Referendum_Cittadinanza_Avv Andrea Callaioli

REFERENDUM. La cittadinanza (scheda gialla)

di Beatrice Bardelli – Intervista all’avvocato Andrea Callaioli di Pisa, esperto in Diritto dell’immigrazione e diritti umani, sul quesito 5.

L’8 e il 9 giugno i cittadini italiani maggiorenni saranno chiamati ad esprimersi su 5 Referendum abrogativi di alcune leggi italiane che riguardano il mondo del lavoro e la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri appartenenti a paesi terzi dopo 10 anni di residenza legale nel nostro paese. Da oggi, il nostro giornale si impegna ad offrire ai propri lettori, e non solo, articoli di approfondimento sui quesiti referendari intervistando avvocati esperti nei vari settori. Il compito che ci siamo dati è fare informazione offrendo gli strumenti giuridici (e non chiacchiere da talk show) che ci possano aiutare a capire meglio la sostanza dei cinque quesiti referendari. (B.B.)   

I Referendum

Cinque le schede di colori diversi che verranno consegnate ai votanti per 5 quesiti ritenuti validi dalla Corte costituzionale e per i quali, nel 2024, i due comitati referendari, uno guidato dalla CGIL e l’altro da vari esponenti coordinati da +Europa, hanno raccolto oltre 5 milioni di firme.

Cosa si chiede agli italiani? Cinque SI per cinque referendum. Ovvero: Stop ai licenziamenti illegittimi (scheda n.1), Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese (scheda n.2), Riduzione e regolamentazione dei contratti a termine ovvero Riduzione del lavoro precario (scheda n.3), Modifica delle attuali norme sugli appalti in caso di infortunio di un/a lavoratore/lavoratrice estendendo la responsabilità all’impresa appaltante (scheda n.4), Riduzione da 10 a 5 degli anni di residenza legale in Italia dei cittadini di pasi terzi per poter fare domanda di cittadinanza italiana (scheda 5).

Più integrazione con la cittadinanza italiana. La prima intervista l’abbiamo fatta all’avvocato Andrea Callaioli di Pisa, esperto in Diritto dell’immigrazione e diritti umani, sul quesito n. 5, scheda gialla, che recita: “Cittadinanza italiana. Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”.

La domanda su cui i votanti sono chiamati ad esprimersi mettendo una croce sul SI’ o sul NO è la seguente: “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b) limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente all’adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme di cittadinanza”?

In parole più semplici si chiede di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia per poter fare domanda di cittadinanza italiana.

Intervista all’avvocato Andrea Callaioli

Avvocato Callaioli, è il quesito che desta più divisione e preoccupazione nella gente. Si teme che continuare a dare la cittadinanza agli stranieri comporti nel tempo una sostituzione etnica. Vuole fare chiarezza su questo punto?

R. La prima cosa da dire, prima di affrontare l’argomento, è che è importante che la gente vada a votare. Sui quesiti la si può pensare in molti modi, ma importante è non far perdere a questo strumento unico di democrazia diretta che è il referendum la sua funzione. È importante che tutti quanti, anche chi, legittimamente, può non essere d’accordo, vada a votare perché è con la partecipazione che si esprime il proprio orientamento e si fa contare il proprio voto.

Per venire al merito, ritengo che parlare di sostituzione etnica sia allo stesso tempo sbagliato ed un falso problema! Non è la questione dell’acquisizione di cittadinanza che fa sì che nel nostro Paese ci sia una presenza di cittadini originariamente non italiani, perché queste persone ci sono già indipendentemente dal fatto che acquistino o non acquistino la cittadinanza. Non bisogna confondere la questione migratoria con quella dell’acquisizione della cittadinanza.

Le politiche migratorie vanno regolate in un certo modo, ma non è questo l’argomento del referendum. Col referendum si propone semplicemente l’opportunità di ridurre da 10 anni a 5 anni il periodo che una persona deve dimostrare di essere stato regolarmente residente in Italia per poter chiedere la cittadinanza. Ma non si entra nel merito delle modalità e dei requisiti con cui si acquisisce la cittadinanza.

Ad oggi, un cittadino straniero appartenente ad un Paese che non fa parte dell’Unione europea deve aspettare 10 anni non per ottenere la cittadinanza, ma solo per poter fare la domanda di acquisizione della cittadinanza italiana. Dopo di che, in media, l’istruttoria dura tre anni anche se la legge dice che sono minimo due anni prorogabili a tre. Ed alla fine, non è che fatta la domanda di cittadinanza, questa ti viene data: infatti, non tutti gli stranieri che fanno domanda riescono ad acquisire la cittadinanza italiana perché questo non è un diritto, ma solo una concessione da parte dello Stato.

Infatti ho sentito a “24 mattino” di Radio24, lo scorso 19 maggio, l’intervento di Antonella Soldo, coordinatrice della campagna per il referendum sulla cittadinanza, quando ha riferito che negli ultimi 3 anni sono state respinte 600mila domande e che l’Italia ha una delle leggi più restrittive d’Europa.

R. Questo è vero. Il periodo di 5 anni richiesto dal referendum è il periodo medio previsto da quasi tutte le legislazioni europee in materia di cittadinanza, come in Francia, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, ed in alcuni casi negli altri paesi è richiesta una residenza continuativa di soli 3 anni.

Il requisito dei 5 anni, comunque, è già oggi sufficiente nella legge 91/1992 per chi è stato riconosciuto rifugiato o dichiarato apolide oppure per coloro che sono stati adottati da maggiorenni da cittadini italiani. Quindi non è un requisito assurdo, bensì un requisito che c’è già, ed è anche per questo aspetto che la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile il quesito referendario.

Per questo, vorrei dire a chi parla tanto di sostituzione etnica che non c’entra niente con il referendum! Il quesito riguarda persone che sono già in Italia e non persone che devono venire nel nostro paese. Chi usa questo argomento razzista dovrebbe pensare a cosa succederebbe nel nostro paese se di punto in bianco tutti gli stranieri di paesi non europei se ne andassero, abbandonassero i loro lavori e le nostre aule di scuola… Chi rimarrebbe a prendersi cura dei nostri anziani, dei nostri disabili, cosa succederebbe a tutto il mondo dell’assistenza alle persone, a quello di alcuni lavori usuranti e pesanti, chi li farebbe? Quante classi si svuoterebbero e quanti insegnanti perderebbero il lavoro?

Noi siamo un popolo che sta invecchiando, con un saldo negativo nella natalità e le persone che vengono da altri paesi, al di là dei motivi per cui vengono, che possono essere guerre, carestie, stragi, persecuzioni, tratta delle donne, o semplicemente il legittimo desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, vengono qui per trovare lavoro, per crescere i propri figli, per ricevere cure ed assistenza da malattie gravi. Ma tutto questo, lo ripeto, non riguarda il referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno, perché quando si parla di cittadinanza ci si riferisce a persone che sono già qui, regolari da anni, o che addirittura sono nate qui.

Avvocato Callaioli, una curiosità. Perché nel referendum si chiede la riduzione proprio a 5 anni, non a 6 per esempio o a 4?

R. Abrogando le norme oggetto del quesito referendario si tornerebbe alla stessa situazione prevista dalla precedente legge sulla cittadinanza italiana del 1912, la n. 555 del 13 giugno, firmata dal re Vittorio Emanuele III e dal governo Giolitti, che, all’articolo 4, la concedeva allo “straniero che risieda da almeno 5 anni nel Regno”. Quindi, oltre al fatto, come dicevo prima, che quello dei 5 anni è un requisito già presente nell’attuale legislazione, vi è anche un motivo di carattere storico che rafforza la legittimità della scelta.

Il 1912 fu un anno di grandi conquiste civili, ricordo che proprio quell’anno, il 30 giugno, fu introdotto per la prima volta in Italia il suffragio universale maschile, anche se limitato agli uomini sopra i 30 anni. Tornando al nostro tema, quando è stata portata a 10 anni la soglia di residenza richiesta per i cittadini extracomunitari?

R: Ottanta anni dopo la legge regia del 1912, precisamente nel 1992, con la Legge n. 91 del 5 febbraio, dove viene specificato all’articolo 9 che “La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno […] allo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica” (comma1, lettera f). Una legge approvata dal governo Andreotti VII sotto la presidenza di Francesco Cossiga.

Avvocato, quali sono oggi i requisiti che vengono richiesti al cittadino straniero proveniente da un paese terzo per poter fare domanda di cittadinanza?

R. La domanda va rivolta al Presidente della Repubblica, ma l’istruttoria è del Ministero dell’Interno. Per poter fare domanda, il cittadino straniero che risiede in Italia da almeno 10 anni deve essere già in possesso di determinati requisiti. Innanzitutto la residenza, che deve essere legale, continuativa e ininterrotta. Inoltre, deve dimostrare mediante documenti validi come la dichiarazione dei redditi, i documenti di identità, il permesso di soggiorno ed altri certificati, come quello di nascita ed il certificato penale del paese d’origine, di avere redditi sufficienti al sostentamento di sé e della propria famiglia, di aver pagato i tributi, le tasse, di non avere avuto condanne penali e di non costituire quindi un pericolo sociale, nonché di avere una buona conoscenza della lingua italiana, livello minimo B1. Ed oltre a questo, un grosso scoglio è rappresentato dall’elevata discrezionalità con cui il Ministero dell’Interno valuta questi requisiti. Per non parlare poi degli intoppi burocratici derivanti dalla diversità fra il nostro ordinamento giuridico in materia anagrafica e certificatoria rispetto a quelli degli altri paesi.

E cosa accade ai figli, in caso di acquisizione della cittadinanza italiana?

R. Se oggi una persona straniera acquisisce la cittadinanza italiana ed ha dei figli minori conviventi, questi figli acquisiscono la cittadinanza italiana automaticamente. Se invece sono ancora all’estero devono prima venire in Italia, diventare residenti e stare un periodo, mediamente due anni, prima di diventare cittadini italiani. Ma anche su questo il Governo sta intervenendo proprio in questi giorni con un decreto-legge per rendere più difficile la trasmissione automatica della cittadinanza italiana dai genitori ai figli.

Quando invece i figli nascono in Italia, non c’è nessun automatismo di acquisizione della cittadinanza. La legge prevede, infatti, che solo se rimangono ininterrottamente fino al compimento del 18° anno, viene loro concesso un anno di tempo per chiedere di diventare cittadini italiani, ed in tal caso non importa che i genitori abbiano o meno la cittadinanza. In questo caso le pratiche vengono istruite dai Comuni di residenza e mediamente durano molto meno.

I figli di chi è regolarmente residente in Italia, invece, ma non ha la cittadinanza e solo il permesso di soggiorno, hanno solo il diritto di avere anch’essi il permesso di soggiorno, di validità solitamente biennale. A tal proposito, occorre però ricordare i problemi riguardanti le procedure che durano mediamente un anno, ed in alcune Questure anche due, come qui a Pisa. Ed è bene ricordare che in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno viene rilasciata dagli uffici immigrazione solo una ricevuta della domanda di rinnovo e questo crea molte difficoltà, soprattutto con le scuole e con le ASL che dopo i 90 giorni previsti dalla normativa europea sul rinnovo, non riconoscono la validità della ricevuta della domanda di soggiorno. Questo, crea problemi per avere un medico o un pediatra, per ricevere l’assistenza sanitaria, per potere andare all’estero, ad esempio in gita scolastica, e così via. Ed è per questo che, spesso, le persone straniere, pur regolarmente residenti nel nostro paese, sono costrette a rivolgersi a noi avvocati.

Come può fare uno straniero non appartenente all’Unione europea ad arrivare e restare regolarmentein Italia?

R. Per poter restare regolarmente in Italia occorre entrare, salvo alcune eccezioni, con il visto d’ingresso. Nel più frequente dei casi, entrare per lavoro, il visto d’ingresso può essere rilasciato solo se un datore di lavoro ha fatto richiesta nominativa di assunzione e può così farti venire a lavorare. Ma questa richiesta può essere fatta solo quando il governo emana il cosiddetto Decreto flussi dove viene stabilito quante persone possono entrare in Italia, dividendole per paesi di provenienza e per tipologia di lavoro. Tale decreto dovrebbe essere fatto una volta l’ann,o ma non sempre è stato fatto.

Tuttavia le quote sono poche e si esauriscono subito, ecco perché le persone straniere arrivano in Italia in maniera irregolare, perché è difficilissimo arrivare in modo regolare. Non c’è la possibilità di entrare in Italia per cercare lavoro e quindi, spesso, molti cadono nella rete di criminali che si fanno dare soldi per fare domande, spesso false, di assunzione.

C’è un giro piuttosto fiorente di delinquenti, ma, è bene ripeterlo, tutto questo non ha niente a che fare con il referendum dell’8 e 9 giugno che riguarda soltanto i cittadini stranieri di paesi terzi che sono ben integrati in Italia, dove risiedono da lungo tempo, parlano la nostra lingua, lavorano e pagano le tasse.

Per la legge attuale sei cittadino italiano solo se sei figlio di cittadini italiani, ma questo è un concetto ormai superato che ricorda tristi momenti in cui si parlava di “razza”. Oggi appare urgente e necessario incominciare a riflettere su che cosa sia la cittadinanza: se è solo un fatto di discendenza e di legami familiari o è, invece, la condivisione di una vita sociale, di valori e di principi comuni a cui noi tutti facciamo riferimento e di quel fattore fondante della nostra Repubblica che è il lavoro.

Ricordiamoci che in passato sono emigrati dall’Italia milioni di connazionali che sono stati emarginati nei paesi dove sono andati a cercare lavoro ed un futuro migliore. Ricordiamoci lo spirito che alimenta l’articolo 3 della nostra Costituzione che, peraltro, viene donata dal sindaco ai cittadini stranieri che ottengono la cittadinanza italiana e su cui giurano fedeltà: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La nostra Costituzione ci vuole liberi ed eguali, senza distinzioni di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni sociali ed economiche… Votando SI al referendum sulla cittadinanza ci avviamo lungo questo cammino seguendo questa ispirazione.