Morire suicida a 20 anni è una tragedia anche se in carcere

di ALDO BELLI – Nel carcere fiorentino di Sollicciano il giovane detenuto avrebbe finito di scontare la pena nel novembre del prossimo anno.

La latitanza dello Stato nella sicurezza delle nostre città ha finito per cancellare ogni forma di pietà cristiana e di senso civile della convivenza umana. La progressiva, crescente, dilatazione dei fenomeni che ci fanno sentire meno sicuri per strada ha spinto verso l’odio un paese come l’Italia tradizionalmente portato, piuttosto, all’eccesso di tolleranza. Se l’immigrazione clandestina non fosse stata gestita mestando l’ipocrisia politica del “catto-comunismo” probabilmente non saremmo oggi così condizionati dallo spirito razzista. Il problema è che ormai il “razzismo” ha perduto il proprio significato di “razza” e “colore”, trasformandosi in indifferenza condita dall’odio verso chiunque disturbi con la propria diversità la nostra quotidianità. Possiamo ringraziare i teorici liberal americani del “politically correct “, che disfacendo le “differenze” in nome di un rinverdito “criptocomunismo comunitario” hanno irritato fin nella pelle l’opinione pubblica che si è sentita denudata della propria identità. La grande informazione di Stato ci sta nascondendo l’onda dilagante di violenza giovanile che va impressionando le nostre città. E quando scopriremo che le baby-gang hanno la pelle bianca cosa diremo? Accade così che il suicidio di un ragazzo di vent’anni nel carcere di Sollicciano, nella civile Firenze e Toscana, diventi una notizia per le fiamme appiccate dai carcerati come protesta, e non per la tragedia umana. A 20 anni è ingiusto morire, anche in un carcere. Non si tratta solo di pietà umana, ma di civiltà di una Repubblica capace di condannare i colpevoli e al tempo stesso di considerarli esseri umani da accompagnare al loro riscatto sociale. E invece, in Italia, non esiste certezza della pena e neppure il dovere dettato dell’art.27 della sua Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Le carceri sono sovraffollate, la percentuale dei giovani e dei minori che usciti dal carcere riprendono a malfare come prima è altissima. E soprattutto, da decenni nessuna politica si preoccupa più di capire, di rispondere al disagio giovanile; e così finisce per diventare tutto normale: normale le scorribande delle baby gang, come il suicidio di un ventenne all’interno di un carcere.

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