Antonio Barbagallo - Palermo

PALERMO – Il Massimo, specchio della politica sui Teatri

di ANTONIO BARBAGALLO – Il costo medio di un professore d’orchestra in Italia è nettamente inferiore rispetto ad un suo collega in Europa

Antionio Barbagallo è artista del coro presso la Fondazione Teatro Massimo di Palermo dal 1998, collaborato anche con il Teatro dell’Opera di Roma ed il Bellini di Catania, è segretario provinciale della FIALS Palermo


di ANTONIO BARBAGALLO

La Fondazione Teatro Massimo di Palermo oramai da anni è sottoposta a piano di risanamento come previsto dalla legge Bray del 2013 che impone diversi parametri precisi e stringenti sotto l’attento controllo da parte del commissario di governo affinché il debito strutturale delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche torni sotto controllo. Purtroppo si tratta dell’ennesima legge da parte del governo centrale (in questo caso parliamo del governo Monti) che, anziché perseguire i manager incapaci responsabili di aver presentato bilanci opachi, individua in quello del personale il costo da ridurre dopo anni di tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (quasi dimezzato dal 2001 ad oggi), leggi di iniziativa parlamentare o governativa (si citano rispettivamente la Asciutti del 2005 e Bondi del 2010) e di una campagna mediatica che ha dipinto le maestranze dei Fondazioni lirico-sinfoniche come dei lavoratori privilegiati e strapagati. Nulla di più falso!

Il costo medio di un professore d’orchestra in Italia è nettamente inferiore rispetto ad un suo collega tedesco, francese, austriaco o spagnolo, ed anni di contrattazione nazionale e aziendale bloccate per legge (quasi 20 anni!) hanno solo aumentato un gap che inizia a diventare insostenibile per una professione che prevede grandi investimenti di tutti i generi, anche economici se consideriamo – ad esempio – l’elevato costo di uno strumento musicale, a prescindere dal paese europeo di origine del musicista.

Il Teatro Massimo di Palermo e i suoi dipendenti in questi anni, oltre a pagare un grosso tributo in termini economici, hanno subito anche la scure del taglio sulla pianta organica, dimezzando quasi il personale assunto a tempo indeterminato e portando il personale precario ben oltre i limiti del CCNL (si parla del 35% attuale contro il 15% massimo consentito) e delle leggi nazionali e comunitarie. Licenziamenti, mancato turnover, blocco delle assunzioni e con l’ultimo concorso pubblico espletato nel lontanissimo 1992, il teatro del capoluogo isolano sta pagando una serie di gestioni politiche e manageriali che si rifiutano di investire seriamente sul personale e sulla sua qualità. Interi reparti sono stati esternalizzati o, addirittura, soppressi facendo venir meno il significato di teatro di produzione.

Una scadente classe politica locale, verbalmente molto attiva soprattutto a ridosso delle scadenze elettorali ma poco presente di termini progettuali ed economico- finanziari, non è riuscita a far decollare la fondazione siciliana neppure in occasione della nomina di Palermo a Capitale della Cultura Italiana nell’anno 2018. Un vero peccato considerato il fragile tessuto sociale dell’isola e le opportunità che invece un grande teatro potrebbe offrire sia in termini culturali che occupazionali.

L’annus horribilis che abbiamo appena lasciato alla spalle non ha fatto altro che aumentare esponenzialmente il disagio che i lavoratori dello spettacolo normalmente pagano. A partire dal primo lockdown, a seguito del diffondersi della pandemia da COVID-SARS2, il mondo dello spettacolo dal vivo ha subito un danno incalcolabile e, come spesso accade, i primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori contrattualmente più fragili, senza eccezioni per i dipendenti delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche.

Le risorse messe in campo dal Governo Conte (fondo di emergenza per lo spettacolo) sono state distratte dal Ministro Franceschini in mille rivoli senza che le FLS abbiano potuto usufruirne, lasciando ai sovrintendenti dei teatri d’opera la possibilità di trovare risposta negli ammortizzatori sociali di cui stanno facendo tutt’oggi ampio utilizzo. Troppo.

La FIALS-CISAL ha sostenuto, sin dall’inizio della pandemia, che l’accesso agli ammortizzatori sociali (Fondo d’Integrazione Salariale) rappresentavano una forzatura costosa per lo Stato e penalizzante per i lavoratori. La ripubblicizzazione delle Fondazioni e/ o il pagamento dei ristori per il mancato incasso da botteghino avrebbe potuto evitare che la collettività pagasse due volte il costo del personale delle FLS come invece sta continuando a fare, visto che l’entità del FUS è stato confermato per il biennio 2020/21 mentre del FIS si continua a fare ampio utilizzo facendo perdere comunque una parte cospicua della retribuzione ai lavoratori. Un Ministro sordo persino alla maggioranza che sostiene il Governo e sovrintendenti che evidentemente trovano “conveniente” scaricare il costo del personale all’INPS (a Palermo si è già alla 22esima settimana di FIS programmate), hanno dato il colpo di grazia ai redditi dei lavoratori delle FLS già ampiamente penalizzati per le ragioni sopra esposte.

Se consideriamo che tutto ciò accade nel paese che ha inventato l’opera lirica e che ha dato i natali ai più grandi compositori, musicisti, danzatori, registi e artisti lirici di tutto il mondo, possiamo senz’altro dire che siamo davanti ad un paradosso tutto italiano reso ancor più amaro a certe latitudini dove la Cultura potrebbe e dovrebbe essere la risposta a tante emergenze sociali ed economiche.

Ci si augura che alla fine dell’emergenza pandemica in corso tutte le parti possano ritrovarsi attorno ad un tavolo per riscrivere una vera legge di riforma del settore che restituisca la dignità ai lavoratori e soprattutto al significato del servizio che questi prestano al paese. Servono investimenti certi, dirigenti capaci e slegati dal potere partitico e un controllo obiettivo da parte di uno Stato che torni ad essere protagonista nella gestione di un asset fondamentale per una nazione ricca di storia e arte come l’Italia.