libretti” della discordia. Il cardinale Muller tra ortodossia e scisma. “Mi vogliono a capo dei tradizionalisti”. La lobby del papa emerito. Il Monastero delle donne. Brigitte e le altre. Christine, l’amica di famiglia. Assedio a don Georg. Uno strano pellegrinaggio. “Benedetto non riesce quasi più a parlare”.

Da Il Monastero esce un quadro inedito della personalità di Benedetto XVI. Ne riduce fortemente la lettura di molti che lo hanno considerato il predestinato determinato nell’ambizione umana di assurgere al soglio di Pietro. “L’uomo di vetro che potrebbe rompersi alla prima folata di ponentino” rende l’idea della fragilità dell’uomo avvezzo agli studi piuttosto che al potere, di fronte al quale una volta eletto si sente impotente; e tormentato si affida infine al giudizio divino.

Benedetto non ignorava la portata del gesto. “Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate… Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino… Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro…”. Le forze fisiche, certamente. Ma il quadro che emerge dal libro di Franco è quello del papa ostaggio dello scontro tra le due grandi lobby del Vaticano, il legittimo confrontarsi di due visioni opposte del ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo e non sempre riducibili ai deteriori interessi di potere dei vari protagonisti. Uno scontro, io credo, al quale tuttavia Benedetto non si era però sottratto prima di diventare papa.

Le forze fisiche. Padre Federico Lombardi, gesuita, direttore della Sala stampa vaticana e futuro presidente della Fondazione Ratzinger, al momento della rinuncia di Benedetto dichiarò: “Non risulta nessuna malattia in corso che abbia influito sulla decisione. Certo, negli ultimi mesi è diminuito il suo vigore. Non è vero però che fosse depresso”. Franco annota l’interpretazione di monsignor Ganswein secondo la quale “Benedetto non voleva finire come Giovanni Paolo II”, con gli altri che all’ombra della sua infermità si prendevano il potere pezzo dopo pezzo. La conclusione di Massimo Franco è che “viste in prospettiva, le sue dimissioni al rallentatore sono state una sorta di presa di coscienza progressiva dell’impossibilità di cambiare le cose; e dell’inesorabilità con la quale stavano peggiorando”.

Il Monastero rende più leggibili molti passaggi che stanno a cavallo dell’elezione e delle dimissioni di Benedetto XVI.

Tuttavia, di quelle “cose” che voleva cambiare, io penso che Benedetto portava una grande responsabilità per il ruolo da protagonista che aveva avuto durante lo sciagurato papato di Giovanni Paolo II. E’ difficile credere ad un ravvedimento tardivo, o alla silenziosa conservazione di un senso di onnipotenza da tirare fuori una volta vinto il Conclave.

La clausura del Monastero, ed è questo che risalta di inedito nel libro insieme alla vista di come si muoveva il mondo nell’eremo dei Giardini Vaticani, probabilmente nel papa emerito ha invece rilassato la mente dell’uomo di studi, del filosofo e teologo laureato presso la Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga e presso l’Università di Monaco, di professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l’Università di Ratisbona, nominato da Giovanni Paolo II il 25 novembre 1981 Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, divenuto poi anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. E tuttavia, come si legge nel libro, un ritiro eremitico che in quei nove anni non ha significato il distacco dalle vicende terrene della chiesa nel complesso governo di “due papi”.

Alle volte anche lo Spirito Santo, che guida il voto dei cardinali riuniti nel Conclave, può dover fare i conti con la vanità umana dalla quale nessuno è preservato, neppure un papa.

Secretum è il capolavoro giornalistico che per la prima volta apre al grande pubblico, con questa autorevolezza, gli Archivi Vaticani. E lo fa, appunto, con l’autorevolezza di un protagonista diretto quale è monsignor Sergio Pagano.

“Braccare un uomo ombra non è facile” premette Massimo Franco. Pagano è il prefetto di quello che per oltre quattro secoli è stato l’Archivio Segreto Vaticano oggi rinominato da Papa Francesco in “apostolico”. Monsignor Pagano ha lavorato in quelle stanze per quasi mezzo secolo. Il bunker indistruttibile dove sono conservate le carte della storia significa trentunomila metri cubi di superficie distribuiti su due piani, fino a cinquant’anni fa aveva quarantatré chilometri di scaffalature distribuite su tre o quattro piani, oggi sono quasi raddoppiati.

Per il ruolo che la Chiesa ha avuto nel tempo, gli archivi vaticani costituiscono una testimonianza unica dell’evoluzione storica dell’Europa e del mondo. Anche qui, andiamo per titoli. Dall’armadio con dentro ottantacinque sigilli per Enrico VIII (quello dello scisma anglicano) alla lettera di Giacomo Leopardi per non pagare le tasse. Dietro una porta bianca anonima di metallo al secondo piano, “Qui neanche il papa è mai venuto. E’ un’area della quale ho la chiave soltanto io, perché contiene la più gande collezione del mondo di sigilli d’oro e d’argento” dice monsignor Pagano. Nella Torre dei Venti nel 1582 nacque il nostro calendario, nell’Archivio è conservata la stampa originale del Lunario di quell’anno: “E’ una storia intricata, e sanguinosa: per la riforma gregoriana si sono fatte vere e proprie guerre”.

Un bunker. Nel quale è racchiusa “una galleria degli orrori della Chiesa del passato remoto: custodisce peccati e crimini sconvolgenti di uomini e donne di Chiesa” dice Massimo Franco. “Però c’è anche tanto bene. Emergono tante persone sante, buone, che facevano la carità, che soccorrevano i bisognosi, che predicavano al popolo, che suscitavano la fede in Cristo e la pietà: c’è di tutto un po’ come nella vita” rintuzza con gentilezza il “prefetto dei segreti”.

Il processo a Galileo Galilei. L’ordine di Napoleone di cercare la sua scomunica. L’esilio del papa a Parigi. I processi dell’Inquisizione distrutti. I piemontesi al Quirinale. Il maccartismo cattolico e il sodalizio delle spie benedetto da Pio X. Il Sant’Uffizio che vigilava perfino su Roncalli. Sessantuno faldoni comprati dal Vaticano perché fossero dimenticati. La scoperta dell’America e l’arrivo dei protestanti a Roma, e Pio IX che scopre la potenza economica degli USA. Una valigia di dollari e titoli nobiliari per i cattolici americani. Spellman benefattore, tra fiumi di dollari e potere. Pio XII un uomo solo. L’arrivo del primo televisore in Vaticano. Una nave da guerra Usa per salvare l’Archivio Vaticano da Mao. L’illusione di convertire il Giappone. La fabbrica dei santi.

Perché ha accettato di parlare? “Perché il mio mandato sta per scadere e questa era un’occasione buona sia per lei, per conoscere quello che succede, sia per me, per riflettere sul mio passato qui…” risponde monsignor Pagano. “E’ un atto di fiducia nella conoscenza storica che può servire ad altri, provenendo da chi ha vissuto i fatti e li racconta come li ha vissuti”.

Ridurre Secretum ad un titolo ad effetto sulle carte che rivelano e consentono di interpretare il silenzio troppo lungo di papa Pio XII sulla Shoah, quindi, non fa merito alla ricchezza del libro-intervista. Monsignor Pagano, per altro, interviene sul tema dicendo cose coraggiose sulle quali molti altri, storici cattolici e gerarchie vaticane, hanno invece preferito tergiversare. “In quel contesto storico? Con il nazismo pronto ad annientare qualunque conato di resistenza, anche religiosa? Per giudicare bisogna considerare il periodo storico nel quale Pio XII si trovò ad operare”. Ma aggiunge pure: “Dopo tutto quello che si è saputo che avevano fatto i nazisti, una scomunica sarebbe stata ‘doverosa’, se non durante, almeno a guerra finita. Sarebbe servita a poco, credo, e in fondo è servita a poco anche quella del comunismo, ma sarebbe stato un gesto di sconfessione di un regime barbaro che era anche pagano. I papi, sia Pio XI che Pio XII, hanno scritto che effettivamente il nazismo era un’aberrazione, però un atto ufficiale non c’è stato, mentre c’è stato contro il comunismo ateo”.

Chiunque voglia conoscere meglio, e chi lo vorrà in futuro, la storia del Vaticano alle soglie del XXI secolo e le sue implicazioni con la storia contemporanea, non potrà fare a meno di leggere i libri di Massimo Franco. Questo significa il giornalista che fa la storia.