Ormai sopraffatti dall’idea dell’usa e getta, abbiamo dimenticato il valore delle cose quotidiane che esprimono il nostro modo di essere.
Restaurare è una parola quasi scomparsa dal nostro vocabolario quotidiano. Era stato previsto già un paio di secoli fa: il Consumismo denominatore comune di una società che per sopravvivere anziché riparare, aggiustare, curare, trova meno costoso e faticoso gettare. Comportamenti meccanici, neppure ci rendiamo conto. Esiste una Grande Mano economica è giunta ad elaborare come nella chimica il tempo di durata degli effetti di una sostanza, in questo caso telefoni cellulari o elettrodomestici o semplici lampadine, mobili, fin dal nostro acquisto già programmati per due o tre o quattro anni di vita, per essere poi ricomprati. Cose prodotte “a durata”, ma vendute a “prezzo pieno”. E questa Grande Mano si autoalimenta e si ripete basandosi sulla forza dell’abitudine, quando diventiamo ormai abituati a ripetere meccanicamente un’azione finiamo per non porci più neppure la domanda se sia veramente buono o no ciò che stiamo facendo.
Dice Sabrina: “Il restauro spesso è un dilemma per la gente comune di fronte a mobili e suppellettili che hanno perso il loro smalto nel contesto dell’arredamento domestico, rimangono sospesi tra l’aspirazione di conservarli e la soluzione pià sbrigativa di trasformarli in rifiuti domestici. C’è da tenere persente anche questo aspetto, la fretta: ormai tutti corriamo ed è normale tendere alla soluzione più veloce, che è appunto quella di affidarsi alla raccolta rifiuti ed acquistare un sostituto nuovo”.
Le parole del Consumismo al suo ultimo stadio sono la fretta e il disamore: vivere correndo è come stare su un treno che viaggia a 200 chilometri orari, svanisce alla nostra vista tutto ciò che sta fuori il finestrino diventando una specie di immagine indistinguibile, non c’è tempo materiale per innamorarsi di qualcosa, importante è arrivare a destinazione quanto prima, è la differenza che c’è tra mangiare e divorare, tra viaggiare e correre, viaggiare significa condividere il tempo con gli altri, siano persone o cose; diventa facile così, perdere di vista anche la differenza degli altri, tra le persone e le cose, tutto da consumare “a tempo”, l’amore diventa un ostacolo perché affezionarsi è il contrario di gettare via.
“Quante volte di fronte a qualche mobile o oggetto che in casa rappresenta un legame affettivo” dice Sabrina, “acquistato tanti anni fa o pervenuto dalla propria famiglia, si finisce per privarsene per il suo stato non più presentabile. E’ naturale che le cose subiscano il deterioramento del tempo e dell’usura, e quindi che ad un certo punto si considerino ormai prive di utilità: eppure, spesso con il rimorso avendo comunque un legame con una storia di famiglia o personale. Ma il discorso può valere anche per il piacere di avere vicino qualcosa che mostra la propria personalità, che dà un tocco unico, personale, ai propri ambienti, un mobile, una lampada, un tavolino, e quindi la cosa da restaurare che si acquista diventa una cosa propria”.
Il restauro, quindi, esprime un’emozione affettiva. E senza dimenticare il gusto per il bello, per l’originale, per il particolare.
Il valore aggiunto di Sabrina, figlia di un mercante d’antiquariato e restauratore professionista, sta nel porsi di fronte al “cliente” come un’artigiana e artista del restauro consapevole dell’incarico di ridare vita a qualcosa che la vita ancora conserva, anche se non più presentabile e utilizzabile per gli acciacchi el tempo.
“Io credo che il restauro significhi proprio questo: riconsegnare il pieno della vita ad un oggetto che per il suo proprietario non è semplicemente un oggetto, ma lo specchio della propria personalità. Non è vero che per rivolgersi ad un bravo reastauratore si debba essere ricchi, importante è sapere scegliere e diffidare… dai falsi. E magari, volendo, anche farsi consigliare e seguire, imparando a farlo da soli”.

