Toyota

MOTORI – Toyota e idrogeno

di TOMMASO GARDELLA – Toyota propone un nuovo motore, un 1.6, endotermico che verrà alimentato esclusivamente a idrogeno.

“C’è un eccessivo clamore sulle elettriche. Se la nostra nazione sarà troppo frettolosa nel vietare le auto a benzina, l’attuale modello di business dell’industria automobilistica crollerà”. Era il 17 dicembre 2020 e in piena pandemia, dai risvolti più morali che pratici, Akio Toyoda, presidente Toyota, entra a gamba tesa sulla troppa smania con la quale governi e non, stanno spingendo per eliminare dalla faccia della Terra ogni tipo di trasporto che richieda l’utilizzo di carburanti derivanti dal carbon fossile.

La paura a cui fa riferimento Toyoda slega l’idea, non solo sua, di un futuro caratterizzato da una moltitudine di possibilità che potrebbero tranquillamente soppiantare benzina e diesel e concorrere come proposta all’abbattimento di emissioni del parco auto mondiale. La troppa smania verso l’elettrificazione “tout court”, già in atto, rischierebbe non solo di complicare lo sboccio di nuove alternative ecologiche, ma anche di uccidere l’intera catena industriale automobilista che, nonostante si stia muovendo in quella direzione, non è ancora pronta a un salto così prematuro dal punto di vista organizzativo e produttivo.

L’idea di un futuro multifuel ne ha portata con se una che vuole riprogettare il modo con il quale, fin ora, abbiamo utilizzato l’idrogeno come carburante, non prevedendo più l’utilizzo delle fuel cell (celle a combustibile) ma pompando direttamente l’idrogeno nella camera di combustione.

L’idea non è del tutto nuova, altri costruttori avevano già provato a tracciare una traiettoria nel campo inesplorato di suddetto gas, complicato sia da trasportare tanto da estrarre a tal punto che tutti vi hanno alla fine rinunciato.

Toyota, pioniera da ormai 20 anni dell’elettrificazione, dopo aver lanciato la Toyota Mirai, ibrida a idrogeno, ci riprova e propone un nuovo motore – un 1.6 – endotermico che verrà alimentato esclusivamente a idrogeno e lo monterà su una Toyota Corolla del team ORC Rookie Racing, che prenderà parte alla 24h del Fuji il 23 maggio, per testarne i limiti prestazionali e strutturali. Non contenti, fiduciosi ai massimi livelli della bontà del loro progetto – del quale ancora si sa poco e nulla -, hanno deciso di affidare la vettura anche alle mani di Koji Sato, presidente del reparto sportivo Toyota Gazoo Racing, “molte persone in Giappone associano l’idrogeno alle esplosioni. Quindi dimostrerò che è sicuro guidando io stesso in una gara”.

Che cosa cambia nell’idea Toyota?

Cambia il fatto che l’idrogeno non viene più utilizzato per veicolare energia, come avviene nelle macchine ibride alimentate a celle combustibili. Quest’ultime sono appunto chiamate ibride perché l’idrogeno, stoccato allo stato gassoso, viene utilizzato come reagente nello scambio chimico-fisico che avviene all’interno delle celle a combustibile, al quale meccanismo corrisponde la creazione di energia che alimenta le batterie che, a loro volta, alimentano il motore elettrico della macchina.

Tutto questo circuito, secondo l’idea Toyota, verrebbe spazzato via da un più semplice e tradizionale motore a combustione che invece di bruciare gasolio, brucia idrogeno. E qui risiede il nocciolo che distingue tanto l’idrogeno dal gasolio e che ha spinto i nipponici a riprovarci: l’idrogeno non solo brucia otto volte più veloce del gasolio ma brucia anche tutto, riuscendo in parte a correggere la controversa e intrinseca caratteristica dei motori endotermici, che usano solo il 30% dell’energia che producono, buttando letteralmente via – dai tubi di scarico – gas e calore.

Però…

Ci sono però, ovviamente e almeno per il momento, degli intoppi e controversie da risolvere, che poi sono le stesse motivazioni che ne hanno frenato l’ascesa. Partiamo dal principio, dal momento in cui l’idrogeno viene estratto, più che prodotto.

Nonostante si trovi praticamente ovunque, in natura non esiste allo stato semplice, cioè da solo, ma lo troviamo all’interno di catene che formano l’acqua, piuttosto che un organismo, e quindi dobbiamo essere in grado di estrarlo – producendo energia -. Da questo punto parte la diramazione tra total green e no, perché se questa energia, necessaria per le operazioni di estrazione, venisse prodotta grazie a fonti rinnovabili allora l’intera filiera sarebbe a prova di critiche; se invece questa energia derivasse dall’utilizzo di carbon fossili capite bene che saremmo al punto in cui si ritrova attualmente l’auto elettrica: inutile avere un macchina che inquina fisicamente zero ma che dietro, per produrla, c’è tutto tranne che azioni a salvaguardia dell’ambiente.

Oggi giorno sono due, sostanzialmente, i maccanismi più utilizzati per l’estrazione dell’idrogeno sono entrambi lavori che vengono fatti sotto commissione, molte volte per le università o centri di ricerca, ed entrambi non riuscirebbero a garantire l’intera richiesta mondiale di idrogeno. Il primo è lo steam reforming un processo nel quale vengono impiegati metalli pensanti – che rilasciano i famosi gas NOx, quelli al centro dello scandalo diesel gate WV – trattati con getti di vapore acqueo ad oltre 200 gradi, grazie al quale viene estratto il 95% dell’idrogeno mondiale; l’altro è per elettrolisi, separando le molecole di idrogeno da quelle di ossigeno tramite calore.

Una volta estratto bisogna poi stoccarlo e trasportarlo, cosa non proprio semplice viste le proprietà che caratterizzano questo elemento. Allo stato liquido, riprendendo il caso BMW, è necessario stoccarlo all’interno del veicolo in contenitori refrigeranti in grado di trattenere l’idrogeno ad una temperature di -253 gradi per evitare il suo passaggio allo stato gassoso. Per stoccarlo allo stato gassoso invece, un po’ più semplice ma allo stesso tempo pericoloso viste le forze fisiche in gioco ed è l’esempio Toyota, sono necessarie delle bombole pressurizzate in grado di poter contenere l’idrogeno ad una pressione di 700 bar. Una pressione a 700 bar significa, oltre all’aumento di calore, che su un centimetro quadrato – i quattro quadrettini, due sopra e due sotto, di un foglio di quaderno per capirci – agisce una forza di 700 kg, tanti e che giustificano lo spavento generale e la paura di possibili esplosioni quando si parla di gas pressurizzati.

Un altro problema, lo stesso che si ripresenta in tutti i tipi di carburanti o idee alternative, è la sua bassa potenza rispetto alla benzina o al diesel. Nonostante sia più veloce a bruciare, l’idrogeno ha un bassissimo potere energetico, circa 0,01709 MJ per litro di idrogeno, che sia esso allo stato liquido o gassoso, contro i 34.6 – ! – MJ per litro dei petrolchimici. È vero che a parità di massa il rapporto cala a 1/3 ma l’efficacia del gasolio rimane comunque circa 1000 volte maggiore rispetto all’idrogeno.

Trovare una soluzione è possibile ma il costo in fase di produzione, e quindi poi di vendita, ne risentirebbe pesantemente, visto che per stivare l’idrogeno allo stato gassoso in grandi quantità – necessarie per reggere il confronto chilometrico che i petrolchimici sono in grado di offrire – sono necessari materiali molto resistenti e lavorati, in grado di reggere al suo interno temperature e pressioni elevatissime.

Il problema delle stazioni di rifornimento

Ultimo ma non per importanza – anzi -, è il problema delle stazioni di rifornimento che non ce ne sono, o almeno ce ne sono troppo poche per alleggerire l’intoppo della disponibilità del prodotto, perché anche Toyota ha ammesso che senza una crescita appaiata delle stazioni di rifornimento la mobilità a idrogeno farà tanta fatica a emergere, col rischio di essere messa da parte. Come in Italia ad esempio che solo quest’anno, dimostrato dal PNIEC – Piano Nazionale Integrato Energia e Clima -, ha cominciato a prenderne seriamente in considerazione l’idea di usufruire dell’idrogeno come apporto di energia, anche se solo per l’1% dell’apporto di energia derivante da energie rinnovabili – circa il 23% del fabbisogno totale – e non citandolo per la mobilità.

Quello che piace tanto dell’idrogeno è la sua efficienza, che al contrario di benzina e diesel, è incredibilmente alta e permette di non sprecare nulla dell’energia ricavata bruciando il carburante, nemmeno una goccia.
La sua incredibile efficienza è rafforzata poi, come abbiamo visto, dalla sua velocità nel bruciare e che, in soldoni, si trasmette in una minor pressione del pedale dell’acceleratore per raggiungere le velocità desiderate, quindi meno consumo, più risparmio e meno inquinamento.

Queste doti sono possibili grazie al primato di elemento più leggero, essendo formato da un protone e un elettrone, – e diffuso – nell’universo. Solitamente nei nostri motori introduciamo carburanti multicomponenti – formati da idrocarburi aromatici e alifatici -, visto che al suo interno troviamo petrolio e prodotti di raffinazioni derivanti dal petrolio che sono molto più complessi e pesanti dell’idrogeno e ciò ricade successivamente anche sulle loro catene chimiche; simili a questa: C7H16 ossia formate da 7 atomi di carbonio e 16 di idrogeno. Oggi giorno, il carburante più leggero presente sul mercato automobilistico è quello rappresentato dal metano – stoccato allo stato gassoso – formato da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno. Quella più pesante in assoluto è quella del diesel, formata dal doppio di atomi di carbonio e di idrogeno della benzina, simile a questa: C16H30.

“Left beyond 0”

In Asia ed Europa, Toyota sta rivoluzionando il settore energetico per permettere la creazione di città future basate sull’idrogeno: dal riscaldamento per la casa fino all’alimentazione dell’auto. Da qualche decennio abbiamo capito che un società migliore è una società sostenibile e il punto di vista in Toyota è più che legittimo. Perché fermarsi a zero emissioni, quando si può andare oltre?

(foto: newsroom Toyota – https://newsroom.toyota.it/immagini/?tab=image )