di BEATRICE BARDELLI – Intervista all’avv. Andrea Callaioli, legale degli studenti, nessuna legge giustifica l’intervento della Polizia.
La data del 23 febbraio 2024 rimarrà impressa nella storia della città di Pisa. Quel giorno, un venerdì, si è verificato un vulnus profondo alla democrazia, agli apparati democratici, alla Costituzione che lascerà per sempre un segno indelebile nella vita di un centinaio di ragazze e ragazzi, per lo più minorenni, che hanno “osato” manifestare le proprie emozioni ed il proprio pensiero per la pace e contro il barbaro sterminio dei palestinesi nella striscia di Gaza definito ormai come un vero e proprio genocidio perpetrato dal governo di Israele.
Un centinaio di giovani studenti è stato aggredito a manganellate da un manipolo di poliziotti con una violenza ed una ferocia inimmaginabili se non fossero rimaste immortalate nelle foto e nei video ripresi in quei momenti da più testimoni oculari.
Alcuni di quei giovani sono stati duramente feriti anche con lesioni gravi alla testa, alle braccia tanto da essere costretti a ricorrere alle cure ospedaliere.
Un venerdì nero nella vita di questi ragazzi e nella storia democratica di questa città che ha risposto all’unisono contro una barbarie inammissibile nei confronti di giovani che manifestavano in maniera pacifica e tranquilla le proprie idee.
All’indomani dei cosiddetti “fatti di Pisa” sono state fatte circolare voci tendenziose per giustificare il comportamento di “questi” poliziotti giustificando il loro comportamento teso a difendere un eventuale “assalto” a luoghi sensibili come la Sinagoga o il cimitero ebraico che in realtà si trovano molto distanti e addirittura dalla parte opposta della piazza dei Cavalieri dove i giovani si stavano dirigendo. Sui “fatti di Pisa” ha riferito in Parlamento il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi con un intervento che ha lasciato, a dir poco, perplessi per le parole usate a proposito del diritto dei cittadini di manifestare.
Per fare chiarezza su questo punto e per dare informazioni corrette su quanto accaduto, ho intervistato l’avvocato Andrea Callaioli, con studio a Pisa, uno dei legali incaricati da alcuni genitori dei giovani manganellati che presenteranno querela.
Intervista all’avv. Andrea Callaioli
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nel suo recente intervento alla Camera sugli “scontri di Pisa” ha detto che “a Pisa, in totale violazione di legge non era stato presentato alcun preavviso alla Questura” e che “se si rispettano le regole il rischio è minimo”. Cosa ne pensa?
E’ una interpretazione molto singolare quella del signor Ministro. La legge, quello che rimane del Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza e del suo regolamento di applicazione che sono di epoca pre-costituzionale – sono del 1931 – e che quindi vanno interpretati alla luce di quello che è il dettato Costituzionale, articoli 17 (Diritto di riunione pacificamente e senz’armi, n.d.r.) e 18 (Diritto di associazione senza autorizzazione, n.d.r.) della Costituzione, non dice che siccome la manifestazione non viene comunicata o non ne viene comunicato il percorso, per questo solo motivo debba essere sciolta o impedita.
Queste possibilità di scioglimento o di impedimento devono essere basate su delle esigenze di Pubblica Sicurezza e di ordine pubblico ovvero quando c’è un pericolo. Il terzo paragrafo dell’art. 17 infatti recita: “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Se la manifestazione avesse comportato un pericolo per qualcuno è chiaro che la polizia avrebbe dovuto, nelle forme di legge, fermarla, impedirne lo svolgimento ed eventualmente scioglierla. Ma questo non succedeva. Il corteo era assolutamente pacifico, a parte il fatto che erano un centinaio di ragazzini e quindi, voglio capire, quale pericolo poteva rappresentare. E comunque non si stava verificando niente che fosse pericoloso per la collettività, per gli stessi partecipanti al corteo o anche per le forze di polizia. Non si stava dirigendo o avvicinando a nessuna situazione che potesse essere definita un obiettivo sensibile perché la piazza dei Cavalieri non ha assolutamente niente che possa definirsi tale. Nessuna delle altre cose che sono state dette, la sinagoga, il cimitero ebraico, la piazza dei Miracoli, era nell’obiettivo dei ragazzi e nemmeno nelle vicinanze e quindi non sussisteva alcuno degli elementi o dei presupposti per potere intervenire per bloccare la manifestazione. Ma anche laddove le forze di polizia avessero ritenuto di bloccare la manifestazione, le modalità con cui questo è stato fatto non corrispondono alle previsioni di legge.
Il Regolamento applicativo del Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza prevede delle modalità, anche formali, per il blocco e l’impedimento della manifestazione che non sono state assolutamente rispettate. Si vede benissimo dai video che sono stati messi in circolazione che in un momento di confronto tra le forze di polizia e i manifestanti sono partite a freddo delle manganellate, dalla seconda fila degli agenti di polizia, che hanno colpito il primo ragazzo che è andato poi in ospedale e da lì la situazione è degenerata.
Ed è degenerata tra l’altro in un punto, in uno spazio, che era lì assolutamente pericoloso, perché era uno spazio ristretto tra delle mura, vicino all’ingresso di una scuola, con i manifestanti che alle spalle erano stati bloccati dalle altre forze di polizia: c’erano le pattuglie dei Carabinieri e forse anche delle altre pattuglie di polizia.
Quindi, laddove si fosse voluto compiere un’operazione di polizia in termini di sicurezza sarebbe stato semplicissimo far entrare i ragazzi nella piazza dei Cavalieri e lì, in quella sede, poter procedere poi alla dispersione della manifestazione oppure dirgli tranquillamente “voi non andate più avanti di qui” chiudendo gli altri accessi alla piazza. Quindi, quello che ha detto il ministro Piantedosi non trova un riscontro nei fatti e nella legge. E assolutamente non può giustificare la violenza che è stata usata dagli agenti di polizia nei confronti di questi ragazzi.
Sono andata a vedere il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.773 del 18 giugno 1931, e, benché sia stato in alcuni punti modificato, resta una legge d’impostazione fascista come il relativo regolamento di attuazione – tuttora in vigore – emanato col regio decreto del 6 maggio 1940, n. 635. Devo dire che mi ha fatto veramente effetto vedere che la Relazione “presentata a S.M. (Sua Maestà, n.d.r.) il Re” ed approvata quel 18 giugno 1931 è a firma di “S.E. (Sua Eccellenza) il Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro per l’interno”, Benito Mussolini. In pratica è una legge emanata durante il fascismo e ancora in vigore, nella sua impostazione, nella Repubblica italiana che si basa sui principi della nostra Carta Costituzionale…
Da questo punto di vista ci sarebbe la necessità di rivedere il Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza aggiornandolo a quello che è il dettato costituzionale ma questa è una delle molte cose che il nostro Parlamento purtroppo non ha mai affrontato nel corso di questi decenni di vita repubblicana.
La Corte costituzionale, con diverse pronunce, ha già limitato l’applicazione di queste norme del TULPS, per esempio, dichiarando incostituzionale la loro applicazione nei confronti di manifestazioni che si svolgono in luoghi privati, oppure dichiarando l’incostituzionalità di alcune sanzioni nei confronti di coloro che partecipano alle manifestazioni non comunicate, limitandone l’applicabilità solo a coloro che sono gli organizzatori.
Quindi la Corte costituzionale è già intervenuta su questi articoli del periodo pre-costituzionale ma bisognerebbe oggi porsi il problema di una revisione complessiva di queste norme che erano nate in un momento in cui il principio era “il cittadino non può fare nulla, tranne quello che è autorizzato a fare”.
La nostra Costituzione dice l’opposto: “il cittadino può fare tutto, tranne quello che è vietato” quando si parla di manifestazione del pensiero, di manifestazione di opinioni politiche, di partecipazione, di organizzazione di partito ecc. La nostra Costituzionale, fortunatamente, ha compiuto una rivoluzione copernicana di quello che è il rapporto tra lo Stato e l’individuo però questo andrebbe tradotto anche nelle norme che regolano i poteri di polizia. Questo purtroppo non è stato fatto ed è una delle cose su cui, alla luce di questi fatti, bisognerebbe oggi tornare a riflettere come ad esempio l’applicazione delle direttive europee in materia di identificabilità delle forze dell’ordine.
A questo proposito, qual è la situazione in Europa?
La maggior parte dei Paesi europei ha adottato queste misure. Gli agenti di polizia nel momento in cui intervengono riportano dei codici identificativi che non sono nella disponibilità pubblica, perché evidentemente c’è anche un problema di tutela degli appartenenti alle forze dell’ordine, ma sono a disposizione del governo, di chi amministra le forze di polizia ma anche della magistratura laddove si debbano individuare le responsabilità delle azioni che non sono corrette, oppure per valutare se le azioni sono corrette o meno.
Questa direttiva europea è anche la stessa che chiedeva l’introduzione del reato di tortura e si sa quanti anni ci sono voluti in Italia per introdurre il reato di tortura. All’inizio di questa legislatura la Lega ha presentato un disegno di legge per l’abolizione del reato di tortura che, in Italia, è stato applicato in pochi casi che riguardano la polizia penitenziaria. Ma è singolare il ragionamento che sta alla base della proposta perché, si dice, questo reato impedisce lo svolgimento corretto delle operazioni delle forze dell’ordine.
Allora questo vuol dire che le forze dell’ordine, quando fanno il loro lavoro, fanno delle torture? E’ un po’ preoccupante anche perché l’Italia è stato uno degli ultimi Stati che ha introdotto il reato di tortura.
Il ministro Piantedosi ha ribadito nel suo intervento alla Camera che “il rischio di incidenti e scontri è pari a zero se i manifestanti non pongono in essere comportamenti pericolosi o violenti rispettando le regole” ma queste regole sono regole fasciste!
Il ministro Piantedosi sa benissimo che quelle norme risalgono al periodo fascista ma quando ha fatto quella comunicazione alla Camera, lui ha omesso di dire una cosa. Che il semplice fatto di non essere stata comunicata quella manifestazione non autorizza il questore, l’autorità di Pubblica Sicurezza, a impedirla o a scioglierla. E anche qualora l’autorizzasse, a farlo non in quel modo, con quelle modalità, con quella violenza.
Qui il gioco che fa Piantedosi, e che fa anche la Lega a livello locale, è di stabilire un sillogismo tra manifestazione, loro dicono non autorizzata ma si dovrebbe dire “non comunicata”, e quindi la devo sciogliere. Ma la legge non dice questo! La legge dice che la manifestazione “può”, potrebbe essere sciolta ma solo in presenza di certe condizioni e con determinate modalità.
Ho saputo che ha ricevuto l’incarico di difendere alcuni studenti coinvolti negli scontri del 23 febbraio. Conferma?
Attualmente ho ricevuto personalmente il mandato di 4-5 genitori di ragazzi minorenni che hanno subito delle lesioni oltre allo spavento ed a tutto il resto. So che le persone che sono andate all’ospedale e si sono fatte refertare sono circa 15 tra minorenni e maggiorenni perché nella manifestazione il grosso era rappresentato da studenti medi delle scuole superiori ma c’erano anche studenti delle scuole medie inferiori ed un gruppo di studenti universitari.
La decisione di presentare le querele per ora l’hanno presa complessivamente otto nuclei familiari, molti altri stanno ancora valutando con i loro legali. Per ora siamo quattro colleghi di Pisa e ci stiamo coordinando. Noi che abbiamo già un mandato abbiamo rivolto un invito a muoversi in maniera coordinata perché conviene farlo per la tutela di questi ragazzi che promuoveranno attraverso le loro famiglie delle azioni. Perché sono o saranno anche indagati da parte della magistratura su denuncia della polizia per quelli che possono essere resistenza a pubblico ufficiale e quant’altro.
E’ una difesa che va fatta pensando anche al fatto che le persone non saranno solo persone offese ma potranno essere anche persone indagate. Le querele saranno sicuramente presentate.
E’ chiaro che sarà opportuno lavorare in maniera abbastanza coordinata tra di noi perché ci sarà da capire bene. Abbiamo detto di raccogliere tutto il materiale, foto, video, scambi su whatsapp, le conversazioni, le persone che erano presenti, le testimonianze. Andrà fatta una grossa opera di ricostruzione di come sono andati i fatti perché sicuramente la polizia porterà la sua versione corredata da filmati. Sarà opportuno avere anche tutto quello che è girato sul web proprio per poter ricostruire bene la situazione e per potere offrire alla magistratura un quadro completo e non solo il punto di vista della polizia.
Per quanto riguarda gli agenti che hanno “operato” per così dire quel venerdì, il ministro Piantedosi, nel suo intervento alla Camera, ha detto che c’è la necessità di “non sottoporre gli agenti a processi sommari e strumentalizzazioni”.
Da questo punto di vista non dico né una parola di più né una di meno di quello che ha detto il Presidente della Repubblica che si è già espresso su questo punto. Qui nessuno sta strumentalizzando, qui non è un problema di strumentalizzazione. Il signor Ministro deve dire se, secondo lui, da quello che lui sa, oggi, le forze di polizia che hanno operato il 23 febbraio lo hanno fatto in maniera legittima.
E se ne deve assumere la responsabilità. Lui, il questore, se ne devono assumere la responsabilità e devono dire chiaramente che, secondo loro, le forze di polizia hanno operato in modo legittimo. Se poi un domani si scopre che ciò non è stato e la magistratura dice una cosa diversa devono trarne le conseguenze e dimettersi. Questo è un sistema democratico!
Io dico che, a mio avviso, il questore di Pisa si dovrebbe dimettere già da oggi, cioè da quel venerdì 23 febbraio, per quelle modalità di intervento. E’ lui il responsabile della Pubblica Sicurezza. E’ chiaro che non è stato lui in persona a dare l’ordine di caricare perché non era lui il funzionario responsabile dell’ordine pubblico in quel momento, c’era un funzionario apposito che dovrà poi rispondere di quello che è stato fatto. Ma quando si è capo di una struttura, come lo è il questore, ci si assume la responsabilità di cosa fanno i propri sottoposti.
Se lui ritiene che i suoi sottoposti abbiano lavorato bene, lo dice tranquillamente. Se lui ritiene che ciò non sia stato, ne trae le conseguenze e si dimette. Facendo così un gesto che ristabilisce un rapporto di fiducia tra la cittadinanza e le forze dell’ordine. E’ su questo che si basa la fiducia: sulla responsabilità. Che non è solo la responsabilità penale. Siamo tutti abituati a buttare tutto sulle spalle dei giudici, ma qui c’è una responsabilità che non è solo penale, c’è una responsabilità che prescinde. E’ una responsabilità politica che riguarda il signor sindaco che ci deve dire se secondo lui la polizia ha fatto bene o ha fatto male e rispondere di questo nei confronti della cittadinanza. Perché se pensa che la polizia ha fatto male deve dire alla sua maggioranza che non condivide quello che hanno detto e se ne assume una responsabilità politica. Poi c’è una responsabilità che ha il questore, non penale, ma nei confronti della cittadinanza, per come hanno operato i suoi sottoposti. Se l’ordine della carica è stata fatta da un suo funzionario è lui che ne risponde.
So che fa parte del Comitato dei genitori del Liceo Scientifico “Dini”. Come genitore che reazione ha avuto?
La stessa reazione che ho avuto come cittadino. Quello che mi ha colpito immediatamente è la violenza che è stata usata nei confronti di questi ragazzi. Vedere dei ragazzini e ragazzine che vengono picchiati da degli omoni grossi che hanno gli scudi, i manganelli ed i caschi, mentre questi sono ragazzini con le felpe e con le sciarpe…Vedere ragazzine o ragazzini che vengono sbatacchiati al muro, manganellati alle gambe o nella schiena mentre scappano. Hai un primo moto di reazione che prescinde dal fatto che questi ragazzini possono avere fatto qualcosa di sbagliato oppure no. Ma hai un’altra reazione immediatamente dopo.
Questi ragazzi non erano lì per nulla. Stavano manifestando per una cosa, molto grave, molto importante perché stavano facendo una manifestazione per la pace in solidarietà a un popolo che in questo momento sta subendo un genocidio e una guerra che non ha voluto sicuramente.
Questi ragazzi si erano sentiti di scendere in piazza per dire un qualcosa di molto importante e per farsi sentire. Per denunciare il fatto che di queste cose non se ne parla. Né sui mezzi di informazione, né in televisione.
Questi ragazzi esercitavano un diritto fondamentale, di partecipazione civica e, anzi, a mio avviso, ci stavano dicendo a noi grandi, a noi genitori, che siamo troppo passivi, troppo silenziosi, che non ci indigniamo per il fatto che vengano uccisi donne e bambini, vecchi, malati. Che si spara negli ospedali, si bombardano i campi profughi. Stavano facendo un qualcosa che aveva assolutamente un grosso merito da un punto di vista civico e sociale.
L’ulteriore gravità di questo comportamento della polizia è proprio il fatto che, in questo modo, si rischia di spengere sul nascere una volontà partecipativa di una generazione. Noi adulti diciamo sempre a questi ragazzi “state sempre dietro i vostri cellulari”, “state sempre su internet”, “non vi interessate”, “non vi preoccupate”…Una volta che questi si preoccupano, scendono in piazza, si interessano, dicono la loro, poi noi li andiamo a manganellare? E’ questo che mi preoccupa come genitore.
E’ quello che mi ha fatto muovere non solo come avvocato ma come genitore, perché voglio che mio figlio, e i compagni e le compagne di mio figlio, possano avere la sicurezza e la libertà di trovarsi per la strada, in piazza, in un cinema, in una palestra, in una assemblea, a discutere, a parlare, a dire la propria. Senza la paura di dover essere picchiati, senza la paura di dover scendere in piazza con un atteggiamento di paura…
Si potrebbe creare un astio a prescindere da parte dei giovani nei confronti delle forze di polizia…
Su questo bisognerebbe che anche chi sta buttando benzina sul fuoco in questo momento, come i vari Ziello (deputato della Lega, n. d. r.) e Ceccardi (europarlamentare Lega, gruppo Id) che dicono di voler stare dalla parte degli agenti di polizia, si rendessero conto che fanno una cosa completamente sbagliata perché, in questo modo, non si proteggono i lavoratori di polizia perché li si fa sentire come una cosa lontana, una cosa diversa, una cosa “contro”, quando non lo sono.
Quando i lavoratori di polizia sono lavoratori come tutti gli altri ed hanno i loro problemi, hanno i loro figli che manifestano anche loro per queste cose. In questo modo si creano delle divisioni che non devono esistere in una società che vuol essere “sana” da un punto di vista di vita collettiva, civica, sociale e democratica.
Quindi, anche questa cosa di voler contrapporre gli studenti ai poliziotti è completamente sbagliata. In questo ha ragione Mattarella quando dice che quando si usa il manganello si fallisce. Ma non si fallisce solo perché si fa del male, si fallisce perché si rompe una solidarietà sociale. Il poliziotto, il carabiniere, l’agente di polizia municipale, il finanziere, l’agente di polizia penitenziaria è un lavoratore. Che fa delle cose giuste e fa delle cose sbagliate.
La singola persona può fare tutto ma il “corpo” a cui appartiene non è una cosa estranea alla società. Non si deve far avere paura agli studenti o ai giovani, comunque, di queste cose perché i giovani, gli studenti, in “questi “ devono avere la piena fiducia perché devono essere convinti, non solo a parole ma nei fatti, che questi “corpi” fanno parte della loro collettività.
Questa è una cosa su cui bisognerebbe che il ministro Piantedosi riflettesse, invece di pensare a tutelare un orticello o a fare una scelta politica che oggi, essendo lui ministro, non dovrebbe fare perché dovrebbe ragionare come “uomo di governo” e non come “uomo di parte”.
Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.