di ALDO BELLI – Paolo Rossi è morto all’età di 64 anni, era ricoverato all’ospedale Le Scotte di Siena dopo l’aggravamento della malattia
Un esempio per i giovani e per lo sport, ha dichiarato questa mattina il sindaco di Prato Matteo Biffoni. Paolo Rossi era nato a Prato il 23 settembre 1956, nella frazione dove indossò la sua prima maglia, la squadra del Santa Lucia. Poi passò all’Ambrosiana, sempre a Prato, prima di entrare a dodici anni nella fiorentina Cattolica Virtus.
“L’ho visto per l’ultima volta ieri, alle Scotte. Era entrato in coma, non mi ha riconosciuto. Fino al giorno prima sorrideva, anche se aveva perduto la forza di parlare” dice il fratello Rossano a La Nazione, “Era malato dalla primavera, colpito al polmone. Dalla malattia originaria, poi se ne sono sviluppate altre”. Quella di Paolo è la classica storia di una famiglia dove il calcio si respira tra le mura domestiche: il padre Vittorio ala destra nel Prato, e Rossano, maggiore di due anni e mezzo, il primo compagno di squadra della sua vita nei tiri al pallone in libertà a due passi da casa. Il sindaco Matteo Biffoni ha scolpito l’epitaffio con queste parole: “Deve essere di esempio soprattutto per i giovani perché è stato un grande campione, un uomo che insegna a rialzarsi sempre, un signore di grande educazione e solidi principi. Il suo sorriso e la sua gentilezza li porterò sempre nel cuore”.
Ci sono due fotografie che consegnano alla storia del calcio italiano la vittoria dei mondiali di Spagna del 1982: in una si vede il giovanissimo Pablito che solleva la coppa in mezzo ai suoi compagni, vicino a Dino Zoff; nell’altra, seduti in aereo, Bearzot in coppia con Causio mentre giocano a scopone contro il presidente della Repubblica Sandro Pertini e il portiere della nazionale.
E’ l’11 luglio 1982, Estadio Bernabeu, Madrid. Gli azzurri hanno battuto il Brasile in semifinale e adesso hanno di fronte la Germania. A violare le reti per primo è Paolo Rossi, poi Tardelli e Altobelli, tre minuti dopo si consuma il finale con Breitner. Il fischio finale dell’arbitro segna la terza vittoria ai mondiali della nazionale italiana, un 3-1 per nulla scontato. L’immagine del presidente Pertini che esulta in tribuna farà il giro del mondo.
“Perché tanto pudore a parlare del ruolo di Rossi?” viene chiesto a Bearzot la mattina seguente, rientrato a Roma. “Io ero convinto che Rossi sarebbe continuamente migliorato. Anche la crisi di rigetto per il troppo lavoro compiuto dopo due anni di assenza, vedi partita col Perù, era prevista ma non l’ho mai messa in discussione, perché, comunque, la sua presenza in campo creava problemi agli avversari. Rossi aveva superato l’impatto col pubblico. Aveva superato l’impatto con gli avversari. Doveva superare il problema del gol che non arrivava. Quando finalmente ha segnato si è definitivamente sbloccato. Ho avuto coraggio a puntare su Rossi?” prosegue il tecnico Azzurro: “Quando si crede in un giocatore il coraggio non c’entra” (Corriere della Sera 13 luglio 1982, Silvio Garioni).
Paolo Rossi sportivo e uomo esemplare in campo e fuori, prima durante e dopo. Il campione del mondo che dice ai ragazzini: “uno qualsiasi, uno normale, può farcela. Non ero un fenomeno atletico, non ero neanche un fuoriclasse, ero solo uno che che ha messo le sue qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport”. Confessa nel 2002: “Mi sono fatto due anni di squalifica senza colpe, ma una morale della favola esiste: si può essere stritolati da qualcosa che ci cattura senza che noi abbiamo fatto nulla perché accadesse. Si può può diventare vittime e non riuscire a dimostrarlo”, ma poi aggiunge: “Io non ho scheletri nell’armadio” nella vita, tuttavia “si deve mettere in conto anche il dolore e la delusione”.
Paolo Rossi ormai “fuori dal giro” parla senza interessi, non teme a dire che il calcio è diventato uno “sport divorato dall’eccesso, non solo economico. Tutto è troppo. Io sono contento di essere stato Paolo Rossi nel 1982 e non nel 2002”. Incluso gli aspetti umani: “Allora i rapporti erano più semplici con tutti, c’era meno veleno, anche se potevi restare fregato com’è successo a me con le scommesse. Un’epoca senza paragoni, ed è per questo che ho preferito uscirne del tutto, senza voltarmi” (Ho fatto piangere il Brasile, a cura di Antonio Finco, 2002).
Paolo Rossi si è spento all’età di 64 anni all’ospedale Le Scotte di Siena, nel reparto di neurochirurgia del primario Giuseppe Oliveri. La moglie Federica Cappelletti ha rivelato poche ore dopo, l’ultimo messaggio che Paolo le aveva scritto: “Purtroppo non riesco a dormire e sono agitato, guardo le foto che mi invii e penso al nostro grande amore. Vorrei solo dirti grazie per quello che stai facendo, per me e per le nostre meravigliose bambine. Sei davvero unica per le energie che profondi e per l’amore che riesci a dare in ogni cosa. Spero che il Signore ti possa riconoscere tutto questo. Darti tutto quello che meriti” (La Stampa, Marco Gasperetti).
Sabato Paolo Rossi aveva visto in TV Juventus-Torino. L’esordio in maglia bianconera arrivò, non ancora diciottenne, nel 1974 in Coppa Italia. “Si legittima ad altissimi livelli però con le maglie di Vicenza e Perugia, prima di fare ritorno alla Vecchia Signora nel 1982” si legge nella sua biografia della Figc, “riuscendo a convincere in pochi mesi Bearzot a convocarlo per il Mondiale di Spagna ’82 che ne ha reso immortali le gesta con la conquista del titolo con gli Azzurri ed il primato nella classifica marcatori, primati che gli valsero l’ulteriore prestigioso riconoscimento del Pallone d’Oro”.
Per onorare la memoria di Paolo Rossi, la UEFA ha deciso che sarà osservato un minuto di silenzio prima dell’inizio di tutte le gare. Vorrei sperare che in quel minuto, soprattutto nel nostro Paese, il pensiero di fronte al televisore vada non solo al grande campione sul campo, ma anche all’uomo sportivo Paolo Rossi.