Nasce in Europa il brand della “Via Micaelica”

di GIOVANNI RANIERI FASCETTI – Un territorio ricco di natura arte e storia, che sta per essere lanciato in Europa con il brand Via Micaelica.

Ognuno di noi è alla ricerca della sua via, la via che lo conduca al mondo soporoso dei più intimi sogni: la via della ricchezza, la via della affermazione professionale, la via della pace interiore; talvolta, per alcuni, è la via dell’elevazione spirituale. Così gli uomini e gli imperi hanno tracciato un’infinità di sentieri e vie sulla superficie del globo, alcune ancora oggi percorse e dense di memorie, altre dimenticate e sepolte. Fra tutte vi è una via luminosa, il più luminoso dei cammini, il “Cammino dei Cammini”, che solcando l’Europa, la lega all’Oriente, al monastero del Monte Carmelo ad Haifa non lontano da Gerusalemme, una via che sembra tracciata dalla mano divina e che gli uomini hanno scoperto gradualmente, gradualmente assecondato e seguito: la via Micaelica, la via di San Michele.

Via dello spirito, via del pellegrinaggio, via della purificazione nel nome di uno splendido arcangelo la cui potenza non tramonta nei secoli, colui che ha condotto le schiere degli angeli fedeli a Dio a vincere sull’esercito del Maligno ribelle, e che viene ancora oggi invocato dal papa a protezione dell’Europa. Nei secoli, lungo tutto il suo percorso, fin dal lontano eremo di Skellig Michael nelle isole Skellig, sono stati costruiti monumenti di fede che sono al contempo monumenti di bellezza; uno, il principale, consacrato dalla discesa sulla terra dell’Arcangelo, è la grotta santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano.

E’ sempre in una umile cavità della roccia che la Luce si manifesta, invitando gli uomini ad immergersi come nell’utero materno, per incontrare la vera vita che è al di là del materiale, del finito, del caduco: la dimensione dell’Oriente Eterno. La via del Paradiso, che scende dall’Irlanda, risalite le Alpi, tocca l’imponente e superbo complesso della Sacra di San Michele in Val di Susa; poi scende di tra le rocce per innervare l’Italia; serpeggiando tra valli e monti giunge nelle terre di Toscana; dal passo di Monte Bardone, il Mons Longobardorum, raggiunge Lucca, antica capitale del Ducato della Tuscia, si inoltra quindi verso la valle dell’Era per raggiungere Roma attraverso due itinerari: quello più interno che raggiunge Poggibonsi e Siena, e quello maremmano.

La Verruca in una incisione del Sasso. In primo piano i resti del secondo monastero di San Michele

La via, nel suo procedere, talvolta si innalza e raggiunge una vetta dalla quale si può vedere quanto cammino ci siamo lasciati alle spalle e quanto di cammino ancora ci aspetta per poter raggiungere un altro dei punti chiave al quale risalire per avvicinarci nuovamente al Cielo. Ogni ascesa è una preghiera, un’evasione, una visione, una trascendenza.

Questa fatica è necessaria per guadagnare un giorno l’ascensione nella Luce, allorché Michele, Psicopompo come fu l’antico dio Anubi, ci aspetterà con la sua bilancia, pronto a pesare la nostra anima e vagliare se nel lavorìo terreno, compiuto su di noi, siamo riusciti a liberarci di tutte le scorie, le imperfezioni per diventare materia umana pura.

Il gregge umano dei pellegrini non è stato il solo a percorrere questa via; la via Micaelica ha coinciso,  in diverse aree europee e italiane, con gli itinerari delle grandi, millenarie transumanze delle infinite greggi di pecore, capre e bovini, nel loro stagionale transito dai pascoli bassi a quelli alti, e viceversa; docili al comando del ciclo della Natura, dei suoi tempi e delle sue regole, nutrendosi di ciò che il cammino offriva loro, parabola di saggezza per gli uomini che osservavano la Natura come il libro della Saggezza scritto da Dio.

Ecco che San Michele si festeggia nei due momenti dell’anno che incernierano il fenomeno della transumanza: il 29 settembre e l’8 maggio, date celebrate dai pastori con il pellegrinaggio alla grotta di San Michele. Questo scorrere a valle, ritornare secondo i ritmi dettati dal moto apparente del sole, il dio Sole, durante l’anno, ripete il ciclo delle acque che evaporate salgono al cielo per poi ritornare a valle scorrendo in rivoli, torrenti, infine fiumi per raggiungere di nuovo il mare, forse anche per questo San Michele è sacralmente legato alle acque.

Il santuario più intrigante del nord Europa è Mont Saint Michel dove le liquide maree abbracciano ciclicamente il sacro monte per poi separarsene, dando una prova concreta della potenza che il cielo esercita sulla dimensione terrena e sui cicli che la governano.

Il culto di San Michele ha avuto momenti di grande splendore e poi di quiescenza. All’alba del Cristianesimo in Europa, la via Micaelica venne intensamente percorsa da monaci irlandesi come Frediano il quale, al ritorno dal pellegrinaggio a Roma, si fermò a fare l’eremita sul Monte Pisano, più tardi lo seguirono i monaci itineranti di San Colombano che lasciarono l’uva Colombana nella valle dell’Era; i Longobardi, in cerca di una patria, invasero l’Italia e l’intero loro popolo che scendeva dalla Pannonia nella conquista di una penisola da troppo tempo flagellata da guerre, carestie, epidemie, decadenza, devastanti invasioni, seguì questo itinerario. Guidati dall’Arcangelo, da Lui protetti nelle battaglie, si spinsero fino al meridione e diventarono devotissimi a San Michele.

Come già un tempo, quando ancora si chiamavano Winnili, si erano convertiti ai culti germanici per la protezione avuta da Odino nella grande battaglia contro i Vandali, grati a San Michele che li aveva resi vittoriosi e seguendo l’esempio del loro re Alboino,  tutti i Longobardi si convertirono al Cristianesimo, mantenendo però una certa distanza nei confronti dei preti:  i papi, che al tempo lavoravano al progetto di fondazione di uno stato teocratico in grado di dominare l’Italia, si erano trovati accerchiati dai Longobardi e li consideravano pericolosi eretici dal momento che, ligi agli insegnamenti del vescovo Ario, rifiutavano il dogma della Trinità, non riconoscendo a Gesù Cristo la natura divina, e tendevano ad amare San Michele più del Cristo stesso.

S. Agostino consegna la Regola agli eremiti dcel Monte Pisano e dialoga con Gesù sul litorale pisano. Affresco di Benozzo Gozzoli in San Gimignano

Con i Longobardi la via Micaelica divenne, dalle Alpi alla Campania, la via del Regno d’Italia; le tante chiese e monasteri di San Michele che troviamo lungo il percorso sono per lo più di fondazione longobarda. Queste chiese sono sempre collocate sulle cime dei monti, sui passi o in prossimità degli ingressi alle città perché Michele, armato di spada fiammeggiante, è la guardia della Porta del Paradiso e tutte queste chiese, santuari e monasteri, altro non sono che punti di guardia in contatto visivo tra di loro. Così San Michele proteggeva il popolo dei Longobardi che costruì un regno, come ricorda Paolo Diacono loro storiografo, nel quale non c’erano furti, violenze ma solo pace e prosperità. Fu il papa a chiamare i Franchi in Italia per liberarsi dei Longobardi inaugurando così quella politica tesa a indebolire qualsiasi tentativo restituire un’unità politica all’Italia che rese per secoli i popoli della penisola divisi e in continua lotta tra di loro e provocò infine tante invasioni di re stranieri.

I Franchi, ligi ai dogmi della Chiesa romana e impegnati a prendere saldamente il controllo dell’Italia lavorarono intensamente alla sedazione dell’elemento longobardo: il culto di santi francesi fu seminato ovunque; San Martino di Tour doveva contrastare con la spada della sua Carità il culto di Michele a Lucca, come San Verano doveva neutralizzare Colombano,  a Peccioli nella valle dell’Era. Verano, giunto qui a dorso di mulo, congiungendo le tre dita della mano (il segno della Trinità) e facendo il segno della croce nell’aria, debellò il drago il cui fiato malefico uccideva gli abitanti del luogo, drago il quale, al di là della lettera della leggenda, altro non è che l’eresia ariana.

Se trascurato per un certo tempo, il fascinoso culto di San Michele riemerge poi, più potente che mai e così, quando il marchese Ugo di Toscana dovette pensare a come salvarsi l’anima: lui che, dedito a tutti i piaceri della vita si era trovato di fronte le anime dei dannati ricevendo dai diavoli che le torturavano l’annuncio della sua prossima discesa nell’inferno, pensò bene di fondare sette abbazie pro remedio animae suae e tra queste anche l’abbazia sulla cima della Verruca che da qualche secolo rappresentava il più importante santuario micaelico di questa parte dell’Italia.

In realtà, al passaggio della via Micaelica non si lega soltanto la storia della Verruca ma di tutto il complesso del Monte Pisano del quale la Verruca è una delle tante cime. Quel monte “per che i Pisan veder Lucca non ponno”, come ce lo descrive Dante nella Divina Commedia, spicca per importanza nel De vita solitaria, il trattato scritto da Francesco Petrarca sulla vita eremitica; Petrarca ce lo presenta con il nome con il quale era conosciuto in tutta l’Europa medievale: Mons Eremiticus; il suo nome e la sua fama derivavano dalla straordinaria concentrazione di insediamenti monastici incastonati tra i suoi boschi, generati dal passaggio sul suo fronte orientale della via Micaelica.

Oggi la via Micaelica sta sorgendo a nuova vita: la “Comunità del Bosco Monte Pisano” che cura la tutela e la promozione di questo territorio infinitamente ricco di natura arte e storia, sta per lanciare in Europa il brand “Via Micaelica”, collegato ad un ambizioso progetto di sviluppo dell’itinerario in accordo con tante, consolidate realtà italiane ed estere che si occupano dello studio e della promozione di questo fantastico itinerario.