MUSICA – Riscopriamo Beethoven

A dicembre saranno 250 anni dalla nascita, forse il musicista che ha lasciato di sé la traccia più profonda in tutta la Musica colta occidentale

Imprescindibile Beethoven. A dicembre saranno passati 250 anni esatti dalla sua nascita. È non solo piacevole, ma quasi doveroso riconfrontarsi, di tanto in tanto, con la musica di Ludwig Van Beethoven, forse il musicista che ha lasciato di sé la traccia più profonda e duratura in tutta la Musica colta occidentale. Una vita travagliata, quella del Genio di Bonn, tra vertiginosi alti e bassi: la povertà, il padre etilista e violento, la morte precoce della madre; e, parallelamente, il grande talento, il mecenate che lo incoraggia, l’incontro con Haydn. E poi il trasferimento a Vienna e il grande successo, prima come pianista e poi come compositore, con la ridefinizione del concetto di sinfonia e, in tragico parallelo, la malattia – la peggiore per un musicista, quella che toglie l’udito – a soli trent’anni, seguita da quasi altrettanti di depressione prima della morte, a soli cinquantasei anni, nella primavera del 1827.

Il mio consiglio, per chi ama Beethoven e, forse ancor più, per chi lo conosce meno – magari approfittando di quasto periodo di riposo forzato – è quello di mettere sul piatto del lettore un bel CD della Sinfonia n° 6 in fa maggiore op. 68, detta la “Pastorale”. Ne esistono tante ottime edizioni, la mia prediletta è quella di Karajan con i Berliner.

Eseguita per la prima volta insieme alla n° 5, nel dicembre del 1808, è un grande atto d’amore nei confronti dell’amata campagna. All’epoca della composizione Beethoven era ormai completamente sordo, costretto quindi ad immaginare la musica invece che ascoltarla, proprio come i “suoni” della natura, decritti e vivi nel ricordo interiore ben oltre la semplice emulazione strumentale; non a caso alla didascalia “Pastorale” Beethoven aggiunge un esplicito “più espressione del sentimento che pittura dei suoni”. Musica introspettiva più che descrittiva, quindi, come già nel I movimento – con didascalia Risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna – il cui “Allegro non troppo” si ispira a un canto popolare croato, risolto in orchestra con un cantabile dolce e tipicamente pastorale. Il II movimento è il più “naturalista”, con l’emulazione del canto degli uccelli che frequentano il Ruscello indicato in didascalia, da parte di flauto, oboe e clarinetto. Lieta brigata di campagnoli, recita la didascalia del III movimento, che è, effettivamente, una danza contadina dall’andamento mosso e imperioso.

Quasi un manifesto del romanticismo è, invece, il potente e descrittivo IV movimento: la tempesta, annunciata da trombe, tromboni e timpani che ne sottolineano anche lo scoppio fino a quando la sentiremo lentamente smorzarsi nella proverbiale quiete che sempre la precede e la segue. Strettamente collegato al movimento precedente è il V ed ultimo, il Canto pastorale: sentimenti di gioia e di riconoscenza dopo il temporale, dall’andamento ondulante che viene quasi a consolare, cullandolo, un animo ancora spaventato dalla terribile forza della natura e a ribadire, ancora una volta, come, sia la tempesta che la pace, siano sempre fenomeni interiori. Buon ascolto!